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giovedì 6 marzo 2014

THE LAST MOVIE di Dennis Hopper

The Last Movie racconta di uno stuntman, Kansas, (Hopper), impegnato sul set di un film western che si sta girando in un villaggio del Perù. Il suo lavoro è di curare le acrobazie a cavallo agli ordini del carismatico regista, interpretato da un vero regista Samuel Fuller, amico personale di Hopper. In un incidente muore uno dei cascatori. Kansas entra in crisi, decide che è arrivato il momento di fermarsi, lascia il set e si ritira in una casa del villaggio insieme alla prostituta Maria (Stella Garcia). Gli abitanti del villaggio che hanno assistito alle riprese del film e alcuni hanno partecipato come comparse, si sono costruiti delle finte cineprese con pezzi di legno e microfoni di bambù. Come in  un rituale sacro e selvaggio, come in una di quelle funeree processioni della Settimana santa, rimettono in scena il film. Solo che stavolta la violenza è reale, le vittime della finzione diventano cadaveri che lasciano scie di sangue. I campesinos di Chinchero non sanno distinguere tra il reale e la sua rappresentazione, si uccidono perché così hanno visto fare sul set del western. Il prete del villaggio (Tomas Milian), chiede a Kansas di aiutarlo a fermare la strage. Ma la violenza non si attenua. Il prete, in una spirale di fanatismo, individua nel cinema portato dagli yankee il responsabile dell’inquinamento morale della sua gente, e nello stuntman Kansas il rappresentante di quel male che viene da lontano. Incita gli abitanti di Chinchero ad assediare la casa in cui si è rifugiato lo stuntman e a catturarlo. Quello che succederà lo vediamo nella scena iniziale del film, con Kansas crocifisso, vittima sacrificale di quella rappresentazione collettiva.
The Last Movie è film dalla narrazione non lineare, caotica, destrutturata, decostruita. Hopper confonde, mescola, sovrappone. Il film  è un continuo depistaggio dello spettatore. Piani spazio-temporali che si incrociano. Titoli in sovrimpressione. Visioni che non si distinguono dalla realtà. Opera provocatoria, costruita secondo continui sbalzi temporali e digressioni allucinogene che spiazzano e confondono lo spettatore. Un film visionario, quasi sperimentale, inclassificabile, indigeribile, crudo e lisergico, tentacolare e caleidoscopico, un intenso viaggio di perdizione, elogio della rottura, forse un western, forse un documento antropologico, forse un trip lisergico e mescalinico. Inquietante, perché mette in scena la morte nelle cupe processioni del villaggio andino in cui era ambientato e la stessa violenza mortifera del cinema. Un film psichedelico, attori improvvisati che recitano parti improbabili in uno scenario quanto mai blasfemo, primitivo in cui l'occultismo di riti pagani si contrappone ad un antropocentrismo missionario in evidente stato di decomposizione morale.
The Last Movie una scopata incestuosa di immagini e, capolavoro nel capolavoro, prodotta con capitali hollywoodiani (da quelle parti ben si pensava di sfruttare il successo di Easy Rider) ed invece Hopper ne fa una feroce requisitoria contro il mondo di Hollywood e sulla corruzione e il vizio che ne sono parte integrante, una sorta di allegoria circa l'America e il modo in cui essa si autodistrugge; il capitalismo e la violenza e il colonialismo hollywoodiano.
L'attore Henry Jaglom scrive nel suo diario che sul set non ci sono servizi igienici, l'acqua non è potabile, è marrone... e non c'è sapone; c'è molta gente che sta male, vomito, urina, tutto in una poltiglia di terra; da tutte le parti, epidemie, niente detersivi, atmosfera irrespirabile, quattro ore di macchina pericolose e faticose, su strade dissestate e strettissime, ogni giorno per trovare uno straccio di ricovero... 

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