e un’ondata di arresti colpisce con l’accusa di costituzione di banda armata almeno una cinquantina di militanti comunisti e libertari tra i quali Guerrini e Schiavina, in realtà estraneo alla struttura ardito popolare e contrario al carattere gerarchico e paramilitare di questa, che trovano su «Umanità Nova» la solidarietà dell’Uai. La stretta repressiva del governo porta dunque in Ottobre alla crisi definitiva del giovane mo-vimento antisquadrista cittadino, messo fuori legge e indebolito dalla defezione dei comunisti autoritari che ne avevano costituito la spina dorsale, i quali ora anche a Torino cedono al diktat dell’esecutivo nazionale spezzando il fronte antifascista e ripiegando nei ranghi delle squadre armate di partito, forti di ottocento effettivi. Due di queste resteranno tuttavia intitolate agli anarchici Mario Facta, e Vincenzo Todeschini, giovane operaio tipografo disoccupato iscritto alla Fiom caduto alcuni mesi prima in una disperata azione individuale contro la sede della Questura. Solo in seguito, talvolta molti anni più tardi, i dirigenti comunisti torinesi Gramsci, Tasca e Terracini produrranno una seria autocritica sul mancato sostegno all’organismo unitario ardito popolare e sugli evidenti limiti delle proprie formazioni esclusive nel contrasto al fascismo. Le forze residue degli Arditi del popolo e dell’antifascismo d’azione non irrigimentato dal Pcd’I devono tentare di riorganizzarsi in forme spontanee e semiclandestine intorno a Margarita, appena rientrato da Brescia, dove in qualità di segretario della Camera del lavoro sindacalista rivoluzionaria ha contribuito a dar vita al nucleo ardito-popolare locale, e a pochi altri. I fascisti si scateneranno in autunno e nell’inverno del 1922 in nuove provocazioni e violenze contro i tranvieri, i ferrovieri e gli operai della Fiat, tra i quali l’Usi e l’Uap hanno un significativo radicamento e che si contrappongono spontaneamente agli assalti, e colpiranno le sedi comuniste e anarchiche di Vanchiglia, in via Mongrando 30, e di Barriera di Casale, al 7 di via Casalborgone, difese dai militanti e dagli abitanti della zona. A fine aprile le camicie nere si riuniscono al Teatro Balbo per poi attaccare ancora una volta la Camera del lavoro. In settembre i lavoratori resistono ancora alle incursioni squadriste a Nichelino, a Moncalieri, a Pozzo Strada e alla Casa del popolo di Borgo Vittoria, in strada Lanzo 101, sede del Gruppo anarchico rionale “Bruno Filippi”. Nelle continue aggressioni resta ferito anche il libertario Giovanni Vaudano, mentre Consiglio e Peroni sono costretti ad abbandonare la città. Schiavina e Guerrini risultano intanto assolti insieme a una decina di militanti comunisti nel processo contro gli Arditi del popolo. Ma ormai tutto è perduto. Il 28 ottobre 1922 Roma è presa dai fascisti e il 31 la Camera del lavoro torinese, dove hanno sede l’Uap e il Gruppo anarchico “Centro”, è ridotta a un rogo. Cadono anche le ultime Case del popolo, le cooperative, i circoli e i giornali operai e rivoluzionari. L’11 novembre ventimila squadristi piemontesi sfilano in un imponente corteo. L’opposizione dei lavoratori è definitivamente spezzata, per prendere Torino si attende solo l’ordine di Mussolini. Tra il 18 e il 20 dicembre i “lanzichenecchi”, come spesso usa chiamarli «Umanità Nova», calati in città agli ordini del console Brandimarte, detto “Procellaria”, investono la città causando undici vittime operaie. Tra queste il segretario comunista libertario della Fiom cittadina Pietro Ferrero e Giovanni Massaro, manovale disoccupato dello Scalo Dora e simpatizzante anarchico, oltre a Carlo Berruti, massimo dirigente torinese del Sindacato dei ferrovieri passato di recente dalle file antiautoritarie, alle quali aveva aderito giovanissimo, al Pcd’I; mentre l’operaio Probo Mari, secondo alcuni studi anch’egli anarchico e militante dell’Usi, era riuscito a sopravvivere all’esecuzione. Scampati alla strage, Margarita e Guerrini riparano presto oltreconfine continuando la lotta antifascista. Come loro, lavoratori coscienti e uomini liberi, altri anarchici torinesi, nativi o acquisiti, saranno ancora protagonisti nel fuoruscitismo, nella cospirazione interna contro il regime, nella guerra rivoluzionaria contro la reazione in Spagna, nel maquis in Francia e nella Resistenza partigiana.
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giovedì 24 aprile 2025
Gli anarchici torinesi nella prima resistenza antifascista
e un’ondata di arresti colpisce con l’accusa di costituzione di banda armata almeno una cinquantina di militanti comunisti e libertari tra i quali Guerrini e Schiavina, in realtà estraneo alla struttura ardito popolare e contrario al carattere gerarchico e paramilitare di questa, che trovano su «Umanità Nova» la solidarietà dell’Uai. La stretta repressiva del governo porta dunque in Ottobre alla crisi definitiva del giovane mo-vimento antisquadrista cittadino, messo fuori legge e indebolito dalla defezione dei comunisti autoritari che ne avevano costituito la spina dorsale, i quali ora anche a Torino cedono al diktat dell’esecutivo nazionale spezzando il fronte antifascista e ripiegando nei ranghi delle squadre armate di partito, forti di ottocento effettivi. Due di queste resteranno tuttavia intitolate agli anarchici Mario Facta, e Vincenzo Todeschini, giovane operaio tipografo disoccupato iscritto alla Fiom caduto alcuni mesi prima in una disperata azione individuale contro la sede della Questura. Solo in seguito, talvolta molti anni più tardi, i dirigenti comunisti torinesi Gramsci, Tasca e Terracini produrranno una seria autocritica sul mancato sostegno all’organismo unitario ardito popolare e sugli evidenti limiti delle proprie formazioni esclusive nel contrasto al fascismo. Le forze residue degli Arditi del popolo e dell’antifascismo d’azione non irrigimentato dal Pcd’I devono tentare di riorganizzarsi in forme spontanee e semiclandestine intorno a Margarita, appena rientrato da Brescia, dove in qualità di segretario della Camera del lavoro sindacalista rivoluzionaria ha contribuito a dar vita al nucleo ardito-popolare locale, e a pochi altri. I fascisti si scateneranno in autunno e nell’inverno del 1922 in nuove provocazioni e violenze contro i tranvieri, i ferrovieri e gli operai della Fiat, tra i quali l’Usi e l’Uap hanno un significativo radicamento e che si contrappongono spontaneamente agli assalti, e colpiranno le sedi comuniste e anarchiche di Vanchiglia, in via Mongrando 30, e di Barriera di Casale, al 7 di via Casalborgone, difese dai militanti e dagli abitanti della zona. A fine aprile le camicie nere si riuniscono al Teatro Balbo per poi attaccare ancora una volta la Camera del lavoro. In settembre i lavoratori resistono ancora alle incursioni squadriste a Nichelino, a Moncalieri, a Pozzo Strada e alla Casa del popolo di Borgo Vittoria, in strada Lanzo 101, sede del Gruppo anarchico rionale “Bruno Filippi”. Nelle continue aggressioni resta ferito anche il libertario Giovanni Vaudano, mentre Consiglio e Peroni sono costretti ad abbandonare la città. Schiavina e Guerrini risultano intanto assolti insieme a una decina di militanti comunisti nel processo contro gli Arditi del popolo. Ma ormai tutto è perduto. Il 28 ottobre 1922 Roma è presa dai fascisti e il 31 la Camera del lavoro torinese, dove hanno sede l’Uap e il Gruppo anarchico “Centro”, è ridotta a un rogo. Cadono anche le ultime Case del popolo, le cooperative, i circoli e i giornali operai e rivoluzionari. L’11 novembre ventimila squadristi piemontesi sfilano in un imponente corteo. L’opposizione dei lavoratori è definitivamente spezzata, per prendere Torino si attende solo l’ordine di Mussolini. Tra il 18 e il 20 dicembre i “lanzichenecchi”, come spesso usa chiamarli «Umanità Nova», calati in città agli ordini del console Brandimarte, detto “Procellaria”, investono la città causando undici vittime operaie. Tra queste il segretario comunista libertario della Fiom cittadina Pietro Ferrero e Giovanni Massaro, manovale disoccupato dello Scalo Dora e simpatizzante anarchico, oltre a Carlo Berruti, massimo dirigente torinese del Sindacato dei ferrovieri passato di recente dalle file antiautoritarie, alle quali aveva aderito giovanissimo, al Pcd’I; mentre l’operaio Probo Mari, secondo alcuni studi anch’egli anarchico e militante dell’Usi, era riuscito a sopravvivere all’esecuzione. Scampati alla strage, Margarita e Guerrini riparano presto oltreconfine continuando la lotta antifascista. Come loro, lavoratori coscienti e uomini liberi, altri anarchici torinesi, nativi o acquisiti, saranno ancora protagonisti nel fuoruscitismo, nella cospirazione interna contro il regime, nella guerra rivoluzionaria contro la reazione in Spagna, nel maquis in Francia e nella Resistenza partigiana.
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