1970
Ronald Laing e David Cooper ricevono un ordine di evizione, che in pratica li caccia da Kingsley Hall, ove avevano fondato qualche anno prima una comunità «antipsichiatrica» aperta, ove «pazzi» e «psichiatri » vivono assieme su un piano di uguaglianza. Nato a Glasgow nel 1927, medico psicanalista, Laing nel 1958 ha iniziato un lungo studio sulle famiglie dei cosiddetti schizofrenici, in collaborazione con A. Esterson, scoprendo le radici sociali della follia. Dal 1962 al 1966 aveva diretto con Cooper il «padiglione 21» al centro psichiatrico di Shenley, Londra, che trasformato in «villa» aperta, autogestita dai pazienti, infermieri, medici, aveva liberato numerosi malati dalla prigione mentale: ciononostante Cooper, direttore del padiglione, nel '66 era stato cacciato dalle autorità. Il pensiero e l'esempio di Cooper e Laing mettono in crisi il «manicomio », sia tradizionale sia moderno, e gli aspetti più sclerotizzati del freudismo. Il messaggio antiautoritario, esistenzialista e ricco di «amore» di Laing ha grande eco anche in Italia, in Europa, in America. Dagli Stati Uniti giungono a Londra a collaborare con Laing, tra gli altri, Joseph Berke e Morton Shatzman. Lentamente, con una spaccatura che si andrà acuendo negli anni successivi, cresce nel paese il disagio per la versione ufficiale sui morti di Milano. Come la persecuzione del capitano ebreo Dreyfus divise la Francia in colpevolisti e innocentisti, cosi il caso Pinelli, il caso Valpreda, il caso degli anarchici spaccano in due l'Italia con una passione che non è dei soliti casi giudiziari. Settori sempre più ampi della sinistra anche riformista accusano la polizia di avere occultato prove decisive e di avere una precisa responsabilità nella morte di Pinelli, la cui vedova, respingendo la versione ufficiale del suicidio, inizia una coraggiosa battaglia per accertare le vere cause del decesso e per eliminare ogni ombra di dubbio sull'integrità morale di un lavoratore, il cui ricordo si sta configurando come quello di un nuovo martire degli ideali anarchici. Si viene chiarendo cosi, nelle battaglie di tribunale e di strada, nel dibattito apertosi nella società, la «logica della svolta» impressa dal potere alle tensioni del biennio 1968-69. Vengono a poco a poco sotto gli occhi di tutti i meccanismi più arretrati del potere statale, inquisitoriale e repressivo, in primo luogo quell'universo carcerario che costituisce una vergogna per ogni società civile.