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giovedì 26 gennaio 2017

L'astrazione mercantile

Nello spettacolo l'idea di progresso, oggi, non è difesa dai suoi sostenitori che in proporzione al loro fanatismo. Eppure, essa è stata, a suo tempo, un atteggiamento volto a discutere razionalmente gli interessi generali della società. La sua debolezza risiede nell'astrazione che la governa e che la progressivamente ridotta ad una illusione, nella quale credono solo la burocrazia e tecnica. l'astrazione dei linguaggi dominanti, del resto, è oggi scollata da qualunque realtà vissuta. Una realtà che è senza un linguaggio che la rappresenta, se non in forma letteraria. Ogni conoscenza parziale, infatti, ha bisogno di un sapere generale che la sappia collocare nell'astrazione di tutto le determinazioni particolari, diventando metodo e sconfiggendo ogni illusione metaforica, che si forma nelle strutture ideologiche dei vecchi linguaggi. Così, per esempio, l'immaginazione  popolare sulla pericolosità del nucleare è stata indotta a chiamare con l'innocua espressione di scorie, quello che con un termine più scientifico produrrebbe immediatamente un allarme socio sanitario. Nella società dello spettacolo anche l'impostura ha i suoi monopoli.
Nel regno della rappresentazione la ricchezza è al sicuro, essa infatti è come lo spirito per l'idealismo, un qualcosa sulla quale tutte le merci misurano le loro manchevolezze. La misurano dal punto di vista dell'astrazione mercantile, la sola capace di neutralizzare l'azione dialettica del negativo sulle parcolarità che la compongono. La merce, infatti, è necessaria solo là dove non ce né bisogno. In questo senso, anche la merce più insignificante deve essere considerata in funzione della complessità del mercato, di cui accresce la circolazione e dal quale riceve ciò che alimenta la sua vita commerciale.

Durante la luna delle ciliege nere 

Investiamo con il nostro desiderio la materialità delle cose; nel campo sociale, nei luoghi stessi di produzione. I nostri desideri non si accontentano più degli spazi concessi a norma di legge (la Legge), il sogno sta loro stretto. Tutto ciò è negato dal qui e dallo ora. E' una questione di forza, pura e semplice. E' una questione di potere. Alt! Il personale deve uscire dalla prigione del privato, dalla forma atomistica dell'esistenza, farsi forza materiale, darsi strumenti di produzione. L'aggregato molecolare (piccolo gruppo) deve divenire forza liberante. Scatenatevi venti! Nell'(interno) c'è il padre-madre-bambino: procurate della dinamite e tutto andrà in frantumi. Ci si obbliga a desiderare anche contro il nostro interesse. Non è un inganno, è un'oppressione. Vogliono che noi si creda a ciò che vogliono noi si creda. I nostri comportamenti mossi dalla forza del desiderio smentiranno la illusione del potere. Il desiderio non manca d'oggetto. Esso è pieno naturalmente pieno fino a scoppiare. E' il soggetto che manca al desiderio. A volte è introvabile. Qui da noi sembra introvabile. Entrate nelle scuole, la terra trema sotto i nostri piedi. Lì troveremo la forza necessaria a smuovere le cose. Non c'è lavoro, anche questa illusione è rovinosamente caduta. Ci si va per non crepare letteralmente per l'angoscia di non fare niente. Il nemico è in ginocchio ma anche allo stremo delle forze è in grado di incatenarci in questi luoghi. Prendiamo lezione dai nostri desideri. Desiderare e produrre non è la stessa cosa. Sono degli stati attraverso cui il soggetto deve passare. Necessariamente. Produrre è dare forma materiale al desiderio. Produrre il testo, la musica, lo sciopero. Ricostruire il movimento. Il giornale, la radio, la festa, la lotta sono altrettanti strumenti che il desiderio deve darsi per inscriversi come corrente antagonista nel flusso della produzione capitalistica. Questo grande strato studentesco è un corpo enorme libero dal lavoro. Dovrà pure impegnare la propria energia. Deve conquistarsi una condizione di esistenza altra da quella attuale. Il posto di lavoro, la riduzione attiva dello sfruttamento lavorativo, il salario, la sessualità, il gruppo maschile, la coscienza femminista, il rifiuto del lavoro, la produzione testuale devono uscire dal piccolo gruppo rinchiuso tra le pareti eteree del sogno, dilatarsi delirando il sociale dare nuove ragioni, quelle finora rimosse, per un nuovo militantismo. Inscriversi dunque in questi processi. Le difficoltà sono enormi. L'ideologia può aggredirci da un momento all'altro e distruggere il piccolo gruppo, che può anche autodistruggersi quando tutta la violenza del desiderio non investe materialmente il campo esterno. Penetrare nella condizione più castrante dell'esistenza (non la sola): nella famiglia. Raggiungere tutti nelle case, nella ripetitività dei gesti, nell'automatismo quotidiano, nella miseria del tempo libero, nell'oppressione dei letti matrimoniali, nell'impotenza delle sedi politiche. Raggiungere e inceppare i meccanismi. La Macchina a questo punto impazzirà e metterà in moto lo stato di emergenza. La repressione però non troverà il bersaglio grosso, l'apparato, i capi, gli esecutori. Non ci sarà uno scontro robotico. I microcomportamenti sono diventati a questo punto forza collettiva. Le forze della repressione si sentiranno circondate da un esercito di fantasmi, imprendibili, continuamente altrove e dappertutto. Il tempo, ovvero il tempo impossibilmente lento dell'orologio di S. Francesco, il tic-tac insulso, spasmodico delle svegliette operaie va sregolato, fatto impazzire. Prendere continuamente iniziative, essere dappertutto, accelerare le vita: ci siamo abbruttiti con la lenta processione verso il posto di lavoro, la sistemazione, i figli. Deridere i comportamenti del terziario, metterne a nudo le ipocrisie e la impossibile ignoranza.
(tratto da Désir - numero unico 1976)

Emile Henry

Emile Henry nasce in Spagna, a San Martin de Provensals (oggi un barrio di Barcellona), il 26 settembre 1872.; suo padre Fortune era un ex comunardo in esilio. Tornato con la famiglia in Francia dopo l’amnistia del 1882, Emile frequenta la scuola con brillanti risultati, ma nel 1890, ammesso all’Ecole Polytechnique, abbandona definitivamente gli studi per occuparsi come impiegato. Nella primavera del 1891 si avvicina agli ambienti rivoluzionari e diventa nel 1892 responsabile del giornale anarchico En Dehors. Lo stesso anno viene ghigliottinato Ravachol e Henry comincia a dedicarsi alla chimica.
Come lui stesso dichiarerà dopo il suo arresto, l’8 novembre 1892 depone un ordigno presso gli uffici della miniera di Carmaux in solidarieta con i minatori scesi in sciopero in agosto. La bomba, trasportata presso il vicino commissariato in rue des Bon Enfants, esplode facendo cinque morti. Nel maggio 1893, dopo alcuni soggiorni all’estero, Henry torna a Parigi sotto mentite spoglie. Il 5 febbraio 1894 avviene l’esecuzione dell’anarchico Vaillant e Henry decide di vendicarlo. Il 12 febbraio lancia quindi una bomba all’interno del Cafe Terminus, ma viene inseguito e arrestato alla fine di una furiosa colluttazione in strada, durante la quale resta uccisa una guardia. Processato il 27 aprile, Henry è condannato a morte e recluso alla Grande Roquette. 
Emile viene ghigliottinato a Parigi il 21 maggio 1894.
Che cosa vogliono gli anarchici? L’autonomia dell’individuo, lo sviluppo della sua libera iniziativa che, soli, potranno assicurargli tutta la felicita possibile. Se l’anarchico ammette il comunismo come concezione sociale, e per semplice deduzione, perché comprende che e solo nella felicita di tutti, liberi ed autonomi come lui, che troverà la propria.
Ognuno di noi ha una fisionomia e delle attitudini speciali che lo differenziano dai suoi compagni di lotta.
Cosi, non siamo stupiti dal vedere i rivoluzionari tanto divisi nella direzione dei lori sforzi. Ci si domanda quale sia la buona tattica: essa e ovunque proporzionale alla somma di energia che si apporta all’azione. Ma non riconosciamo a nessuno il diritto di dire: "Solo la nostra propaganda è quella buona; fuori di essa non v’è salvezza". E un vecchio residuo di autoritarismo nato dalla vera o falsa ragione che i libertari non devono tollerare.
Uno dei primi insegnamenti dell’anarchia è questo: "Sviluppa la tua vita in tutte le direzioni, opponi alla ricchezza fittizia dei capitalisti, la ricchezza reale degli individui possessori di intelligenza ed energia".

giovedì 19 gennaio 2017

L’ordine spontaneo

I gruppi di volontari, organizzatisi in ogni caseggiato, in ogni strada, in ogni quartiere, non avranno difficoltà a mantenersi in contatto e ad agire all’unisono... se i sedicenti teorici «scientifici» si asterranno dal ficcare il naso... Anzi, spieghino pure le loro teorie confusionarie, purché non venga loro concessa alcuna autorità, alcun potere! E le meravigliose capacità/organizzative di cui dispone il popolo - che così raramente gli viene concesso di mettere in pratica - consentiranno di dar vita, anche in una città grande come Parigi, e nel bel mezzo di una rivoluzione, a una gigantesca associazione di liberi lavoratori, pronti a fornire a se stessi e alla popolazione i generi di prima necessità. Date mano libera al popolo, e in dieci giorni il rifornimento alimentare funzionerà con la precisione di un orologio. Solo coloro che non hanno mai visto la gente lavorar sodo, solo quelli che hanno passato la vita tra montagne di documenti, possono dubitarne. Parlate del genio organizzativo del «grande incompreso», il popolo, a chi ha assistito, a Parigi, ai giorni delle barricate o a chi ha avuto modo di vederlo in azione durante il grande sciopero dei portuali londinesi, quando si trattò di dar da mangiare a mezzo milione di gente affamata: essi vi dimostreranno quanto sia più efficace dell’ufficiale inettitudine di Bumbledom. (Pètr Kropotkin, La conquista del pane). 
Una componente importante nell’impostazione anarchica dei problemi organizzativi è costituita da quella che potremmo definire la teoria dell’ordine spontaneo. Essa sostiene che, dato un comune bisogno, le persone sono in grado, tentando e sbagliando, con l’improvvisazione e l’esperienza, di sviluppare le condizioni per il suo ordinato soddisfacimento; e che l’ordine cui si approda per questa via è di gran lunga più duraturo, e funzionale a quel bisogno, di qualsiasi altro imposto da un’autorità esterna. Kropotkin derivò la sua versione di questa teoria dai suoi studi sulla storia della società umana e dalla riflessione sui fenomeni che caratterizzarono i primi passi della Rivoluzione francese e della Comune parigina del 1871. Essa è stata confermata in quasi tutte le situazioni rivoluzionarie, nelle forme organizzative con cui la gente reagisce alle catastrofi naturali, e in ogni attività che si svolga in assenza di modelli precostituiti di organizzazione o strutture gerarchiche dell’autorità. Il principio di autorità permea a tal punto ogni aspetto della nostra società che solo nelle rivoluzioni, in situazioni di emergenza o nell’ambito di «happening» il principio dell’ordine spontaneo riesce a emergere. E abbastanza, comunque, perché ci si possa fare un’idea del comportamento umano che gli anarchici considerano «normale» e gli autoritari semplicemente una stranezza. 

LUCRETIA MY REFLECTION dei Sisters of Mercy

Sento il ruggito di una grande macchina
Due mondi e nel mezzo
Metallo bollente e anfetamine
Sento l'impero crollare
Sento l'impero crollare

Sento il ruggito di una grande macchina
Due mondi e nel mezzo
Amore perduto, fuoco a volontà
Proiettili dum dum e sparati per uccidere, sento
Bombardieri a tuffo, e 
L'impero crollare
L'impero crollare

Sento i figli della città e i diseredati
Andar giù, denudati
Abbiamo il regno, abbiamo la chiave
Abbiamo l'impero, ora come allora
Non dubitiamo, non prendiamo una direzione
Lucrezia, mio riflesso, fai la danza degli spettri con me...

Guardiamo a fondo
Diamo un'occhiata
Guardiamo a fondo per vedere realmente
Le cose che sento, non hanno senso
Non vedo molte prove
Non sento
Non sento
Non sento

Un lungo treno rallentato pagina su pagina
Un duro regno tenuto su dalla rabbia
Un tempo una ferrovia
Ormai è fatta...

Sento il ruggito di una grande macchina
Due mondi e nel mezzo
Metallo bollente e anfetamine
Sento l'impero crollare...

Abbiamo l'impero, ora come allora
Non dubitiamo, non prendiamoci una riflessione
Lucrezia, mia direzione, fai la danza degli spettri con me...

Creare comunità autonome

Il termine rivoluzione ha perso inesorabilmente di importanza nell'uso ordinario, al punto che adesso può significare qualsiasi cosa. Ormai abbiamo una rivoluzione ogni settimana: rivoluzioni nei servizi di credito, rivoluzioni cibernetiche, rivoluzioni mediche, una rivoluzione su internet ogni volta che qualcuno inventa un software più intelligente.
Una retorica del genere è possibile soltanto perché la definizione comune di rivoluzione ha sempre implicato l'idea di un cambiamento di paradigma: un 'interruzione netta, una rottura fondamentale nella natura della realtà sociale in seguito alla quale la realtà funziona diversamente e le categorie invalse non più valide. 
Cosa sarà allora la rivoluzione? Una rivoluzione di dimensioni mondiali avrà bisogno di molto tempo. Ma forse è già in corso. La maniera migliore per rendersene conto è smettere di pensare alla rivoluzione come ad una cosa - la rivoluzione, il grande cataclisma, il punto di rottura - e chiedersi invece: "che cosa è un'azione rivoluzionaria?". Ecco la nostra risposta: una azione rivoluzionaria è qualsiasi azione collettiva che affronti e respinga una qualche forma di dominio e di potere, e che nel frattempo, alla luce di questo processo, ricostituisca nuove relazioni sociali, anche all'interno della collettività. L'azione rivoluzionaria non si propone necessariamente di rovesciare i governi. Ad esempio, sarebbe un atto di per se rivoluzionario il tentativo di creare delle comunità autonome nei confronti del potere (con le parole di Castoriadis, comunità che si autoistituiscono, decidendo collettivamente le proprie regole e i propri principi operativi e riesaminandoli costantemente). E la storia ci insegna che la continua accumulazione di atti di questo tipo può cambiare (quasi) qualsiasi sitiazione.

giovedì 12 gennaio 2017

Il capitalismo e l'informatica

Il capitalismo non si interessa alle attività all'utilità ecc., ma solo alla produzione di valore. E non basta aver lavorato per creare del valore, bisogna anche averlo fatto in un modo che riproduce il capitale con cui è stato pagato il salario ricevuto. Per quanto riguarda l'informatica, bisogna dire che i suoi prodotti rappresentano in generale solo dosi omeopatiche di lavoro umano, e dunque di valore: così, un software, una volta inventato, può essere riprodotto milioni di volte, quasi senza ulteriore impiego di forza lavoro, e tutte le sue copie insieme rappresentano di conseguenza solo una piccola quantità di valore. L'informatica, il cuore della rivoluzione dell'immateriale, lungi dal costituire un nuovo stadio del capitalismo caratterizzato da ulteriori aumenti di produttività, porta piuttosto alla crisi, perché riducendo fortemente, ad un grado storicamente inaudito, l'impiego di lavoro vivo, riduce anche la produzione di valore. Il postfordismo è dunque tutto fuorché un nuovo modello di accumulazione. La sua esistenza si basa piuttosto sulla finanziarizzazione, cioè sul credito e sul capitale fittizio. L'accumulazione reale mancante viene sostituita dalla sua simulazione, cioè da una esplosione di credito in dimensioni astronomiche e il credito non è altro che un consumo anticipato di un futuro guadagno che non potrebbe arrivare mai.

LEGGENDO BOB DYLAN di Allen Ginsberg

Adesso che è polvere e ceneri
Adesso che è pelle umana
Ecco per te Bob Dylan
Una poesia per i tuoi allori

La più vera forma d’adulazione
Dicono sia l’imitazione
Io ho spezzato il verso lungo
Per scrivere una canzone a tuo modo

Quelle “catene di immagini lampeggianti”
Che ti giunsero di notte
Erano sogni ad occhi aperti di splendidi lavoratori
Che intravedevano la luce degli Angeli

E se anche giunse la pula della saggezza
E ti lasciò solo sulla terra
Ricorda che gli angeli chiameranno
La tua anima a una nuova nascita

Non fu la droga a darti il dono del vero
Non furono i soldi che rubasti
Fu Dio in persona che entrò
A illuminare la tua anima divina

Nell’autunno del 1971, dopo aver improvvisato i suoi versi per un’ora alla New York University con Peter Orlovsky, Allen Ginsberg fu avvicinato da Bob Dylan, che era rimasto nascosto tra il pubblico. Dylan, colpito dalla facilità di
Ginsberg di mettere insieme parole, lo raggiunse in un appartamento della Lower East Side, la zona ispanica di Manhattan, e suonò accordi blues con la chitarra per tutta la notte, mentre il poeta improvvisava versi sulla musica. 

Spagna ’36 di Carlo Rosselli

"Al termine di un immenso viale lussuoso e deserto, addossata alle colline che fanno da corona al Tibidabo, ecco Pedralbes, la grande caserma di fanteria di Barcellona. Da Pedralbes partì, il 19 luglio, la rivolta. Ma i soldati non ubbidirono e gli ufficiali sopravvissuti furono trasportati sull’Uruguay, prigione navigante. Oggi Predalbes è il centro di formazione delle milizie popolari, delle colonne anarchiche Ascaso, Aguiluchos, Rojo y Negro. Durruti è già partito. Sperava di entrare a Saragozza prima che la resistenza si organizzasse. Invece i primi reparti, attaccati sulla strada dall’aviazione, dovettero fermarsi. Non ha nulla della caserma, Predalbes, benché sia una caserma modello. È un immenso castello rococò, diviso in vari edifici e torrioni, che fa pensare a uno scenario di cartone e stucco.
Sarebbe orrendo, se non si adagiasse su questi colli, immerso nel sole allucinante e nell’azzurro mediterraneo.
Il terrazzo ed il portico d’ingresso brulicano di gioventù. Per chi sale a Predalbes coi ricordi di una grigia caserma piemontese, è il capogiro, il carnevale, tale è il tumulto di gente che va e viene, senza meta apparente.
Comunione non solo morale ma fisica. Si vive, ci si tocca, ci si urta, ci si sposta in gruppo. La vita del singolo resta inghiottita dalla moltitudine. Ma che vita. Anche lo scalone che a destra porta al comando rigurgita di umanità. Abiti civili, tute marroni, grigie, bleu; guerrieri col fucile, pistolone, pugnale; uomini fatti, ragazzi, miliziane, col fazzoletto rosso e nero al collo, e bandiera della FAI e CNT".
(Tratto dal diario di Carlo Rosselli in data 12 agosto 1936)

Carlo Rosselli, classe 1899, rampollo di una facoltosa famiglia ebraica, era scappato dal confino di Lipari nel luglio del ’29; giunto a Parigi aveva fondato il movimento Giustizia e Libertà.

giovedì 5 gennaio 2017

La libertà per l’anarchico

"un sistema sociale definito e in sé concluso, quanto piuttosto una ben determinata tendenza nello sviluppo storico dell'umanità che, in contrasto con la tutela intellettuale imposta da tutte le istituzioni clericali e governative, lotta per il libero e incondizionato dispiegamento delle forze individuali e sociali della vita. La libertà stessa è soltanto un concetto relativo, e non assoluto, poiché tende
costantemente ad espandersi e a coinvolgere sfere sempre più ampie in una crescente varietà di modi. Per l'anarchico, la libertà non è un astratto concetto filosofico, ma la concreta possibilità vitale per ogni essere umano di sviluppare appieno tutte le potenzialità, le facoltà, le doti che la natura gli ha donato,
volgendole a vantaggio della società. Minore è il peso della tutela ecclesiastica e politica in questo naturale sviluppo, e tanto più ricca e armonica diverrà la personalità umana, tanto più decisamente essa diverrà la misura della cultura intellettuale della società in cui è cresciuta." (Rudolf Rocker,)

"Io sono un amante fanatico della libertà, considerandola l'unico mezzo in seno al quale possono svilupparsi e crescere l'intelligenza, la dignità e la felicità degli uomini; non di questa libertà tutta formale, concessa, misurata e sottoposta a regolamento dallo stato, menzogna eterna e che in realtà non rappresenta mai nient'altro all’infuori del privilegio di alcuni fondato sulla schiavitù di tutti; non di questa libertà individualista, egoista, meschina e fittizia, vantata dalla scuola di .-J. Rousseau, come da tutte le altre scuole del liberalismo borghese, e che considera quello che essa dice diritto di tutti, rappresentato dallo stato, come il limite del diritto di ognuno, ciò che tende necessariamente e sempre alla riduzione a zero del diritto di ognuno. No, io intendo la sola libertà che sia veramente degna di tale nome, la libertà che consiste nel pieno sviluppo delle potenze materiali, intellettuali e morali le quali si trovano allo stato di facoltà latenti in ognuno; la libertà che non riconosce altre restrizioni all'infuori di quelle che sono tracciate
dalle leggi della nostra stessa natura: in guisa che, propriamente parlando, non vi siano restrizioni, poiché tali leggi non ci sono imposte da qualche legislatore dal di fuori che si trovi sia accanto, sia al di sopra di noi; esse ci sono immanenti, inerenti e costituiscono la base stessa di tutto il nostro essere, tanto materiale che intellettuale e morale; invece dunque di trovare in esse un limite, noi dobbiamo considerarle come le condizioni reali e come la ragione effettiva della nostra libertà." (Michail Bakunin)

THE MILLION DOLLAR HOTEL di Wim Wenders

Los Angeles 2001: di primo mattino uomini d'affari in costosi abiti e con i cellulari attaccati alle orecchie si affollano nelle strade, diretti e provenienti dalla sicurezza dei loro uffici altolocati. Al tramonto queste persone si dileguano e la città diventa sempre più minacciosa. Prostitute, ladri, derelitti, rissosi, falliti, riempiono il paesaggio e le loro urla interrompono la notte silenziosa. Nel mezzo di questo Girone Dantesco si trova il Million Dollar Hotel, fatiscente albergo dal glorioso passato ora dimora di spostati e vagabondi. Tra loro c'è un'anima innocente e innamorata di nome Tom Tom che affronta il mondo in maniera entusiastica ed è innamorato di Eloise. Il Million Dollar Hotel riceve delle insolite attenzioni perché uno degli ospiti, un tossico chiamato Izzy, muore in maniera orribile e sospettosa. Tra lo stupore dei suoi amici si scopre che era il figlio di un ricchissimo magnate dei media e la sua fine diventa presto un evento giornalistico, così che il gruppo dell’hotel viene sospettato di omicidio. 
The million dollar hotel è il viaggio alla scoperta dell’amore vero e quindi della vita e delle vite di tutte quelle persone che si ritengono fantasmi come Eloise. La vicenda, dal tragico epilogo è raccontata dalla voce del protagonista, che sacrificherà se stesso al bene comune suicidandosi a sua volta, tentando di volare, come lo stesso Izzy ha fatto.
Il film vuole essere senz’altro una parabola, un messaggio d’amore verso chi soffre. Naturalmente il tutto è filtrato attraverso gli occhi di chi è vittima della sofferenza stessa, arricchito dalla tormentata ansia dei personaggi protagonisti, dal sentimento di riscatto e dalla voglia di voler essere qualcuno per qualcuno, unito alla voglia di non sopprimere ma anzi di ascoltare lo spazio infinito che c’è in ognuno di noi.
È bravo Wim Wenders a condensare in immagini il desiderio politico di libertà che dipende direttamente dal rapporto tra comunicazione e potere. Un affrancamento sempre più difficile da conquistare nella società contemporanea, non a caso la data 2001 è sottolineata per due volte nel film quasi a suggerire l'ipotesi di un futuro vicino che è già il nostro presente, dominata dai poteri tecnologici che offuscano la verità spacciandola per corretta informazione. L'aggressione dei poteri occulti è per Wenders sempre più inquietante e visivamente apocalittica perché i potenti d'oggi utilizzano strumenti invisibili per spiare, scovare i segreti della gente normale. L'uomo della strada è così costretto a rifugiarsi in quei luoghi che consentono di sottrarsi alla vista, al controllo, alla penetrazione incessante del Grande Fratello. 
Il Million Dollar Hotel è l'altro luogo, il piccolo-grande universo pre-tecnologico, il sottosuolo claustrofobico, oscuro e primitivo, abitato da individui diversi, appartenenti a gruppi umani emarginati, rappresentanti di varie etnie, un po’ come il nostro mondo oggi.

L’anarchismo religioso

“Per secoli ci hanno insegnato ad interpretare tutto quanto in termini religiosi e questo ha creato una condizione di miseria per tutti noi. E più continuate a interpretare le cose in termini di religione, più aggiungete miseria alla vostra vita” (UG  Krishnamurti)
 La maggior parte dei maestri religiosi trascorrono il loro tempo nel tentativo di dimostrare l’indimostrato con l’indimostrabile. Questo è una dei tanti irresistibili aforismi provocatori che fecero la fama e anche la sfortuna di Oscar Wilde. Non ci sarebbe da stupirsi se UG  Krishnamurti avesse sottoscritto una simile definizione. Aggiungiamo allora in chiusura del pensiero, una riflessione. È una forma di eresia totale, quella di UG Krishnamurti, come nel caso di 
Giordano Bruno o di Spinoza? La parola ‘eresia’ è stata coniata per indicare la diffusione di idee erronee e pericolose all’interno di un comune sentire religioso. Il termine indica già condanna e persecuzione, e nelle poche lettere che danno corpo alla parola sentiamo salire il fumo dei roghi. Ma, volendo approfondire, il significato originario della parola ‘eresia’ vuol dire ‘scelta’. E tale scelta non è l’opposto di quella domanda di senso radicale presente anche in tanti percorsi religiosi, in quel cammino di ricerca che decide di rinnovarsi costantemente, con una messa in gioco, attraverso tentativi ed errori, senza imitazioni, ripetizioni o formalismi. C’è una forbice che stringe religione ed eresia, norma e trasgressione, che sa confrontarsi con aperture e rotture di orizzonti. Qui sta il senso dell’anarchismo religioso: da un lato il rifiuto del principio di autorità e di comando, che rigetta un’autorità imposta, estranea, statica e arbitraria, fonte essa stessa di ingiustizie, disordine e violenza; dall’altro la tensione verso un ordine con una fisionomia ben differente: intrinsecamente dinamico, organico, scaturito dalla capacità autentica di “essere lampada a sé stessi”.