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giovedì 28 dicembre 2017

Quarant’anni fa … il ’77 (capitolo XXXVIII)

Bologna Convegno Internazionale contro la Repressione
TESTIMONIANZE

Ho partecipato al convegno di Bologna, siamo partiti da Ostia. Abbiamo dormito tutti e tre i giorni all’interno dell’Università, forse a Lettere. Ricordo grandi passeggiate nel centro di Bologna e poi gli scontri del terzo giorno. Scontro fra i compagni, grosse tensioni e un senso di sconfitta. Sì, perché si andava lì nella speranza di trovare comunque, all’interno del movimento, un progetto comune, qualunque esso fosse. Invece il risultato è stata una spaccatura che ha determinato un indebolimento, oggettivo, del movimento.
Una spaccatura tra un’anima attenta alla necessità dell’organizzazione e un anima più pressappochista, più, come dire, anarchica. Idealista, forse. Tutto questo per il movimento è stato un colpo quasi mortale.
(Roberto, tratto da “Una Sparatoria Tranquilla) Odradek)
Del convegno a Bologna, ricordo innanzitutto il controllo esercitato dalla Federazione del Partito Comunista, che picchettava le sedi e le abitazioni dei compagni conosciuti che in quell’occasione chiaramente ospitavano compagni venuti da fuori. La posizione del PCI era di apertura controllata, ma molto controllata, più controllo che apertura. Comunque con l’intenzione di non provocare scontri, ma di stare pronti a qualsiasi evenienza e tenere sotto controllo i compagni e quello che succedeva. Qualche “spesa proletaria” c’era, io oltre a qualche tortina in una pasticceria non sono andato, anche se ho rimpianto il fatto di non poter cenare pure io al “Cantunzein”. Per quanto riguarda le assemblee al Palasport, mi ricordo che fu deciso che il servizio d’ordine venisse affidato a Lotta Continua locale. E che tutti si entrava disarmati, sotto ogni punto di vista, all’interno dell’emiciclo del Palasport. E appunto, l’ordine era garantito da questi di Lotta Continua. Be’, si, forse qualche schiaffone è volato. Magari quando interveniva Boato, molti insulti e qualche schiaffone. Di peggio non è successo. La componente maggiore al Palasport era l’autonomia, della destra del movimento, in particolare, mi ricordo di Boato, un suo intervento subissato dai fischi. Accolti non bene neanche Bifo, i traversali, questo colore che c’era, perché poi si tendeva ad esulare dai temi scottanti del dibattito, che erano in campo, e si faceva un po’ di colore. Con questo non voglio essere sprezzante con Guattari, i nouveaux philosophes e via di seguito, ma mi sembrava che il problema della trasversalità del linguaggio fosse un po’ a latere rispetto all’emergenza di tanti altri problemi. (Il movimento è un po’ morto a Bologna), diciamo che i più avveduti si resero conto che da lì grossi processi unitari non sarebbero usciti. Infatti non a caso penso che poi si innescano i cosiddetti  “cento giorni della lotta armata”. Vista anche l’impossibilità di procedere a un processo unitario rispetto a queste componenti. Poi, di colore, ci fu l’episodio del MLS che tentò di entrare armato di spranghe nell’emiciclo, come il suo solito. Con il risultato che si presero una grossa paura, perché trovarono posizioni morbide all’entrata, nell’emiciclo, sbaragliarono i compagni che tentavano di opporsi. Lotta Continua non intervenne o comunque non aveva intenzione di procedere perché questi erano comunque armati di spranghe. E allora intervenimmo noi romani e ci distribuimmo un adesivo, che era “Sturmtruppen” mi pare. E armati soltanto di questo adesivo e dell’inflessione del dialetto romanesco li affrontammo con grida poco politiche, tipo “figlio di puttana ti rompo il culo”. Questi insulti in romanesco furono positivi, perché ottennero l’effetto sperato, infatti questa colonna di servizio d’ordine di tozzi e cattivi e combattivi cominciò a retrocedere, fino a uscire fuori e schierarsi poi, sempre in modo provocatorio, ma lontano.
(Claudio, tratto da “Una Sparatoria Tranquilla) Odradek)

Direi che la fine del movimento ’77 la daterei al convegno di Bologna. Come cause indicherei: la mancanza della capacità
organizzativa di questo movimento. La mancanza di un progetto. Incapacità di fare un salto in avanti a questo movimento.
(Federico, tratto da “Una Sparatoria Tranquilla) Odradek)

Questo sino ai famosi tre giorni di convegno a Bologna, in cui Bifo a modo suo decretò lo scioglimento del movimento; apprendemmo la notizia in piazza Maggiore, Bologna era invasa da capelli lunghi, facce colorate, gonne a fiori, sacchi a pelo; i portici somigliavano a dormitori pubblici. I bolognesi erano aperti al dialogo, il tempo era bello, ed eravamo tanti, ma tanti, tanti tanti tanti, e quando arrivò la notizia che si era creata una frattura insanabile tra l’area creativa e l’ala dura, penso che ci cedettero in pochi. Tutti quei compagni, che decretavano la fine del movimento perché c’era troppa disgregazione, non sembrava possibile. Dopo di allora è stato un lento declino, gli indiani si ritirarono nelle riserve e l’autonomia diede il via a quel po’ di casino che è successo dopo. 
(Fiorella, tratto da “Una Sparatoria Tranquilla) Odradek)


DIRITTO CONTRO IL MURO dei Negazione

Tu stai scegliendo un modo che non è il mio
la tua mente è in strade che
non mi appartengono
perché sei forse troppo lontano da me, ora
io sto andando dritto contro un muro
sto sbattendo la mia testa contro un muro
ma è meglio che riempirla di merda!
Non conosco modi più gentili
Non ho voglia di trovare maniere
per non urtarti
devo solo dirti delle cose
e devo farlo adesso
Non voglio luce dalle tue risposte
non ti chiedo ovvi discorsi
tu stai scegliendo un modo
che non è il mio
la tua mente è in strade
che non mi appartengono
sono forse troppo lontano da te, ora
sei forse troppo lontano da me, ora
Solo parole dure senza spiegazioni
solo parole dure per sputarti in faccia.
Non sono qui per dirti ciò che devi fare
quando aprirai le tue orecchie
io forse potrò farti capire
ma adesso solo fastidio per come sei
solo rifiuto per i tuoi modi
io sto andando dritto contro un muro
io sto sbattendo la mia testa contro un muro
Non conosco modi più gentili.
Io, dritto contro un muro, la mia testa
contro un muro, ma è meglio che
riempirla di merda!

Questo mondo è un mostro di forza

Questo mondo è un mostro di forza, senza principio, senza fine, una quantità di energia fissa e bronzea, che non diventa né grande né più piccola, che non si consuma, ma solo si trasforma, che nella sua totalità è una grandezza invariabile, un'economia senza profitti né perdite, ma anche senza incremento, senza entrate, circondata dal nulla come dal suo limite; non svanisce né si sperpera, non è infinitamente esteso, ma inserito come un'energia determinata in uno spazio determinato, e non in uno spazio che in qualche punto sia vuoto, ma che è dappertutto pieno di forze, un gioco di forze, di onde di energia che è insieme uno e molteplice, di forze che qui si accumulano e là diminuiscono, un mare di forze che fluiscono e si agitano in se stesse, in eterna trasformazione, che scorrono in eterno a ritroso, un mondo che ritorna in anni incalcolabili, il perpetuo fluttuare delle sue forme, in evoluzione dalle più semplici alle più complesse; un mondo che da ciò che è più calmo, rigido, freddo, trapassa in ciò che è più ardente, selvaggio, contraddittorio, e poi dall'abbondanza torna di nuovo alla semplicità, dal gioco delle contraddizioni torna al gusto dell'armonia e afferma se stesso anche nell'eguaglianza delle sue vie e dei suoi anni, e benedice se stesso come ciò che deve eternamente tornare, come un divenire che non conosce né sazietà, né disgusto, né stanchezza. 

giovedì 21 dicembre 2017

Quarantanni fa … il ’77 (capitolo XXXVII)

23 settembre: a Bologna, convegno internazionale contro la repressione. La città è presidiata da più di 6.000 poliziotti, inizia il convegno internazionale sulla repressione, a cui partecipano migliaia di giovani. La polizia compie perquisizioni sulle strade e sulle autostrade intorno alla città, controllando 27.000 persone e compiendo 10 arresti per possesso di armi proprie o improprie, oppure di stupefacenti. La prima riunione è quella dell’Autonomia. Al Palasport, nella prima assemblea generale, il gruppo di autonomi di via dei Volsci impedisce a forza l’ingresso ai militanti del MLS, che solo dopo essere stati perquisiti, vengono infine fatti entrare. Una lettera di Bifo da Parigi viene accolta dai fischi dell’assemblea. Viene pubblicato per l’occasione il numero unico Benvenuti nella città più libera del mondo: La storia presenta pochi esempi di un movimento di rivolta sociale della profondità di quello che è cominciato in Italia nel febbraio 1977. Dappertutto, in tutte le fabbriche dell’alienazione, scoppiano lotte selvagge contro il lavoro che i burocrati sindacali non riescono più né ad impedire né a nascondere. Qua e là appaiono le prime forme di organizzazione autonoma del proletariato, con i delegati revocabili dalla base. Il partito detto comunista non ha più la forza di apparire ciò che non è. E poiché gli stalinisti vogliono tenere il proletariato prigioniero nella logica dei loro interessi di dominio, il PCI è diventato la Bastiglia della rivoluzione italiana: soltanto distruggendolo, essa vincerà. Siamo qui per combattere la repressione in atto, non per lamentarcene, non dobbiamo fare la retorica della repressione, dobbiamo sconfiggerla. La nostra lotta alla repressione deve essere una lotta offensiva, come lo è la nostra lotta contro tutti i poteri della società di classe. Non dimentichiamo, compagni, che la violenza della repressione è inversamente proporzionale alla violenza delle lotte, e al numero dei combattenti. Dove molti infrangono le leggi e le convenzioni, nessuno viene punito; e mentre le lotte circoscritte sono facilmente represse, quelle grandi e gravi sono premiate dalla vittoria. Tornare all’offensiva significa: generalizzare e radicalizzare l’insubordinazione a qualsivoglia gerarchia, esercitare la nostra creatività distruttiva contro la società dello spettacolo, sabotare le macchine e la merce che sabotano la nostra vita, promuovere scioperi generali selvaggi a tempo indeterminato, riunirsi sempre in assemblea in tutte le fabbriche della separazione, eleggere delegati sempre revocabili dalla base, collegare costantemente tutti i luoghi di lotta, non trascurare tutti i mezzi tecnici (radio, etc.) utili alla comunicazione liberata, dare un valore d’uso diretto a tutto ciò che ha un valore di scambio (merce, etc.), occupare in permanenza le fabbriche e gli edifici pubblici, organizzare l’autodifesa dei territori conquistati. Avanti, musica! Fin’ora, tutte le misure repressive, dalla minima alla massima, dalla calunnia ai carri armati, non hanno giovato al potere, perché non sono riuscite ad impedire niente di ciò che è successo. Ma non dobbiamo dimenticare mai che il più piccolo errore compiuto dal movimento ci può nuocere in maniera irrimediabile. La poca chiarezza teorico-pratica su una questione strategica, come quella delle armi, rischia di produrre effetti molto gravi se non è rapidamente superata, dalla radicalità stessa del movimento. Le armi vanno usate quando tutti sono pronti ad usarle. Chi oggi gioca con le armi, gioca con il potere, che è molto più armato di noi; e col potere non bisogna giocare, bisogna distruggerlo. Da un punto di vista pratico, usare le armi in una manifestazione di ventimila persone, dove solo cento sono armate, non è solo inutile, ma dannoso: si espongono al fuoco della polizia migliaia di compagni che non possono difendersi. Quei compagni che si preoccupano di possedere fin d’ora un’arma, sono degli ingenui: quando ci serviranno davvero le armi, le prenderemo molto semplicemente al nemico. Se vogliamo combattere la repressione, combattiamo anche ciò che può fornire un pretesto e una giustificazione alla repressione. Coloro che si auto-compiacciono nell’uso stupido delle armi, non sono la parte più avanzata e più «dura» dell’attuale movimento rivoluzionario, ma la retroguardia della sua coscienza teorica e strategica.
Quanto al terrorismo, In Italia oggi è assolutamente privo non solo di utilità, ma anche di giustificazioni. Questo movimento è, per il semplice fatto di essersi manifestato nelle forme in cui si è manifestato, il rifiuto definitivo di tutti i partiti e di ogni gerarchia, la critica vivente di tutte le ideologie e della politica specializzata, il rifiuto del lavoro e della disoccupazione, il gusto della comunicazione liberata e del dialogo, e quindi anche della festa e del gioco. Vigiliamo, compagni, impedendo con ogni mezzo che si formino nuova- mente fra di noi gerarchie e gruppetti burocratici con la pretesa di dirigerci! Non abbiamo alcun bisogno di servizi d’ordine per sapere quello che dobbiamo fare, o evitare di fare: la nostra intelligenza è sempre sufficiente a comprendere le necessità della situazione. I servizi d’ordine commettono sempre più prevaricazioni ed errori di quanti non ne impediscano; il loro ruolo poliziesco all’interno del movimento riproduce di fatto un potere separato, controrivoluzionario. Essi costituiscono la base per ricreare ogni gerarchia, e diventano lo strumento di coloro che hanno ambizioni di leader, non avendo capito niente né di questo movimento né della rivoluzione sociale. La passata esperienza, e la moderna teoria rivoluzionaria ci insegnano che «l’organizzazione rivoluzionaria ha dovuto imparare che non può combattere l’alienazione sotto forme alienate» (Debord, La Società dello Spettacolo). Ciò che è necessario ora, lo era fin dall’inizio del progetto
rivoluzionario proletario. Si tratta dell’azione autonoma della classe operaia in lotta per l’abolizione del salariato, della merce, dello Stato. Compagni, seminiamo il vento: raccoglieremo tempesta! Diffondiamo dappertutto queste parole d’ordine, con ogni mezzo, radio, manifesti, scritte, interventi, etc.: - Abolizione della società di classe - Tutto il potere ai consigli operai - Il lavoro è il sabotaggio della vita: sabotiamo il lavoro - Distruzione della società dello spettacolo - L’umanità non sarà felice che il giorno in cui l’ultimo burocrate sarà impiccato con le budella dell’ultimo capitalista - Liberazione immediata di tutti gli arrestati - L’emancipazione dei lavoratori sarà opera di loro stessi o non sarà”. Al convegno più della politica conta forse la voglia di stare insieme e di esprimersi attraverso la festa: “C’era una divisione, a quel convegno: gli zombie rintanati nell’università a farsi le loro assemblee, e la parte viva, la gente vera del movimento, fuori, a suonare, a cantare, a far casino”. Fanno la loro comparsa ufficiale i primi punk: Poi è arrivato il convegno sul dissenso: lì ha suonato per la prima volta un gruppo di compagni di piazza che noi non conoscevamo molto, e che si chiamava Centro d’Urlo Metropolitano poi Gaznevada. E’ stato uno spettacolo veramente di rottura, in uno spazio decentrato, Piazza dell’Unità, che è fuori, alle spalle della Stazione. Allora erano su una linea molto punk, con giacconi di pelle, occhiali neri, borchie, eccetera, erano già arrivate le prime immagini del punk dall’America e dall’Inghilterra. Ecco, la gente la prese anche bene, in generale, ma i compagni del convegno erano tutti molto incazzati, c’era chi li voleva menare, dicevano che erano fascisti. Loro hanno fatto il loro spettacolo, in particolare questa canzone che era «Mamma dammi la benza». In effetti, l’impatto immediato del Centro d’Urlo è piuttosto solforico: i compagni di movimento, che si erano riuniti attorno a parole d’ordine speranzose e costruttive del tipo «cambiamo la vita, cambiamo la società», non potevano reagire molto bene a una cosa come «Mamma dammi la benza / non posso farne più senza / ne sento già la mancanza / esiste la dipendenza / o mamma dammi la benza. Da Roma, Berlinguer definisce gli autonomi “nuovi fascisti”. 
24 settembre: a Bologna prosegue il convegno. In Piazza Maggiore il dibattito coinvolge e verte sul rapporto fra operai e movimento. Calano le presenze al Palasport. “A Bologna applausi ironici e fischi per la maggior parte degli intellettuali intervenuti all’assemblea del movimento; il filosofo francese Félix Guattari viene ascoltato con disinteresse e cortesia. In serata, a Bologna, con la frase «Saluti compagni», pronunciata allegramente da un gruppo di una quindicina di giovani, tornano le autoriduzioni, in una pizzeria del centro e in un ristorante, il Lamma (dove una ventina di giovani mangiano abbondantemente e lasciano sul tavolo 5.500 lire delle 60.000 del conto
25 settembre: a Bologna si svolge il grande corteo dei 70.000 che pone fine alla manifestazione contro la repressione. Dietro allo striscione con la scritta «Paolo e Daddo liberi» sono circa 7.000 gli autonomi organizzati. 

Anarchia e Comunismo Carlo Cafiero

Il suo scritto più originale, Anarchia e comunismo del 1880, muove dalla convinzione che la rivoluzione sia una legge che regola la storia dell’umanità e che rende possibile il progresso dei popoli nel corso del tempo: “la rivoluzione è causa ed effetto di ogni progresso umano, è la condizione di vita, la legge naturale dell’umanità: arrestarla è un crimine; ristabilire il suo corso è un dovere umano”. Non è difficile scorgere in questa affermazione, un’eco marxiana. Cafiero era convinto che la società borghese dell’Ottocento fosse profondamente ammalata e che per essa non vi fosse speranza di guarigione se non attraverso una rivoluzione, della cui necessità il proletariato cominciava a rendersi conto, come gli scioperi, le manifestazioni di protesta e le rivolte sempre più frequenti in tutti gli stati europei dimostravano eloquentemente. La mèta a cui bisogna tendere è la libertà, che non può consistere nel semplice riconoscimento dei diritti borghesi, incapaci di incidere sulle condizioni di vita dei lavoratori e di soddisfare le loro esigenze più importanti; la via a cui ricorrere per liberare l’umanità da ogni catena è la rivoluzione violenta. Fin qui, egli concorda con Marx ed Engels. Per questo motivo, Cafiero è contrario al socialismo ufficiale che persegue il proprio disegno nel rispetto pieno della legalità, attraverso una via evoluzionistica (l’attuazione graduale di una politica di riforme a vantaggio del proletariato), e giudica il passaggio di Andrea Costa nel 1881 dall’anarchismo al socialismo e all’azione parlamentare un vero tradimento della causa del proletariato. Per Cafiero non c’è vera libertà senza l’anarchismo, come non può esserci effettiva uguaglianza tra gli uomini senza il comunismo. Infatti l’anarchia viene concepita come la condizione del libero sviluppo sia dell’individuo che della società e il comunismo viene considerato come riappropriazione, da parte dell’umanità nel suo complesso, di tutte le ricchezze della terra, delle quali era stata espropriata ad opera di una minoranza: anche qui l’influsso marxiano è fin troppo evidente. Il suo pensiero, per il quale accetta le definizioni di collettivismo e di comunismo, che considera sinonimi, ha sulla scia di Bakunin, un orientamento nettamente anti-individualistico:
 “non solo si può essere comunisti; bisogna esserlo, a rischio di fallire lo scopo della rivoluzione una volta ci dicevamo "collettivisti" per distinguerci dagli individualisti e dai comunisti autoritari, ma in fondo eravamo semplicemente comunisti antiautoritari, e, dicendoci "collettivisti" pensavamo di esprimere in questo modo la nostra idea che tutto dev’essere messo in comune, senza fare differenze tra gli strumenti e i materiali di lavoro e i prodotti del lavoro collettivo.... Non si può essere anarchici senza essere comunisti. Dobbiamo essere comunisti, perché nel comunismo realizzeremo la vera uguaglianza. Dobbiamo essere comunisti perché il popolo, che non afferra i sofismi collettivisti, capisce perfettamente il comunismo. Dobbiamo essere comunisti, perché siamo anarchici, perché l'anarchia e il comunismo sono i due termini necessari della rivoluzione”.


Tutto il resto è menzogna di Pier Felice Stefano Castrale


Gli occhi penetranti  / della brace 
spargevano i pietosi / semi / di lontananza
era opportuno tacere 
dimenticando braccia forti
che ti tenevano legata
in amore?
Tutto questo / è soltanto un gioco
un bacio  / un sorriso di coriandoli 
braci / di sigaretta
nel posa cenere

Tutto il resto / è menzogna / .

giovedì 14 dicembre 2017

Quarant’anni fa … il ’77 (capitolo XXXVI)

Bologna, Convegno Internazionale contro la Repressione

Alcune adesioni
Lettera al movimento di Bologna dai compagni rinchiusi nel carcere di S. Giovanni in Monte
Sono passati ormai sei mesi dalle giornate di marzo. Nell'ultimo mese altri 5 compagni sono stati arrestati. Il sequestro di militanti politici come vendetta ed anticipazione terroristica contro il movimento, continua. Noi riteniamo che questa manovra induca un salto di qualità alla repressione di massa in Italia, tuttavia sappiamo che il proletariato nella sua ricchezza di comportamenti quotidiani e scadenze di lotta ancora una volta saprà fermarla e superarla. Noi, siamo ostaggi nelle mani del nemico di classe, la nostra liberazione è la riconquista della libertà per tutti. Il potere in tutte le sue espressioni vuol farci tacere ma incarcerarci non è sufficiente. Siamo e saremo sempre presenti in tutte le istanze di lotta dentro e fuori il carcere e al convegno internazionale porteremo il nostro preciso contributo al dibattito politico. Tuttavia, vi sono aspetti nel modo di condurre l'istruttoria da parte di Catalanotti che devono essere a nostro avviso smascherati e semplificati.
Per questo inizieremo dal 14 settembre uno sciopero della fame in collegamento con tutti i compagni rinchiusi negli altri carceri emiliani, coi seguenti obiettivi:
1) Ci hanno isolati in carceri diversi per distruggere la nostra volontà di lotta e per dividerci dal movimento, ma vogliamo ribadire, nella maniera ,più esemplificativa possibile, la nostra unità che è data dalla nostra internità al movimento. Dividerci non serve perché è il movimento che ci unisce e ci rivendica. Chiediamo che vengano riportati a Bologna tutti gli imputati per le istruttorie di Catalanotti;
2) Le istruttorie Catalanotti si giovano della copertura di tutta la cosidetta stampa indipendente e di partito, ad esclusione di Lotta Continua. Questo fatto ne rileva l'uso terroristico e contro chiunque lotti per impedire la chiusura di fabbriche, gli sfratti, I'aumento dei prezzi e delle tariffe ecc.
3) Chiediamo, di fronte alla assoluta mancanza di,prove e di indizi che non siano ideologici o di militanza politica, la immediata chiusura delle istruttorie e la scarcerazione di tutti i compagni detenuti
4) Vogliamo, in concomitanza col convegno internazionale, colloqui con i giornalisti, gli intellettuali francesi ed europei.
(Maurice Bignami, Albino Bonomi, Franco Ferlini, Rocco Fresca, Patrizia Gubellini, Maurizio Sicuro.)

Collettivo femminista di Scienze di Bologna
Alcune compagne del collettivo femminista di scienze, quelle già tornate a Bologna, si sono trovate per discutere del convegno del 23, 24, 25. Abbiamo letto quello che alcune compagne hanno scritto su Lotta Continua abbiamo parlato con altre compagne di Bologna e ci è sembrato giusto intervenire con questa lettera che non vuole essere un'analisi approfondita, ma solo 1' espressione di un'esigenza nostre l'invito al dibattito a tutte le compagne e agli altri collettivi.
Noi di scienze, come molte altre compagne di Bologna, da marzo ad oggi siamo sempre state nel movimento vivendo la contraddizione di sentirci dentro come compagne, ma fuori come donne. Di questo problema non siamo mai riuscite a discutere fra noi e con tutte le altre, nonostante qualche tentativo. Per questo pensiamo che le compagne di Bologna dovrebbero discutere prima possibile del convegno, di come lo viviamo, di cosa rappresenta per loro.
Noi vediamo il convegno di Bologna come un momento di lotta, di incontro e di dibattito per tutti quelli che sono contro questo stato questo sistema, che ne sono oppressi e a maggior ragione potrebbe esserlo per noi donne che subiamo tutti i giorni la repressione dello stato, delle istituzioni della società, dentro la famiglia, sul lavoro (o nella disoccupazione), nella scuola, per la strada, in ogni momento della nostra vita.
Ma proprio perché crediamo nella nostra specificità, sentiamo l'esigenza di incontrarci e di discutere con le altre donne, il bisogno di riaggregarci sui nostri contenuti e desideri. Per fare ciò pensiamo sia necessario prendere un nostro spazio all'interno del convegno e cominciare da subito a discutere su come gestircelo. Vorremmo un confronto su questi problemi con le compagne delle altre città e le invitiamo fin da ora a parlarne e a scrivere sui giornali.


Lamento in morte di Giuseppe Pinelli di Franco Trincale

E persiru la testa
e nun sanno cosa dire
la corda gruppa gruppa
è morto senza colpa.
E lo chianginu l’amici
li scontenti e gli infelici

e lo piange la moglieri 
li compagni ferrovieri.
Che innocente lo infamari
gli inquirenti di Milano.
Per tre giorni e per tre notti
interrogato ai ferri corti
tra fumate e cosi storti
nella morsa lu stringeru.
E che fumu intra la notti
li pensieri s’annebbiaru
era chiusa la finestra
poi aperta la lasciaru.

Era quasi mezzanotte
e ‘a finestra c’è la morti.

“e chi fici la morti?
L’aspittò fuori la corti a Giuseppe
o entrò dalla balcunata
entro la stanza affumicata
e annebbiò li sentimenti
dell’esperti inquirenti”

Era quasi mezzanotti
e caddi nella corti
e strisciò dù cornicioni
che era sotto lu balconi.
Era morto sull’istanti
steso a terra malamenti
ma pareva fossi morto
un istante precedenti.
Lu questore dissi poi
non l’abbiamo ucciso noi.    



Lo strano nome dei nichilisti che vogliono trasformare il mondo

Nel 1966 , per la prima volta La Stampa, all'epoca più che mai giornale della FIAT, informa i propri lettori dell'esistenza dell'Internazionale situazionista. L'articolo appare sulla versione pomeridiana del giornale su cui,  precedentemente, era apparso qualche accenno all 'IS, ma sempre connesso alle attività artistiche di Pinot Gallizio.
"Senza che nessuno se lo aspettasse, nemmeno i diretti interessati, una lista dallo strano nome di “Internazionale situazionista” ha trionfato nelle elezioni per gli organismi rappresentativi nell'Università di Strasburgo. Come suo primo gesto dopo la conquista del piccolo parlamento studentesco, l'Internazionale situazionista ha annunciato che entro quindici giorni scioglierà l'attuale organizzazione universitaria, dando così una immediata prova della serietà dei suoi propositi rivoluzionari. L'Internazionale situazionista ha un programma estremamente nichilista: essa vuole “trasformare il mondo e cambiare il modo di vivere degli uomini. Sciogliere la società presente ed accedere al regno della libertà. Godere senza ostacoli, fare della rivoluzione proletaria una festa”. Appena ottenuta la strepitosa maggioranza all'Università di Strasburgo essa ha stampato e diffuso in diecimila copie un opuscolo in cui la società contemporanea viene definita “più che decadente“, l'università è considerata “l'organizzazione istituzionale dell'ignoranza“, i professori sono descritti  come “poveri cretini“, gli studenti sono tali “che non meritano che ci si occupi di loro“; per quanto riguarda i movimenti politici, il leninismo è giudicato “il nemico“, la rivoluzione cinese “ è pietrificata nel burocraticismo “; la Chiesa, infine, viene accusata dei peggiori mali che angustiano gli uomini. Questo sfogo irrazionale potrebbe sembrare assolutamente risibile ed essere considerato alla stregua di un qualunque manifesto futurista e surrealista, del passato, se il fatto che, con questi programmi, l’Internazionale situazlonista ha raccolto la maggioranza dei consensi all'Università di Strasburgo, non facesse pensare (e temere) qualcosa di peggio e di più grave. Le organizzazioni rivali hanno fatto subito notare che il successo degli internazional-situazionisti a Strasburgo è stato favorito dall'assenteismo della massa studentesca, che non si è recata a votare (come del resto capita dappertutto):, ma proprio questo può voler dire che ancora una volta la massa amorfa rischia di consegnarsi per ignavia, debolezza, incertezza dei propri ideali, nelle mani di una minoranza aggressiva e ben certa almeno di quello che non vuole più. Cli effetti potrebbero essere pericolosi: nell'opuscolo diffuso dagli internazional-situazionisti si legge che lo studente povero ha tutto il diritto di prendersi i libri dello studente ricco, e questi non ha nessun diritto di protestare. Le autorità accademiche si sono allarmate, si sono riunite, hanno deciso di prendere provvedimenti disciplinari contro i responsabili degli insulti ai professori e dell'incitamento al furto. Ma serviranno a qualcosa? Da anni ormai la scuola, si trova a dover fronteggiare un problema di grandi proporzioni, contro cui non sembra sufficientemente armata: il problema tante volte discusso dei giovani arrabbiati. E' escluso che soluzioni superficiali possano servire allo scopo di ridurre questa ribellione alle normali manifestazioni di impazienza e di idealismo esasperato della gioventù di ogni tempo. Infatti‚  beatniks, arrabbiati, capelloni, in qualunque modo si chiamino, stanno confusamente elaborando una loro vera e propria filosofia della vita, un sistema dunque destinato a sopravvivere agli anni giovanili e a trasformarsi in un atteggiamento a suo modo razionale nei confronti della società e dell'esistenza individuale. Questo atteggiamento è di rivolta continua, una specie di trotzkismo morale, e la sua arma più tagliente è la provocazione. Qualunque occasione è buona per  provocare.(...)" 
(Giuseppe del Colle - La Stampa 28/11/1966)

giovedì 7 dicembre 2017

Quarant’anni fa … il ’77 (capitolo XXXV)

Bologna, Convegno Internazionale contro la Repressione.

La preparazione.
Documento di Radio Alice per la commissione sulle comunicazioni di massa
1) Al convegno di Bologna verrà allestita una sezione di discussione sui problemi dell'informazione, della comunicazione e della scrittura. La commissione che curerà l'organizzazione di questa sezione non si è ancora riunita formalmente, anche se i compagni che di fatto la compongono hanno discusso a lungo tra di loro. 
2) Con questo intervento apriamo la discussione con l'intenzione di accentrare l'attenzione su tutte le implicazioni di questo discorso intorno a questi problemi e sul significato politico dell'informazione. In questo campo nevralgico della lotta di classe il rosso vince sull'esperto perché è capace di trasformare.
3) Il convegno è una occasione eccezionale di confronto teorico e pratico per tutti i compagni delle radio, dei fogli locali e per i compagni stranieri; può essere anche l'occasione per impostare sul piano operativo un salto nel modo di fare informazione nel movimento e per il movimento.
Comunicazioni più precise sull'organizzazione pratica di questa sezione verranno fornite in tempo utile prima dell'inizio del convegno di Bologna. Produzione e riproduzione del capitale, fabbrica e società: l'informazione contro la vita, per la valorizzazione del capitale, per la riproduzione conservazione della forza lavoro.
La vita ridotta a forza lavoro; consumo di forza lavoro nel processo produttivo, produzione di forza lavoro nella società. Due campi, dunque. Lo stesso Signore: il capitale.
L'informazione produce, crea il tempo omologo al capitale. Informatica: scienza, funzione della produzione, programma controllo. Si parte da un punto: il processo produttivo, oggettività dell'universo della produzione, le macchine, il tempo, l'uomo nella macchina, si configura una società necessaria, oggettiva. Lì c'è l'informatica: nella produzione e nella società per la produzione. D. M. D. I calcolatori: la fabbrica e il ministero degli interni. Bit, bit... Non basta.
La notizia: l'alea, il caos universale del reale costretto, brutalmente, sulla superficie bidimensionale della carta, negli impulsi elettrici che riproducono la voce e l'immagine: simbolico e immaginario, sovrapposti intrecciati, nel grande spettacolo celebrazione dell'esistenza. Funzione del consenso. Il grande silenzio delle comunicazioni di massa.
Il reale al capitale, l'immaginario alle masse e il simbolico piegato agli interessi di dominio (consenso) nella macchina che produce il grande spettacolo. Chi controlla il reale ha il potere, ma chi ha il potere produce il reale.
Una lacerazione: marzo Radio Alice. Non è una celebrazione: sul corpo del potere è rimasta una leggera cicatrice. A noi un briciolo di coscienza: I'informazione è potere, non registra, produce reale.
L'informazione circola nel capitale, le multinazionali, le cancellerie di stato, le polizie: comunicazione nel capitale. Fuori del capitale, nella società il silenzio delle comunicazioni di massa, i riti politici, non la politica, non le decisioni, ma l'ideologia.
Il programma del capitale: comunicazione al proprio interno, neutralizzazione della comunicazione al proprio esterno comprimere i rapporti comunicativi. La tattica: stornare i rapporti comunicativi dai loro oggetti, il desiderio, il potere, la verità. Foucault insegna qualcosa. La comunicazione è sovversiva: il potere lo sa Catalanotti, è politico.
Il nostro programma: la sovversione, il suo mezzo: la comunicazione, il suo contenuto: l'informazione.
1975 76: le radio, in Italia. Marzo 1977: Radio Alice, una rivelazione. Finito. Abbiamo appena cominciato.
Continuiamo: « più avanti. Come nomadi, in apparenza. In verità spinti dall'inquietudine di trovare un luogo degno di viverci e di morirci ». (R. Musil).
Continuiamo, spinti dall'inquietudine, come nomadi. 
Non può essere altrimenti.
Una agenzia di stampa? Pensiamoci, subito!
Agenzia di stampa non rende conto dell'idea, non chiarisce il progetto. 
Il linguaggio è contaminato, invischiato col potere, dire Agenzia di Stampa o più propriamente, forse, Agenzia di Informazione è subito implicare l'universo giuridico, il luogo della Legge (la Scrittura) quel luogo in cui la società si rappresenta in Forma che contiene il reale, lo fissa, lo plasma, lo esclude quando è fastidioso, lo sopprime quando è incontenibile. In quell'universo c'è uno spazio per queste due parole: Agenzia d'Informazione: E' spazio illusorio e reale. Illusorio come spazio di regolamentazione del progetto: problema della professionalità, di individuazione limitazione dei soggetti della iniziativa (società giuridica ecc.):
tutto questo è un problema di movimento, contenuto politico del progetto. Non è il diritto a decidere lo statuto di chi è nell'agenzia, di chi trasmette le informazioni e di chi le riceve, a decidere criteri di obiettività e di verità, è il progetto politico del movimento. Questo e chiaro. Tuttavia il luogo del diritto è luogo reale: là si rappresentano dei rapporti di forza, nelle aule silenziose della giustizia la politica è sovrana, il diritto sanzione formale dei rapporti di forza, semplice copertura delle difficoltà e delle contraddizioni del potere.
Dunque, agenzia di informazione nel movimento e per il movimento. Agenzia nazionale e internazionale. Con una metafora figurativa: il nodo di una raggiera, i cui raggi alle estremità si curvano e si intrecciano l'un l'altro. Con un'altra metafora, politica questa volta: lo strumento per il bollettino di guerra della transizione, lo strumento per la diffusione di un sapere (informazioni) del capitale che vive separato dal movimento nelle riviste dei padroni, nelle veline delle multinazionali, nel controllo dei mercati nel monopolio delle materie prime, nelle scelte dei Rockefeller e degli Agnelli (Carter esecutore), e soprattutto, o anche, nei mille episodi di resistenza della forza lavoro a piegarsi come capitale nel processo di valorizzazione. Un progetto ambizioso, appena accennato. Protagonista il movimento tutto nella fase della transizione.
L'informazione come valore d'uso nel processo di liberazione.
L'informazione come moltiplicatore delle pratiche sovversive, l'informazione come produzione di rapporti di comunicazione tra settori di classe (ancora la classe, ma senza enfasi, né certezze) che resistono dissentono, si oppongono, trasgrediscono alle norme di dominio che la costituzione formale santifica e che la costituzione materiale (sistema dei partiti uscito dalla resistenza) rende esecutive. Contro la repressione in questo senso.
Scrivere e comunicare: questo è il programma. Scrittura come testo minore della sovversione, come incisione nella realtà delle pratiche trasformative, come emersione dalla clandestinità di queste pratiche molecolari: comunicazione, appunto.
Comunicazione cioè organizzazione.



FUNNY GAMES di Michael Haneke

Due giovani dall’aria distinta e dal comportamento gentile penetrano nella casa di vacanza sul lago di una famiglia padre, madre, figlioletto e cane della borghesia medio-alta. La prendono in ostaggio e, così per gioco, li picchiano, li torturano e li mettono a morte. Un viaggio quasi insostenibile nell’incubo della violenza allo stato puro con i due ragazzi killer che sembrano una copia di comici efferati. Eliminando qualsiasi spiegazione e non facendo vedere una sola goccia di sangue, il regista sceneggiatore porta a galla il rimosso del non mostrabile e impedisce allo spettatore qualsiasi scappatoia. Un horror da salotto borghese glaciale, implacabile senza autocompiacimenti intellettuali, uno dei film più controversi, fastidiosamente ripugnanti e ambiguamente morali degli ultimi anni.
A essere presa di mira è la borghesia, con tutte le sue ipocrisie e superficialità, ma coinvolgendo solo in parte i personaggi di finzione. Sì, perché la cosa più straniante di questo film non è tanto la trama, già abbastanza claustrofobica e malata di suo, ma il fatto che i due aguzzini nel loro incessante parlare si rivolgano come se nulla fosse al pubblico, agli spettatori che guarderanno il film fino alla fine. Perché (la tesi del film) l'uomo è un essere violento per natura, una creatura nata dalla violenza e che usa la violenza stessa come mezzo d'espressione. Infatti è il richiamo verso la violenza che ha spinto molta gente a vedere un film che pone la propria trama su un gesto di pura prepotenza animale, ed è proprio il godere di essa in una parte remota del cervello che spinge, nonostante l'ansia e lo schifo di certi momenti, a visionare il tutto fino alla fine. 
La rappresentazione della violenza, da sempre chiave del cinema del regista austriaco, è sicuramente quella che fa più discutere: così accurata, efferata, estrema quanto insensata, insoluta. Gli stessi due aguzzini prendono in giro la povera
famiglia fornendo varie motivazioni "ufficiali" (contesto disagiato, droga) al perché del loro gesto: la realtà è che tale domanda è destinata a rimanere senza risposta, generando nello spettatore un'ansia e un malessere tipico delle visioni hanekiane (laddove la violenza rimane sempre senza risposta: c'è e basta).
Interessanti inoltre altre scelte stilistiche di Haneke, tra cui: i modi gentili e gli abiti bianchissimi dei cattivi di turno (così il regista si scaglia nuovamente contro l’audience borghese, mostrando come i comportamenti schizzati degli assassini non siano dovuti ad alcuna motivazione socio-psicologica quando semmai alla noia di un’esistenza vuota e dorata); l’atmosfera rarefatta e fredda che si respira per tutta la pellicola, nella quale vige un’assenza quasi totale di pathos drammatico; il piano sequenza con cui Haneke immortala la disperazione dei poveri Georg e Ann dopo che gli assalitori hanno abbandonato momentaneamente la casa; la colonna sonora bizzarra che alterna musica classica allo sperimentalismo estremo dei Naked City di John Zorn.
La critica al modello hollywoodiano e alla spettacolarizzazione della violenza che genera assuefazione (e quindi indifferenza, la stessa dei due delinquenti protagonisti del film) è quindi ampiamente riuscita.

L’anarchia vista da Rudolf de Jong

L’anarchismo come movimento nacque al tempo della Prima Internazionale. In seguito alla scissione che derivò dal Congresso tenutosi all’ Aia nel 1872, la maggioranza della Prima Internazionale dichiarò la sua adesione alla concezione libertaria della lotta rivoluzionaria ed alla strategia per portarla avanti.
Fino alla Prima Guerra Mondiale l’anarchismo, nelle sue differenti forme, fu una delle principali forze nel movimento operaio internazionale. Trovò forte seguito nei Paesi “latini” dell’Europa e tra i lavoratori immigrati nell’America del Nord e del Sud. Minoranze o idee anarchiche giocarono un ruolo più o meno importante in quasi tutti i Paesi in cui nacquero movimenti socialisti o operai. Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale - ed anche prima - l'anarchismo declinò rapidamente in molti Paesi, eccetto che inm America Latina e nella Penisola Iberica, dove continuò ad avere un ruolo significativo fino alla fine degli anni venti ed alla fine della Guerra Civile Spagnola, rispettivamente. Solamente in Spagna l’anarchismo attirò grandi masse di lavoratori e fu l’unico luogo in cui il movimento ebbe una parte decisiva nella storia del Paese, raggiungendo il suo apice nella rivoluzione sociale durante la Guerra Civile.
È difficile dare una buona definizione dell’anarchismo. Secondo me, l’anarchismo è la lotta per una società socialista aperta ed universale, auto-controllata e auto-diretta, una società in cui l’autorità coercitiva venga sostituita con un procedimento di adozione di decisioni che non dia luogo ad alienazione tra l’individuo e le decisioni prese. Per socialismo intendo la realizzazione degli ideali della Rivoluzione Francese: libertà, uguaglianza e fraternità.
Una famosa definizione di Pëtr Kropotkin, contenuta nell’articolo relativo all’anarchismo sulla Enciclopedia Britannica, è questa: "Anarchismo è il nome dato ad un principio o teoria di vita e condotta che comprende una società senza governo. In una simile società l’armonia viene raggiunta non mediante la sottomissione alla legge, o per obbedienza ad una qualche autorità, ma attraverso liberi accordi raggiunti tra i diversi gruppi, territoriali e professionali, costituiti per la produzione e il consumo, così come per soddisfare l'infinità varietà di bisogni e aspirazioni di una vita evoluta ... ". Altri due pensieri interessanti, secondo me, sono i seguenti: " Con questa parola (anarchia) ho voluto identificare il termine estremo del progresso politico. L’anarchia è, se così posso dire, una forma di governo, o di costituzione, in cui la coscienza pubblica e privata, educata mediante lo sviluppo della scienza e del diritto, è autosufficiente per mantenere l’ordine e garantire ogni libertà, dove in conseguenza il principio di autorità, le forze di polizia, le misure di prevenzione o di repressione, il funzionarismo, l’erario, ecc., vengono ridotti alle loro più semplici espressioni … ". [P.J. Proudhon, Correspondence, vol. XIV, Paris 1875, p. 32]. « … Il principio fondamentale dell’anarchia, la sicurezza del più libero sviluppo delle possibilità attraverso un’effettiva solidarietà e il rifiuto dell’oppressione e della schiavitù volontaria». [M. Nettlau, Anarchisten und Sozialrevolutionare Entwicklung des Anarchismus in den Jahren 1880-1886, Berlin 1931, p. 5]).

venerdì 1 dicembre 2017

Quarant’anni fa … il ’77 (capitolo XXXIV)

19 settembre: A Torino all’1,15 in via San Secondo davanti al numero 104 viene ferito con tre colpi di rivoltella alle gambe il giornalista dell’Unità Nino Ferrero critico cinematografico da due giovani di  Azione Rivoluzionaria poi fuggiti su una 128 rossa. A Bergamo, dopo 15 anni di tortura e sbattuta da un manicomio all’altro, Palmira Valle, di 29 anni, viene trovata morta legata a un letto di contenzione in un reparto del neuropsichiatrico provinciale di Bergamo. La donna era stata legata perché sentiva il bisogno di denudarsi. La morte è avvenuta per soffocamento dovuto ad una traversina che la legava. A Trieste, gran casino alla giornata di chiusura del congresso degli psichiatri. La scintilla è partita da “MARGE” il gruppo francese che si definisce composto da ex-delinquenti, emarginati, folli, prostitute, appoggiato dagli autonomi italiani. Il convegno viene definito come una specie di salotto per intellettuali e a Basaglia viene impedito di parlare. Nella fuga quest’ultimo si rompe una costola. 
20 settembre: a Roma, mentre centinaia di studenti fuori sede esprimono solidarietà nei confronti dei sette giovani arrestati a luglio, durante una perquisizione nella «Casa della Studentessa» a Casal Bertone e ora processati a piazzale Clodio, nella facoltà di Lettere si tiene un’assemblea in preparazione del corteo di mercoledì. Il giornalista dell’Unità Piero Sansonetti viene espulso dall’ assemblea per la seconda volta. Alla fine interviene Daniele Pifano, che accusa gli oppositori dell’Autonomia di pensare alla polizia «come a un corpo democratico e non a un apparato repressivo». Al consiglio dei ministri, viene data la notizia che la repubblica federale tedesca respinge la richiesta italiana di estradizione per Herbert Kappler. Il governo modifica la legge Reale: viene introdotto l’arresto domiciliare; vengono depenalizzati alcuni reati minori; diventano delitto gli attentati a impianti di pubblica utilità e gli atti preparatori di insurrezione, rapine, sequestri. 
21 settembre: a Torino, a mezzanotte e un quarto, una bomba ad alto potenziale distrugge la centralina del metano che serve al riscaldamento del Palasport, dove era in programma una manifestazione organizzata dai partiti democratici e dagli enti locali. L’attentato viene rivendicato da Azione Rivoluzionaria. Sempre più o meno alla stessa ora, un’altra esplosione, seguita da un incendio distrugge parzialmente l’officina 72 di Mirafiori, l’attentato viene rivendicato dal Nucleo Operaio Tonino Miccichè, un compagno di LC ucciso tempo fa da una guardia giurata.. Sempre all’interno della Fiat Mirafiori, nella stessa notte, una 131 viene data alle fiamme. A Bologna, un operaio militante di LC, Alberto Magri, di 20 anni, soprannominato “Zero” dagli amici, che gli sta mostrando una pistola travata in via Pratello. Sempre a Bologna, poco prima delle 22 scoppia una bomba al tritolo contro la caserma dei carabinieri in via dei Barbieri 46. A Roma, si svolge senza incidenti un corteo del movimento per la libertà dei compagni arrestati. I detenuti politici del movimento sono 24, tra cui Paolo Tomassini e Daddo Fortuna, quelli arrestati nei mesi più caldi del movimento e quelli arrestati più recentemente, nel corso della lotta contro la centrale nucleare a Montalto di Castro. La manifestazione pacifica e di massa, con 15.000 partecipanti, va da piazza Esedra a piazza Navona (slogan contro piazza del Gesù: «Enrico, Enrico, lo sappiamo che sei lì. Fuori, fuori dalla diccì» e contro i poliziotti in tuta antiproiettili e scafandro, su ritmo degli slogan scanditi allo stadio: «Paaalombari, Saaaldatori, Aaaastronauti»). A piazza Navona, dopo che un gruppetto di indiani ha scandito slogan contro l’Autonomia («Oggi più che ieri, Volsci, Volsci corazzieri»), l’indiano Beccofino viene gettato nella fontana. Al termine della manifestazione la polizia effettua alcune perquisizioni personali e arresta un giovane, Maurizio Barberis, di 21 anni, trovato in possesso di una pistola. Sempre a Roma, viene depositata la sentenza di assoluzione della guardia di custodia Domenico Velluto, per l’omicidio di Mario Salvi. Secondo i giudici della Corte d’assise, a cui non risulta che Salvi stesse per estrarre una pistola, è legittimo sparare contro chi scappa, perché impedisce l’identificazione.

LA BANDA BONNOT (da piccoli)

Jules Bonnot, da ragazzo colleziona furtarelli di poco conto, abbassa la cresta a qualche galletto di quartiere e fa la pelle a un losco individuo il cui cadavere viene ripescato nella Moselle. Viene imprigionato dopo aver usato un tirapugni americano sulla faccia dei gendarmi di quartiere. Quando esce dal carcere ha una lite violenta con il padre perché non la pianta di fargli prediche e scenate. Nonostante sia diventato conducente e meccanico  di Sir Arthur Conan Doyle, continua con le sue bravate. Diventa bravo a rubare bici e motocicli, a far circolare alcool di contrabbando, a trafficare automobili, a fabbricare monete false per macchinette a gettoni, poi banconote false, a forzare casseforti con la fiamma ossidrica e ad assaltare treni.

Octave Garnier, già da quando lavorava sullo sdoppiamento della linea Dieppe-Pontoise, fomentava scioperi ed esortava all’eliminazione dei gallonati di qualunque specie. Chiamato alle armi, diserta. Accampato insieme a Callemin nei locali del giornale l’Anarchie, dove c’è perfine una postazione di tiro al bersaglio. All’insaputa del responsabile del luogo Victor Serge, si mette a stampare banconote false e carte da ispettori di sicurezza. Con Carouy, e spesso Metge il cuciniere, ruba macchine da scrivere, statuine stoffe pregiate e organizza razzie negli uffici postali, nelle esattorie e nelle verande degli ufficiali.

Raymond Callemin, poi Raymond la Scienza, fin da piccolo era imbattibile nel rubare leccornie per poi gustarle sui tetti del Palazzo di Giustizia di Bruxelles. Pizzicato a 17 anni durante una delle sue imprese illegali non trova più nessun tipo di lavoro. Quindi la strada del banditismo lo travolge: di volta in volta viene accusato di furto nei locali pubblici, di percosse e lesioni su persone addette alla sorveglianza, di frode ferroviaria, di pestaggio contro il padrone di un cantiere.

Andrè Soudy, a 13 si fa un mese per aver sostenuto degli scioperanti con dei volantini del sindacato dei droghieri. L’anno dopo per resistenza e oltraggio agli agenti che viene nuovamente incarcerato. Torna nuovamente in carcere per furto e ricettazione. I suoi soggiorni nelle patrie galere gli danno tutto il tempo per leggere Stirner e Nietzsche. 

LINSURREZIONE IN UCRAINA DURANTE LA RIVOLUZIONE RUSSA

Alcuni spiegano il suo nascere esclusivamente con l'occupazione austro-tedesca e col regime dello hetman ( ufficio governativo storico e istituzione politica dell'Ucraina equivalente a un capo di stato). L'insurrezione ha le sue radici nei motivi più profondi della rivoluzione russa ed è un tentativo dei lavoratori per portare la rivoluzione sino al suo termine: la liberazione effettiva e il governo del lavoro. Gli austro-tedeschi e la reazione dei proprietari non fecero che anticipare l'apparizione di questo movimento.
Il movimento prese subito larga diffusione. I contadini si sollevavano dappertutto contro i proprietari, li uccidevano o li cacciavano, prendendo per sé terra e beni, senza risparmiare in questa azione gli oppressori stranieri. Ne seguì una serie di repressioni spietate da parte dei tedeschi e delle autorità locali,che uccidevano in massa i contadini dei villaggi insorti, bruciando ogni loro avere. In breve tempo centinaia di villaggi patirono la rappresaglia furiosa della casta dei militari e dei proprietari. Questo accadde nel giugno luglio agosto del '18. Allora i contadini fedeli al loro movimento cominciarono ad agire con i metodi della lotta partigiana. Quasi per forza di una organizzazione invisibile, e quasi contemporaneamente in diverse parti del paese, sorse un gran numero di brigate partigiane, che cominciarono a operare incursioni contro i proprietari le loro guardie e i rappresentanti della autorità. Solitamente queste brigate partigiane, che consistevano di 20, 50, 100 uomini a cavallo ben armati, operavano assalti rapidi e inaspettati alle case dei possidenti e alla guardia nazionale di determinate località, uccidevano tutti i nemici dei contadini e poi scomparivano.
Le vaste rivolte di interi villaggi non erano affatto preparate e parevano l'erompere di una forza naturale, così le azioni partigiane erano condotte esclusivamente da contadini, senza la guida di nessuna organizzazione politica.
Il metodo insurrezionale pose i contadini nella situazione di dover curare da sé il movimento, di doverlo guidare da soli e da soli condurlo alla vittoria. Nel corso di tutta la lotta con lo hetman e i possidenti, anche nei momenti più duri di questa lotta, i contadini rimasero soli di fronte al nemico, organizzato armato feroce. Il suo tratto più caratteristico, là dove esso
rimase sino all'ultimo movimento di classe e non cadde sotto l'influenza di elementi partitici o nazionalistici, non fu soltanto il fatto di uscire dal cuore della massa contadina, ma anche la coscienza comune a tutti i contadini di essere essi stessi i dirigenti del loro movimento. Di ciò erano convinte le brigate partigiane e se ne gloriavano, sentendo in sé la forza della loro grande missione. Le feroci repressioni della controrivoluzione diretta dai possidenti non ostacolarono il movimento, ma lo allargarono, estendendolo a tutte le località. Durante il corso stesso del movimento i contadini, unendosi, si avvicinavano a un comune piano di azione rivoluzionario. Questa unione perseguiva pure lo scopo di trarre dalla massa rivoluzionaria dei contadini una forza reale e organizzata, che potesse combattere contro qualsiasi controrivoluzione e salvare la libertà e la terra del popolo insorto.
La parte più importante in questa opera di unificazione, come in quella dello sviluppo generale del movimento rivoluzionario nel Sud dell'Ucraina, fu svolta dalla brigata di insorti condotta dal contadino indigeno Nestor Machnò.