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giovedì 29 marzo 2012

Ricongiungimento alla terra è un progetto di vita

Per la maggioranza degli anarchici ecologisti, anticivilizzazione e primitivisti, il ritorno e il ricongiungimento alla terra è un progetto di vita. Non si limita all’elaborazione intellettuale o alla pratica di tecniche primitive, ma si propone di raggiungere una profonda comprensione dei modi pervasivi in cui veniamo addomesticati, divisi e separati da noi stessi, dagli altri e dal mondo, e di compiere l’enorme impresa quotidiana di tornare integri. Il ritorno al selvaggio ha una componente fisica che comprende la riappropriazione di tecniche e lo sviluppo di metodi di coesistenza sostenibili, tra cui il modo in cui alimentarsi, trovare riparo e guarire con le piante, gli animali e le sostanze naturalmente presenti nelle nostre bioregioni. Comporta inoltre lo smantellamento delle manifestazioni fisiche, dell’apparato e delle infrastrutture della civiltà. Il ritorno al selvaggio ha anche una componente emotiva, che significa guarire noi stessi e gli altri dalle profonde ferite che ci affliggono da 10.000 anni, imparare a vivere insieme in comunità non gerarchiche e non repressive e debellare la mentalità addomesticante nei nostri modelli sociali. Il ritorno al selvaggio significa dare priorità all’esperienza diretta e alla passione rispetto alla mediazione e all’alienazione, ripensare ogni dinamica e ogni aspetto della nostra realtà, entrare in contatto con la nostra furia selvaggia per difendere le nostre vite e lottare per un’esistenza liberata, riponendo maggior fiducia nel nostro intuito e restando in contatto diretto con i nostri istinti, ristabilendo l’equilibrio di fatto distrutto dopo migliaia di anni di controllo e addomesticamento patriarcale. Il ritorno al selvaggio è il processo attraverso il quale si diventa incivili.

LA DERIVA PSICOGEOGRAFICA

L'Internazionale Lettrista sperimenta teorie architettoniche e comportamentali in base alle quali l'architettura influenza il comportamento di chi la abita ed essendo essa stessa l'espressione della classe dominante esercita una coercizione fisica, psichica, dei cittadini-sudditi. “I diversi quartieri di questa città potrebbero corrispondere all'intera gamma di umori che ognuno di noi incontra per caso nella vita di ogni giorno”. Questo concetto di urbanismo apriva inesorabilmente le porte alla Psicogeografia.
La Psicogeografia è un gioco e allo stesso tempo un metodo efficace per determinare le forme più adatte di decostruzione di una particolare zona metropolitana, le forme più adatte a far saltare il reseaux traiettoriale, "il moto-controllo delle forme di vita metropolitane" e a sabotare il Codice del Surluogo. Attraverso il gioco psicogeografico si prefigura un nuovo modo di vivere la città, ci si procura gli elementi per una critica radicale all'urbanistica funzionalista e razionalista delle società spettacolari. La tecnica dell'esplorazione psicogeografica è la Deriva, un passaggio improvviso attraverso ambienti diversi. Con la Deriva Lettrista apparve per la prima volta l'esigenza di azzerare lo spazio tramite un "bouleversement" psichico della città che permettesse la realizzazione della "creatività pura", la terra doveva far corpo senza organi con il nomade, non si trattava più di un automatismo psichico ma di un divertente gioco per indizi, di corrispondenze tra psiche e territorio, di infrazioni e nuove connessioni. La Deriva Lettrista consisteva dunque in una semplice passeggiata che favorisse l'ispirazione per la costruzione di una nuova città che avrebbe visto nascere il progetto di "Sconvolgimento dell'Architettura".
 Uno dei progetti-gioco più interessanti fu proposto dall’Internazionale Lettrista nel 1955 sulle pagine della loro rivista Potlatch: "Progetto di migliorie razionali della città di Parigi”. In questo progetto i Lettristi proposero di aprire i tetti della città al passeggio mediante la creazione di passerelle, di munire di interruttore tutti i lampioni delle strade, di distruggere totalmente le chiese riutilizzandone lo spazio, di amplificare le sonorità delle stazioni con la diffusione di registrazioni provenienti da altre stazioni e da porti, di sopprimere i cimiteri (distruggendo, senza lasciare alcun genere di tracce, i cadaveri), di abolire i musei e sistemare le opere d'arte nei bar, di aprire le prigioni per potervi fare soggiorni turistici chiaramente senza discriminazione tra visitatori e condannati, di spostare le statue cambiandone i titoli sia in senso politico che disorientante e di cambiare i nomi delle strade (specialmente quelli dei consiglieri municipali, il vocabolo "santo", i partecipanti alla Resistenza, ecc.) per porre fine al rimbecillimento della gente.
L'idea è quella di aprire la città, renderla accessibile a chiunque, andare oltre i limiti imposti dalle regole territoriali e sociali, rendere riscrivibili e reinterpretabili le aree depresse della città.

LE MANI IN TASCA di Benjamin Péret

Nessuna esitazione e vedrete la linea della vita
Del pane tagliato in tutta la sua lunghezza
È una valle profonda dove scorre un fiume di latte acido
La cui corrente trasporta migliaia di ali
Che sbattono senza posa per provocare il furore delle acque
Ma no esse ridono come un fischio d’ammirazione
Indirizzato dai bassifondi di Chicago
Alla ragazza nuda che si contempla allo specchio
Che applaude fragorosamente
E un pesce volante erra intorno a lei
Criticandola
Il suo occhio destro concentra tutto il mare e il suo sale che brilla al sole
Mentre l’altro presagisce l’autunno
Ascolta i frutti maturi che cadono al suolo
Con un rumore di schiaffo immeritato
Che dirà la terra
E il tuo seno destro che figura un colpo di cannone
Sparato in onore delle anatre selvatiche
Che migrano nel tuo sangue
Mentre il tuo seno sinistro si ricorda
Del segnale di confine che per tanto tempo
Lo ha privato delle carezze del sole che sorgeva
Frusciante sotto il suo ombrello color dei due mondi
Dove si riparano bastimenti a quattro alberi
Lamenti a denti di sega sbreccata
E colpi d’occhio complici come casseforti aperte
Riempite dal soffio leggero
Degli enigmi risolti

giovedì 22 marzo 2012

IL ROVESCIAMENTO DI PROSPETTIVA

L’emancipazione non ha peggior nemico di chi pretende di cambiare la società e non smette di dissimulare, esorcizzandolo, il vecchio mondo che si porta dentro. Procuratori della rivoluzione, sniffatori di radicalità, bottegai del merito e del demerito, questi sono gli avversari corazzati di nevrosi contro cui va a urtare, con incredibile violenza, tutto quello che comincia a muoversi al ritmo di una vita senza coercizioni.
Vivere controcorrente la vita, questa è la norma. Pertanto il rovesciamento di prospettiva si opera sotto ai nostri occhi, scombussolando gli architetti dell’inversione. Esso segna la fine dell’era economica alla soglia dell’autogestione generalizzata. Tiene occupato il cuore di tutti e sta al centro delle condizioni storiche. Fonda sulla gratuità dei godimenti il sabotaggio del circuito mercantile che paralizza i muscoli e spezza i nervi per inibire il desiderio in nome del lavoro, del dovere, della costrizione, dello scambio, del senso di colpa, del controllo intellettuale, della volontà di potenza. In esso, ciò che uccide con le migliori delle ragioni, si separa da quello che spinge a vivere senza ragioni. In esso, il rifiuto della sopravvivenza è vinto dall’affermazione della vita insaziabile.
La rivoluzione non è più nel rifiuto della sopravvivenza, ma in un godimento di sé che tutto congiura ad interdire, a cominciare dai sostenitori del rifiuto. Contro la spettacolarizzazione del corpo e dei desideri, la sola arma alla portata di tutti è il piacere senza riserve e senza contropartita.

DEATH prison

“ Due pietre cadono sulla porta d’acciaio invisibile
Due ore nate per caso, morte ogni giorno … ”
  (Franti)


Spettrali strutture di cemento, o sagome massiccie di pietra.
Uomini armati sui camminamenti.

Filo spinato, profili di mezzi blindati. Isolamento dai territori, dai legami, dagli affetti, la violenza dei pestaggi e delle perquisizioni corporali; dei trasferimenti improvvisi; dell’imposizione e regolamentazione dei ritmi della giornata in cui non è possibile ritagliare nessun spazio proprio; la spersonalizzazione di una cella spoglia in cui nessun oggetto può diventare familiare ma rimane permanentemente freddo; estraneo, distaccato; l’asetticità di un colloquio con i vetri; la separazione; la lontananza.
I corpi vengono tastati e frugati continuamente; dal muro di cinta ascoltano le voci, nei cortili, nei corridoi ci sono microfoni, i colloqui vengono registrati, la corrispondenza saccheggiata e censurata; l’occhio sempre vigile delle telecamere nelle docce e nei cessi.
Carcere fuori dal tempo e dagli spazi della vita.
Carcere significa morte e resurrezione.
Chi ne ha varcato le mura buie, è sceso all’inferno, ha camminato in tenebre spettrali.
È un toccato che ha conosciuto la faccia nascosta dell’universo dei vivi.


(Archivio Bodo’s Project 1984)

L’ideale rivoluzionario di Carlo Cafiero

Il nostro ideale rivoluzionario è molto semplice: si compone, come quello di tutti i nostri predecessori, di questi due termini: libertà ed eguaglianza.
Vi è solo una piccola differenza. Ammaestrati dall'esperienza degli inganni commessi dai reazionari di ogni tipo e in ogni tempo per mezzo delle parole libertà ed eguaglianza, abbiamo ritenuto opportuno mettere a fianco di questi due termini l'espressione del loro esatto valore. Queste due monete preziose sono state falsificate tanto sovente che noi vogliamo in via definitiva conoscerne e misurarne esattamente il valore.
Affianchiamo dunque a questi due termini, libertà ed eguaglianza, due equivalenti, il cui significato preciso non può dar luogo a equivoci e diciamo: “Vogliamo la liberta, cioè l'anarchia, e l'eguaglianza, cioè il comunismo”.
L'anarchia, oggi, è l'attacco; è la guerra a ogni autorità, a ogni potere, a ogni Stato. Nella società futura, l'anarchia sarà la difesa, la barriera contro la restaurazione di qualsiasi autorità, di qualsiasi potere, di qualsiasi Stato: libertà piena e completa dell'individuo, che liberamente e spinto soltanto dai propri bisogni, gusti e simpatie, si unisce ad altri individui nel gruppo o nell'associazione; libero sviluppo dell'associazione che si federa con altre nel comune o nel quartiere; libero sviluppo dei comuni che si uniscono in federazione nella regione e così via, delle regioni nella nazione, delle nazioni nell'umanità.
Il comunismo attualmente è ancora l'attacco; non è la distruzione dell'autorità, ma la presa di possesso in nome di tutta l'umanità di ogni ricchezza esistente sulla terra. Nella società futura il comunismo sarà il godimento di tutta la ricchezza esistente da parte di tutti gli uomini, secondo il principio: da ciascuno secondo le sue facoltà, a ciascuno secondo i suoi bisogni, vale a dire: da ciascuno e a ciascuno secondo la sua volontà.
Bisogna tuttavia notare - e ciò in risposta soprattutto ai nostri avversari, i comunisti-autoritari o statalisti - che la conquista e il godimento di tutta la ricchezza esistente debbono essere, secondo noi, opera del popolo stesso. Non essendo né il popolo né l'umanità degli individui che possano afferrare la ricchezza e tenerla tra le mani, se ne è voluto concludere, è vero, che per questa ragione bisogna istituire tutta una classe di dirigenti, rappresentanti e depositari della ricchezza comune. Ma noi non siamo di questo parere. Nessun intermediario, nessun rappresentante, che finisce sempre per rappresentare solo se stesso! Nessun moderatore dell'eguaglianza e nemmeno nessun moderatore della libertà! Nessun nuovo governo o nuovo Stato, per quanto possa definirsi popolare o democratico, rivoluzionario o provvisorio.

Poiché la ricchezza comune è diffusa su tutta la terra e appartiene di diritto all'umanità intera, coloro che si trovano alla portata di questa ricchezza e in grado di utilizzarla la sfrutteranno in comune. Gli abitanti di un dato paese utilizzeranno la terra, le macchine, i laboratori, le case ecc., e se ne serviranno tutti in comune. Come parte dell'umanità, eserciteranno di fatto e direttamente il loro diritto a una parte della ricchezza umana.

giovedì 15 marzo 2012

Il libero monatanaro di Elisee Reclus, 1880

Una delle grandi cause che hanno contribuito a mantenere l'indipendenza di alcune popolazioni di montagna è che il lavoro solitario e gli sforzi comuni sono di per se una necessita. Tutti sono utili  per ciascuno e ciascuno lo è per tutti.
Quando accade un disastro occorre che tutti si aiutino a vicenda per riparare il male, se la valanga ha ricoperto alcune capanne  tutti lavorano a sgomberare la neve, se la pioggia ha dilavato i campi coltivati a terrazza sui pendii tutti si adoperano a riprendere la terra franata sul fondo;  se il torrente tracimato ha riempito i campi di ciotoli tutti si impegnano a liberare i prati da quei detriti. D'inverno quando è pericoloso avventurasi fra le nevi contano sull'ospitalità reciproca. Sono tutti fratelli.
Quando perciò vengono assaliti resistono di comune accordo, mossi per così dire da un solo pensiero. D'altronde la vita di lotte incessanti di combattimenti senza tregua  contro pericoli di ogni genere forse anche l'aria pura, salubre che respirano ne fanno uomini arditi e sprezzanti della morte. Lavorano pacifici, non attaccano, ma sanno difendersi. 

I RIBELLI

Elegia della ribellione eretica, significa praticare l’antico principio secondo il quale l’uomo libero è colui che esprime la propria sovranità di fronte alla legge, agli interessi, ai dettami dei valori dominanti, non ha partiti, né chiese ai quali appartenere, non ha terre né cieli da conquistare, non ha né individui né popoli da sottomettere. L’uomo libero crede nell’amore di sé e per gli altri, ma soprattutto fa tutto ciò che il suo dissidio gli suggerisce. I percorsi in utopia dell’uomo libero sono un invito alla resistenza e una via aperta alla clandestinità, le sue armi non stanno nelle caserme, nelle redazioni dei giornali, nelle sedi dei partiti, le armi dell’uomo libero sono nella sua testa, nelle sue mani, nell’amore per tutto quanto è estremo e trasognante.
I ribelli di ogni luogo sono liberi di cambiare il mondo e di introdurvi i venti irrequieti della diversità che annunciano il nuovo. Turbare le menzogne politiche della legalità è passare ad un altro punto di vista e cercare di destabilizzare le istituzioni è un passaggio necessario per farle naufragare nella loro indecenza.
La disobbedienza civile e la ribellione dei poveri, degli umiliati, degli offesi, sono il percorso accidentato verso una società più giusta e più umana. La radicalità della ribellione si fonda sulla richiesta di comunità, sulla fine dei falsi idoli, sulla caduta delle dottrine del consenso sociale. La ribellione afferma un diritto, il rifiuto dell’obbligazione politica e della genuflessione alla potenza delle istituzioni. I dogmi della società sono specchi dell’obbedienza che rientrano nel campo delle necessità private, mentre la visione e l’azione del ribelle rientra nel campo della libertà pubblica. La vera libertà è quella che ci costruiamo con le proprie mani e con le proprie idee. La disobbedienza del ribelle non risente dell’obbligo morale di rispettare la legge né le giustificazioni economiche, politiche degli indici della Borsa lo interessano, perché non c’è nessun fondamento civile che giustifichi la cattività nella quale è tenuta dai paesi ricchi una grande parte di umanità.
Nel ribelle cova l’uomo nuovo, l’uomo planetario, l’uomo dall’animo nobile che grida fuori dalle masse silenziose il proprio amore per la bellezza, la giustizia, la libertà di tutti gli uomini. Il ribelle non perdona né archivia, strappa ciò che è stato fatto, ed è capace di dar luogo a un nuovo inizio proprio là dove tutto sembrava concluso.

Volunteers - Jefferson Airplane

Guardate cosa sta accadendo fuori nella strada:
è la rivoluzione, dobbiamo fare la rivoluzione!
Hey sto danzando giù nella strada,
è la rivoluzione, dobbiamo fare la rivoluzione!
Non è sorprendente tutta la gente che incontro?
E’ la rivoluzione, dobbiamo fare la rivoluzione!
Una generazione è invecchiata
una generazione ha trovato la sua anima.
Questa generazione non ha mete da raggiungere:
raccogliete il grido.
Hey, adesso è il momento per voi e per me.
E’ la rivoluzione, dobbiamo fare la rivoluzione!
Su, venite, stiamo marciando verso il mare,
è la rivoluzione, dobbiamo fare la rivoluzione!
Chi vi spazzerà via?
Saremo noi. E chi siamo noi?
Siamo i volontari d’Amerika,
i volontari d’Amerika,
i volontari d’Amerika!

giovedì 8 marzo 2012

Arriva il momento in cui il fuoco sprigiona dalla cenere che lo soffocava

Da quando la tirannia del lavoro è stata assorbita dalla tirannia del denaro, un grande vuoto monetizzabile si è impadronito delle teste e dei corpi.
Quelli che incitano al lavoro sono gli stessi che lo distruggono.
Quelli che osano oggi glorificare il lavoro sono gli stessi che chiudono le imprese per giocarsele in borsa alla roulette delle speculazioni borsistiche.
Ubbidendo alla logica del profitto a breve termine, il valore d’uso del lavoro cede il passo al suo valore di scambio. Per quanto l’oscurantismo della nostra epoca  e la società dello spettacolo si sforzano di propagare l’istupidimento, l’insensibilità, il servilismo, la legge del più forte e del più furbo, niente potrà impedire al pensiero radicale di avanzare e di minare di nascosto lo spettacolo in cui la miseria esistenziale è elevata a virtù. La notte delle coscienze ha un tempo unico. Non c’è riuscita possibile per le ideologie ammuffite e per le vecchie gomme sgonfie della religione rigonfiate in tutta fretta, rimesse in sesto, gettate in pasto a una disperazione che l’affarismo è bravo a rendere redditizia.
Nel bene e nel male è iniziata la fine dello sfruttamento della natura, la fine del lavoro, dello scambio, della predazione, della separazione da sé stessi, del sacrificio, dei sensi di colpa, della rinuncia al piacere, del feticismo del denaro, del potere, dell’autorità gerarchica, del disprezzo e della paura della donna, della subornazione del bambino, dell’ascendente intellettuale, del dispotismo militare e poliziesco, delle religioni, delle ideologie, della rimozione e dei suoi sfoghi mortiferi.
Non c’è che la volontà di vivere che permetta il predominio dell’essere sull’avere, del godimento sull’appropriazione, della creazione sul lavoro e dall’affinamento dei piaceri sulla redditività delle loro rappresentazioni mercantili.
Per questo dobbiamo scommettere sull’autonomia degli individui, sulla collettività che federandosi getteranno le basi di una società solidale e su quella facoltà creatrice che è in ciascuno e che la necessità di lavorare ha sempre ostacolato.

   

ERASERHEAD la mente che cancella di David Lynch

Un demiurgo maligno, dal volto sfigurato di cicatrici, comanda, tramite un sistema di leve, l’arrivo sul pianeta di feti umani mostruosi, bombardando la terra di larve vermiformi che aspettano solo, per svilupparsi, le occasioni offerte da quella pulsione generatrice di mostri che è lo stimolo sessuale, anche chiamato, più romanticamente, amore.
Il feto dall’aspetto di coniglio scuoiato, nato prematuramente, è il prodotto di una fecondazione astrale a carattere maligno, che ha scelto due giovani (Henry e Mary) come tramiti inconsapevoli: ma appare chiaro che questi presunti genitori sono affetti da un grado di mostruosità solo leggermente attenuato rispetto a quello della loro creatura.

Se questa sembra una larva abominevole, un aborto animale da incubo, che tuttavia si lamenta, piange, può ispirare pietà, proprio come un bambino, Mary è soggetta a crisi di epilessia e afflitta a sua volta da una madre vampira e da una nonna catatonica, mentre suo padre alleva polli sintetici che, per quanto cotti nel forno, si rifiutano di morire ed emettono, se si cerca di tagliarli, schizzi nauseabondi di liquido nero. Quanto a Henry, non è facile capire da quale strana congiuntura astrale anche lui sia nato. Non si può dire sia mostruoso, ma goffo certamente si, con la sua giacchetta nera, i pantaloni troppo corti, le ghette bianche che a ogni movimento si inzaccherano. Ha l’aria perennemente sperduta di chi non sa come sia capitato al mondo. Abita in una desolata periferia industriale, tra edifici abbandonati, dai quali tuttavia continuano a provenire rumori di officine fantasma.
Eraserhead non ha nulla della facilità delle inversioni e invenzioni surrealiste, né della studiata figuratività espressionista. Eraserhead stupisce per la capacità di tener fede alla forma linguistica dell’incoscio senza dimenticare di comprendervi la follia ossessiva e lucidamente illuministica di tale stessa intrapresa, senza cioè abbandonarsi al mimetismo onirico. Eraserhead riesce in questo nonostante la fortissima connotazione fantastica di ogni immagine e di ogni inquadratura.
Il suono che ne arriva è ogni volta almeno doppio, come lo è fisicamente nel film (grazie al lavoro di Alan Splet). Realistico e infernale rumore di una periferia cittadina, ma anche suono di fondo del mondo che ruota dentro il vuoto cosmico; un’orrenda disarmonia delle sfere che rompe la rassicurante e abituale omogeneità del suono filmico, eterno garante della riconoscibilità dei singoli oggetti cinematografici.
Cinema anarchico, dove Lynch con Eraserhead dimostra che anche nel cinema le leggi non esistono, e se esistono, esistono solo per essere violate.


“Un film dovrebbe camminare con le proprie gambe. E’ assurdo che un regista debba spiegarne il significato a parole. Il mondo creato nel film è un prodotto della fantasia e talvolta le persone amano entrarci. Per loro quel mondo è reale.” David Lynch  

Libertà di parola di Elisee Reclus

E la libertà di parola? E la libertà d’azione? Non sono conseguenze dirette e logiche della libertà di pensiero? La parola è solo il pensiero divenuto sonoro, l’azione il pensiero divenuto visibile. Il nostro ideale comporta dunque per ognuno la piena e assoluta libertà di esprimere il proprio pensiero su ogni cosa scienza, politica, morale  senza altro limite se non quello del rispetto per gli altri; comporta anche il diritto di ognuno di agire come meglio gli aggrada, di fare ciò che vuole, pur associando ovviamente la propria volontà a quella degli altri uomini in tutte le opere collettive; la sua libertà individuale non si trova affatto limitata da questa unione, aumenta invece, grazie alla forza della volontà comune. Va da sé che questa assoluta libertà di pensiero, di parola e di azione è incompatibile con la conservazione di quelle istituzioni che pongono un limite alla libertà di pensiero, che fissano la parola sotto forma di impegno definitivo, irrevocabile, e pretendono anche di costringere il lavoratore a incrociare le braccia, a morire d’inedia per ordine di un padrone.
I conservatori non si sono affatto sbagliati quando hanno chiamato i rivoluzionari in  modo generico «nemici della religione, della famiglia e della proprietà». Sì, gli anarchici respingono l’autorità del dogma e l’intervento del soprannaturale nella vita umana; in questo senso, per quanto ferventi nella lotta per il loro ideale di fraternità e di solidarietà, sono nemici della religione. Sì, vogliono l’abolizione del mercimonio matrimoniale, vogliono le unioni libere che si reggono solo sul reciproco affetto, sul rispetto di sé e della dignità altrui; in questo senso, per quanto teneri e devoti verso coloro coi quali condividono l’esistenza, sono nemici della famiglia. Sì, vogliono eliminare l’accaparramento della terra e dei suoi prodotti per restituirli a tutti; in questo senso, la gioia che proverebbero nel garantire a tutti l’usufrutto dei beni della Terra ne fa dei nemici della proprietà.

venerdì 2 marzo 2012

SPERIMENTIAMO ANCORA NELL’OSCURITA’


Sperimentiamo ancora nell’oscurità. L’arma più potente che la società possiede è la sua capacità a di impedirci di scoprire le armi che noi possediamo già e le loro istruzioni per l’uso. Dobbiamo praticare un’ “analisi delle resistenze” sulla società stessa, interpretando soprattutto non il suo contenuto, ma le sue resistenze “all’interpretazione”. Ogni azione sovversiva è sperimentale, come il gesticolare di un bambino a moscacieca. È facendo la storia che si impara a comprenderla; è giocando contro il sistema che si scoprono le proprie debolezze, là dove reagisce. Si impara più precisamente come il sistema opera osservando come opera sui suoi più precisi nemici.
Il movimento rivoluzionario è un laboratorio che provvede ai suoi materiali. Tutte le alienazioni vi riappaiono in una forma concentrata. I suoi fallimenti sono altrettanti filoni che celano i minerali più preziosi. Il suo principale compito è sempre quello di esporre la sua miseria, che sarà continuamente presente, sia nella forma di semplici ricadute nella miseria dominante del vecchio mondo che combatte, sia in quella delle nuove miserie create dai suoi stessi successi. Questo sarà sempre il “presupposto di ogni critica”. Quando il dialogo si sarà armato, potremo tentare le nostre possibilità sul terreno del positivo. Fino a quel momento, il successo di un gruppo rivoluzionario è triviale o pericoloso. Seguendo in ciò la produzione mercantile, dobbiamo apprendere a forgiare organizzazioni di cui sia prevista “l’obsolescenza”. La rivoluzione perde tutte le sue battaglie, eccetto l’ultima. Il nostro scopo deve essere di fallire chiaramente, ogni volta, a molte e molte riprese. Tutto ciò che è frammentario ha il suo posto di riposo, il suo posto nello spettacolo.
Bisogna essere crudeli con il nostro passato e con tutti coloro che vorrebbero trattenerci.

PRINCIPIO RIVOLUZIONARIO DELLA LIBERTA’


Due sono i caratteri fondamentali della libertà: positivo e negativo.
La libertà positiva denota lo stato di godimento della libertà, la libertà negativa quello della lotta contro il suo massimo impedimento: il principio di autorità. La rivolta dell’individuo contro ogni autorità divina e umana, collettiva e individuale rimanda infatti proprio al principio di autorità: ogni autorità, infatti, non può altro che significare il principio di autorità. Contro di esso pertanto non può che ergersi il principio opposto, il principio rivoluzionario della libertà.
La libertà è rivoluzionaria non quando attacca un’autorità storicamente determinata, nella sua materiale e finita esistenza, ma quando ne demolisce il principio informatore, la cui natura non può che essere metafisico-universale in quanto essa, per l’appunto, è ravvisabile in ogni particolare concretezza storica. Il principio informatore, ovvero il concetto sottoteso dell’esistenza specifica di  ogni realtà storicamente data. Ecco perché Bakunin si pone contro i due massimi archetipi dell’autorità: l’archetipo divino e quello mondano, ovvero Dio e lo Stato. Essi non sono due entità ideali, ma due principi attivi, reali, sono le colonne sulle quali si regge l’ordine gerarchico che governa il mondo. Perciò solo assaltando il supremo principio metafisico del cielo e della terra diventa possibile demolire ogni sua fenomenologia materiale e dunque avviare la dissoluzione di tutte le organizzazioni e istituzioni religiose, politiche, economiche e sociali attualmente esistenti
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