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giovedì 24 novembre 2022

Il corpo umano: la nuova frontiera del capitale

Fin dalle prime spedizioni capitalistiche occidentali la civilizzazione è stata rappresentata come una categoria purificante, una categoria che libera il culturalmente diverso dalle condizioni profane e immonde del vivere selvaggio e barbaro. Il processo inizia con il rimodellamento del territorio dell’altro attraverso i segni della civilizzazione: metodi di produzione, merci, gestione delle risorse e tutta la schiera di relazioni sociali che accompagnano questi processi e questi materiali sotto le insegne della provvidenza o del progresso. Il progresso assicura che l’avvento di questo ordine simbolico sia presentato come sommamente positivo e insindacabile nella sua generosità, mentre i segni dei regimi indigeni sono derisi, ridicolizzati, assimilati o distrutti. Si tende a classificare quelli che rifiutano l’assimilazione e/o resistono al proprio collocamento nel sistema appena introdotto come eccessi disfunzionali, pronti per essere eliminati. Che si usi il modello tradizionale dell’intervento militare o il più recente modello della richiesta di prodotti associata alle pressioni del mercato globale (sostituto dei moschetti e degli arieti), il risultato non cambia: la separazione tra primo e terzo mondo è mantenuta, la commistione culturale è strutturata per il vantaggio materiale e sociale del «civilizzato». Per quanto questa formula di imperialismo economico/culturale possa essere efficace e vincente, vi sono dei limiti che rendono ancora imperfetto il sistema. Innanzi tutto la frontiera terrestre è spazialmente limitata, e sta per esaurirsi. Al momento non c’è alcun luogo non soggetto all’invasione del capitalismo. Tutto quello che rimane sono, in verità, delle zone di contestazione (come nelle culture islamiche o maoiste). Il corpo invece non può essere adattato per riflettere i segni della civilizzazione, la carne in sé non è pienamente razionalizzata per approssimare al meglio le richieste ideali del capitale, in termini di adattabilità ed efficienza del mercato. Di conseguenza, relativamente a quest’ultima difficoltà, a partire dalla fine del XIX secolo il capitale ha posto una grande enfasi sul costruire un apparato che produca corpi congeniali ai suoi bisogni e alle sue priorità.

 

PIETRO GORI avvocato - Signori del Tribunale

Tra il dicembre del 1893 ed i primi di gennaio del 1894, la polizia genovese spiccò numerosi mandati di cattura nei confronti di studenti, artisti, operai, etc., sotto l'imputazione di "associazione a delinquere", per essersi "in attuazione delle teorie anarchiche da essi professate, associati fra loro per commettere delitti contro la proprietà, le persone, la incolumità e l'amministrazione della giustizia". Gli imputati erano 35; Luigi Galleani ed Eugenio Pellaco erano imputati anche di essere i "capi" dell'associazione. Il processo si svolse presso il Tribunale di Genova dal 22 maggio sino all'8 giugno 1894. L'arringa del Gori (della quale riportiamo ampi stralci) fu pronunciata nell'udienza pomeridiana del 2 giugno; oltre alla sua, vi furono altre 20 arringhe in difesa dei numerosi imputati. Il Galleani fu condannato a 3 anni di reclusione, con un sesto di segregazione cellulare, oltre 2 anni di sorveglianza. Le altre condanne variarono dai 16 ai 6 mesi di reclusione. Soltanto 13 imputati vennero assolti.

Signori del Tribunale!

Dopo la fiammeggiante volata nel cielo della scienza e del sentimento di cotest'aquila del pensiero giuridico italiano, ch'è il mio amico e maestro Antonio Pellegrini, io sorgo commosso, e quasi sgomento, a parlare dal punto di vista sociale di cotesti uomini e di coteste idee, che la folla ingannata ed inconscia così poco osserva ed intende. Ma le mie povere parole, se pure trepidanti per la solennità del momento, zampilleranno dal cuore, ed avranno innanzi a voi il merito, unico forse, della schiettezza e della lealtà. E per dovere di lealtà permettetemi innanzitutto una constatazione ed una dichiarazione. Il comm. Siro Sironi, ex-questore di Genova ed oggi questore nella capitale, si compiacque denunziare me pure come associato a costoro per delinquere contro le persone, la proprietà, l'ordine pubblico, e per commettere tutte le birichinate di cui parla l'art.248 (1) del Codice Penale. La Camera di Consiglio presso il Tribunale di Genova, con un atto di relativa giustizia, mi prosciolse dall'accusa. Or bene, signori, io tengo a dichiararvi: che se il professare le nobili idee dell'anarchia è reato; - se il denunziare le iniquità sociali, analizzare le menzogne di una sedicente civiltà, flagellare ogni forma di tirannide e di sfruttamento, tenere gli occhi rivolti alle aurore dell'avvenire incorruttibile, portare tra le moltitudini dei miseri e degli oppressi la buona novella della liberazione e della giustizia è delitto - io pure di coteste colpe sono colpevole. Male faceste a prosciogliermi. E se le vostre leggi di rito ancora ve lo consentono, ebbene - io vi prego - schiudetemi i cancelli di quella gabbia, in quest'oggi onorata, e permettete a me pure di sedere tra codesti onestissimi malfattori, onde rispondere, come accusatore, alle strane accuse che oggi la società (per modo di dire) muove a costoro. Si è detto dall'accusa che questo non è processo alle idee. Io mantengo: sì! è processo alle idee. Anzi è qualcosa di più e di peggio: è processo alle intenzioni. Il Pubblico Ministero si è sbracciato a sostenere che oggi ognuno è libero di pensare come meglio crede. Ciò si dice, è vero; ma anche questa è null'altro che una di quelle tante menzogne convenzionali su cui si regge la vecchia e scricchiolante organizzazione sociale. Libero di pensare, come esso vuole, tra le impenetrabili pareti del suo cranio?.... Ma allora grazie tante della libertà delle vostre leggi, o accusatore pubblico. Il pensiero umano di cotesta concessione non ha bisogno. Esso esercita nel segreto d'ogni organismo ragionante i diritti imprescrittibili di un sovrano che non teme prepotenze di sospetti inquisitori o di pavide polizie. È adunque la libertà di propagarlo e di diffonderlo cotesto pensiero, che le leggi savie e libere (se possono esservi savie e libere leggi) devono consentire non solo, ma garantire. Ma voi, o egregio avversario, così non la intendete ed arrivate sino ad affermare che questo non è processo politico. Perché?.... Forse politica deve intendersi solo l'arte meschina di fare e disfare i ministeri? E non sentite, dagli infiniti regni del tempo, che tutta la questione politica è oggi questione essenzialmente sociale? Non vi accorgete che gli intelletti acuti e le anime assetate di idealità alte ed umane, mirando alla sostanza delle cose anziché all'arida forma, attendono alla grande opera di rinnovamento, attraverso le modeste e perenni constatazioni della ingiustizia economica che colpisce i lavoratori, i quali sono (piaccia o non piaccia al Pubblico Ministero) i soli produttori di tutta la ricchezza sociale. (segue)


La situazione costruita è un momento della vita

La costruzione di situazioni comincia oltre la rovina dello spettacolo. Il suo crollo è messo a nudo quando il soggetto non è più altro che il consumatore programmato della logica mercantile.

Nella costruzione di situazioni si esprime pienamente l’esigenza del superamento della separazione artistica, limite che nessuna avanguardia ha mai superato.

Tutta la pratica situazioni sta vuole che il soggetto ritorni viveur, soggetto di una creatività espressa e incessantemente reinventata dalla coscienza sensibile. Lo spettatore è incitato a liberarsi della sua passività per mezzo della costruzione di situazioni favorevoli all’intervento umano in un processo vitale costitutivo delle condizioni naturali di creatività e di gratuità.

La situazione costruita è dunque un momento della vita, concretamente e deliberatamente costruito attraverso l’organizzazione collettiva di un ambiente unitario e di un gioco di avvenimenti.

Contro tutte le forme regressive, commerciali e infantili del gioco, che hanno oggi invaso massicciamente e visibilmente la vita quotidiana dei consumatori, i situazionisti sostenevano già le forme sperimentali di un gioco rivoluzionario. Hanno così posto le basi del superamento di una separazione che è al cuore di ogni teoria rivoluzionaria: quella tra l’individuale e il collettivo, tra l’uomo concreto e la sua comunità naturale.

Nella condizione presente, dove ogni espressione umana è inghiottita dallo spettacolo, siamo tutti, vuoi in maniera cosciente e organizzata, vuoi inconsciamente e in modo spontaneo, dei presituazionisti che agiscono o che s’ignorano. Quanti sfuggono anche soltanto un po’ al fascino ipnotico dello spettacolo sono tutti individui sensibili al bisogno oggettivo di costruire della situazioni in risposta a uno stesso stato di carenza generalizzata.

La costruzione di situazioni esprime dunque la scelta di un intervento volontario sulla situazione fondamentale per l’uomo, che consiste nel suo essere nel mondo in quanto libero soggetto, individuo sociale.


 

giovedì 17 novembre 2022

La Rivoluzione non è riformare

Il sistema non può essere riformato in modo tale da conciliare la libertà con la tecnologia. Il solo modo è di fare completamente a meno del sistema industriale tecnologico. Questo implica la rivoluzione, non necessariamente un’insurrezione armata, ma certamente un cambiamento radicale e fondamentale nella natura della società. La gente pensa che poiché la rivoluzione implica un cambiamento molto più radicale della riforma sia più difficile determinarla. In realtà, in certe circostanze, la rivoluzione è più facile che la riforma. La ragione è che un movimento rivoluzionario può ispirare un’intensità di impegno che un movimento di riforma non può ispirare. Un movimento di riforma offre solo la possibilità di risolvere un problema sociale particolare. Un movimento rivoluzionario offre la possibilità di risolvere tutti i problemi in un colpo solo e di creare un mondo interamente nuovo; fornisce il tipo di ideale per il quale la gente accetterà di accollarsi un rischio e di fare grandi sacri?ci. Per queste ragioni sarebbe molto più facile rovesciare l’intero sistema tecnologico che imporre restrizioni e divieti permanenti allo sviluppo dell’applicazione di qualunque segmento della tecnologia, come l’ingegneria genetica. In condizioni opportune un grande numero di persone potrebbe dedicarsi con passione a una rivoluzione contro il sistema industrial-tecnologico. I riformatori che cercano di limitare certi aspetti della tecnologia potrebbero impegnarsi per evitare un danno. Ma i rivoluzionari lavorano per ottenere una altissima ricompensa: la realizzazione della loro visione rivoluzionaria, e quindi lavorano più duramente e con più tenacia dei riformatori. La riforma è sempre frenata dalla paura delle possibili conseguenze negative in caso di cambiamenti poco prevedibili. Ma, una volta che la febbre rivoluzionaria ha preso piede in una società, la gente è disposta ad affrontare infinite avversità per il ?ne della rivoluzione. Questo fu dimostrato chiaramente nella rivoluzione francese e russa. Potrebbe essere accaduto, in quei casi, che solo una minoranza della popolazione fosse realmente impegnata riella rivoluzione, ma questa minoranza era sufficientemente ampia e attiva da divenire la forza dominante nella società. (Theodore J. Kaczynski, 1996)


SENZA UN’IMMAGINE – Cees Nooteboom

Senza un’immagine appare una poesia,

forma che ancora deve generarsi

dal territorio delle parole,

ereditata da chi non ho mai conosciuto.

Linguaggio, levigato nei sogni, sui pulpiti,

impastato nei letti, in camere solitarie,

da usarsi in vita e in morte, arma

nella lotta contro il caso, astuzia

del destino.

Chi eravamo, il nostro cammino

attraverso l’enigma

sta scritto nelle parole,

scrittura come figlia della lingua,

sussurro, lamento, il midollo

dei pensieri,

testamento di un’emozione

svanita, suono di decreti per il futuro

quando la folla si disperderà

dirigendosi alla sua muta

casa.

(Cees Nooteboom, nato all’Aia nel 1933, autore di romanzi, poesie, saggi, opere teatrali e resoconti di viaggio è uno dei più importanti autori europei contemporanei. Rivelatosi a ventidue anni con Philip e gli altri, ha raggiunto il successo internazionale con Rituali e Il canto dell’essere e dell’apparire). 


PIETRO GORI - Il cavalier errante

Nato a Messina (1865), Gori può tuttavia esser considerato un toscano a tutti gli effetti, dal momento che ancora in fasce si trasferì con la sua famiglia a Livorno - e qui compì gli studi liceali. Laureatosi in giurisprudenza a Pisa con una tesi su "La miseria ed il delitto", ricevette il 1° maggio 1890 il battesimo carcerario, arrestato quale principale organizzatore del giovane movimento operaio livornese. Processato, fu condannato ad un anno, sentenza poi revocata dalla Cassazione ma sufficiente per costringerlo a cambiare città. Trasferitosi a Milano, iniziò ad esercitare la professione di avvocato, continuamente ostacolato dall'Ordine degli Avvocati, che mal sopportava questo strano legale che non si limitava a difendere i malfattori, ma se ne faceva paladino nelle austere aule dei tribunali. Nel 1891 partecipò al congresso anarchico di Capolago, promosso da Malatesta e Cipriani per dare un impulso organizzativo al movimento rivoluzionario anarchico in Italia. Nell'agosto del 1892 partecipa al congresso di Genova, nel quale si opera la definitiva scissione tra socialisti riformisti ed anarchici: con Galleani, Gori sostiene un'aspra polemica con Prampolini e Turati sottolineando l'inconciliabilità delle rispettive posizioni. Nel '94, l'anno dei moti popolari in Sicilia e in Lunigiana repressi nel sangue dal governo, Gori si impegna tra l'altro a fondo nella difesa legale e politica dell'anarchico Sante Caserio, autore di un attentato mortale contro il presidente francese Sadi Carnot. Linciato da tutta la stampa moderata per la sua attività, Gori va in esilio a Lugano, quindi espulso anche dal Canton Ticino emigra altrove: in quest'occasione compone la sua poesia più nota, quell'Addio Lugano bella che è diventata un po' l'inno degli anarchici. Dopo periodi trascorsi in Germania, in Olanda, in Belgio e in Inghilterra (dove partecipò a molte manifestazioni con Malatesta), Gori si imbarcò come marinaio su un piroscafo diretto negli Stati Uniti: grazie alla sua buona conoscenza di varie lingue, iniziò un giro di conferenze dall'Atlantico al Pacifico, in italiano, inglese, francese. A Paterson, la cittadina dalla quale pochi anni dopo partirà Gaetano Bresci per giustiziare Umberto 1°, Gori contribuì alla fondazione del periodico anarchico La questione sociale. Nel '96 ritornò a Londra per partecipare, come rappresentante delle "trade unions" americane, al congresso internazionale operaio: qui subì il primo ricovero in ospedale, in seguito al manifestarsi di quella malattia - la tubercolosi - che ne indebolì progressivamente il fisico fino a portarlo, quindici anni più tardi, alla morte. Rientrato in Italia per curarsi, fu confinato all'isola d'Elba, da dove ebbe il permesso di trasferirsi a Milano alla sola condizione di non tenere comizi: ma alla prima occasione - l'inaugurazione del monumento per le "cinque giornate" - fu quasi costretto dalla folla a prendere la parola. Nel '98 difese sia gli imputati delle rivolte nel Carrarese sia Malatesta ed altri anarchici, ma nuovamente fu costretto all'esilio. Per il comizio improvvisato di Milano, fu condannato contumace a 12 anni. Ma Gori aveva riparato in Sud America, dove restò per quattro anni, svolgendovi sempre un'attività frenetica: conferenze politiche di propaganda, collaborazione a giornali e riviste argentine, lezioni di criminologia alle università di Buenos Aires, La Plata e Cordoba, partecipazione alle attività sindacali. Fondò e diresse per due anni la rivista scientifica Criminologia moderna, alla quale collaborarono i più famosi esperti del settore. Nel 1902, in seguito ad un'amnistia, potè far ritorno in Italia ove riprese subito le solite attività. L'anno successivo fondò con Luigi Fabbri la rivista Il pensiero, una delle più valide pubblicazioni anarchiche in senso assoluto, e vi collaborò fino alla morte. Nel 1904 si recò in Egitto e Palestina, sempre spinto dalla sete di nuove conoscenze: ma ormai le sue forze si riducevano sempre più, e gli ultimi cinque anni della sua vita furono segnati drammaticamente dalla sua malattia. Appena possibile, non mancò di tenere qualche conferenza, di scrivere qualche articolo. La morte, l'8 gennaio 1911, segnò la fine di una troppo lunga agonia. Il passaggio del suo feretro, da Portoferraio alla sua Rosignano, fu accompagnato dalla presenza di migliaia di persone, giunte anche da altre regioni, per render omaggio "al ribelle caduto, al veggente poeta che muor".



giovedì 10 novembre 2022

L’identità senza confini

L'identità senza confini, è proprio l’estrema indipendenza delle individualità e il rifiuto di autorappresentarsi come partito e pertanto di fissare una gerarchia, una struttura e qualsiasi forma di potere dall’alto che distinguono, in modo categorico, il movimento anarchico, soprattutto nella sua organizzazione di sintesi, dai partiti politici. Il tratto distintivo dell’anarchismo rispetto al comunismo e al socialismo è proprio la concordanza fra fini e mezzi, tra mondo futuro e organizzazioni anarchiche: non è ammissibile nessuna dittatura oligarchica popolare, né alcuna burocrazia nel partito. Se il fine è l’empowerment, e cioè il potenziamento delle libertà di tutti gli individui, il mezzo deve essere qui ed ora la promozione dello sviluppo delle capacità individuali attraverso organizzazioni fluide, destrutturate, che favoriscano l’espressione individuale e che, d’altro canto, inducano con l’esempio e la persuasione, alla solidarietà e all’azione collettiva e cooperativa.

Non solo i partiti – quelli di sinistra compresi – ma lo stesso modello democratico fondato sul voto, vengono messi in discussione dall’anarchismo, per il quale la rappresentanza costituisce una forma di dominio delle élite sulle masse: non rappresentanti, bensì delegati con mandato imperativo sono i portavoce anarchici, i quali, sempre secondo lo statuto della FAI, non hanno alcun potere di prendere decisioni che non siano state previamente concordate con i gruppi di base – chiamati «gruppi di affinità». Inoltre, come più volte asserito da uno degli esponenti più significativi dell’anarchismo internazionale, Noam Chomsky, le elezioni pseudo-democratiche sono solo una gigantesca kermesse, in cui i rapporti di forza tra i partiti sono già stabiliti dalla loro copertura mediatica e finanziaria. Una vera alternativa democratica non si dà, in quanto le «regole del gioco» delle competizioni elettorali prevedono non forme di partecipazioni dal basso, ma macchine burocratiche e oliate tramite affari e compromessi.


LAZY SUNDAY – The Small Faces

Non sarebbe bello per andare d’accordo con i miei vicini

Ma è chiaro che non c’è spazio per i raver

Mi impediscono di ballare Mi sbattono contro il muro

Mi fanno la crosta e Non va bene per niente, ah

La pigra domenica pomeriggio non mi preoccupa

Chiudo gli occhi e vado alla deriva 

Qui siamo tutti seduti in un arcobaleno

Salve signora Jones, come va la lombalgia del vecchio Bert?

Non deve brontolare pinco pallino morde

Ti canterò una canzone senza parole e senza melodia

Pinco pallino morde

Cantare nel khazi mentre si scopre la luna, oh yeah

Una pigra domenica pomeriggio

Non ho voglia di preoccuparmi 

Chiudo gli occhi e vado alla deriva...

Non c'è nessuno che mi ascolti Non c'è niente da dire

E nessuno può impedirmi di sentirmi così, si

Una pigra domenica pomeriggio

Non ho pensieri per preoccuparmi 

Chiudo gli occhi e vado alla deriva

Una pigra domenica pomeriggio

Non ho pensieri per preoccuparmi 

Chiudo gli occhi e vado alla deriva

Chiudo gli occhi e vado alla deriva

Chiudere la mia mente e andare alla deriva

Chiudere gli occhi e andare alla deriva

St. Imier 1872

Rimini - agosto 1872 - Risoluzione sul Consiglio Generale

Considerando,

Che la Conferenza di Londra (settembre 1871) ha tentato di imporre colla sua Risoluzione IX a tutta l'Associazione Internazionale de' Lavoratori una speciale dottrina autoritaria, ch'è quella propriamente del partito comunista tedesco,

Che il Consiglio Generale è stato promotore ed il sostenitore di tale fatto,

Che la detta dottrina dei comunisti autoritari è la negazione del sentimento rivoluzionario del proletario italiano,

Che il Consiglio Generale ha usato dei mezzi più indegni, come la calunnia e la mistificazione, al solo fine di ridurre tutta l'associazione internazionale alla unità della sua speciale dottrina comunista autoritaria,

La Conferenza dichiara solennemente innanzi a tutti i lavoratori del mondo, che fin da questo momento la Federazione italiana dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori rompe ogni solidarietà col Consiglio Generale di Londra.

St. Imier - settembre 1872 - Risoluzione sull'azione politica del proletariato

Considerando:

che voler imporre al proletariato una linea di condotta o un programma politico uniforme, come la via unica che possa condurlo alla sua emancipazione sociale, è una pretesa tanto assurda quanto reazionaria;

che nessuno ha il diritto di privare le federazioni e sezioni autonome del diritto incontestabile di determinare da se stesse e seguire la linea di condotta politica che crederanno la migliore, e che ogni tentativo simile ci condurrebbe fatalmente al più rivoltante dogmatismo;

Considerando che ogni organizzazione politica non può essere altro che l'organizzazione del dominio a profitto d'una classe ed a detrimento delle masse, e che il proletariato, se volesse impadronirsi del potere, diventerebbe pure esso una classe dominante e sfruttante:

Il Congresso riunito a Saint-Imier dichiara:

1) che la distruzione di ogni potere politico è il primo dovere del proletariato;

2) che ogni organizzazione d'un potere politico sedicente provvisorio e rivoluzionario per giungere a tale distruzione non può essere che un inganno di più e sarebbe così pericolosa per il proletariato come tutti i governi oggi esistenti;

3) che, respingendo ogni compromesso per giungere al compimento della Rivoluzione sociale, i proletari di tutti i paesi, devono stabilire, all'infuori di ogni politica borghese, la solidarietà dell'azione rivoluzionaria.

"L'Internazionale staccò gli operai dal seguito dei partiti borghesi e dette loro una coscienza di classe, un programma proprio, una politica propria; sollevò e discusse tutte le più valide questioni sociali ed elaborò tutto il socialismo moderno, che poi alcuni scrittori han preteso uscito dalla loro testa; fece tremare i potenti, suscitò le ardenti speranze degli oppressi, ispirò sacrifizii ed eroismi... e quando più sembrava destinata a seppellire la società capitalistica, si disfece e morì. "Io non dico che fu male. Se l'Internazionale fosse restata una semplice organizzazione di resistenza e non fosse stata agitata dalle tempeste del pensiero e dalle passioni di partito, sarebbe durata come durano le "Trade Unions" inglesi inutili e forse dannose alla causa della emancipazione umana. Meglio vale ch'essa sia morta gettando al vento semi fecondi: da essa infatti nacquero il movimento socialista e il movimento anarchico.”(E. Malatesta, su Umanità Nova, quotidiano anarchico, settembre 1922).


giovedì 3 novembre 2022

La donna, il proletario del maschio

La rivoluzione sociale che il grado di decomposizione della società capitalista richiede, è possibile solo con la ricostituzione di un tessuto sociale costruito attorno alla centralità di un femminile totalmente da reinventare poiché la meccanica folle dell’economicismo l'ha completamente rimosso. Tra gli ultimi rantoli di una misoginia trionfante su cui è fondata la cultura patriarcale, il capitalismo chiude il ciclo delle civiltà dell'alienazione in quanto economia assoluta, dominio della merce sull'umano proletarizzato in cui la donna (di casa, in carriera o femminista) resta sempre il proletario del maschio poiché l'elemento femminile di ciascuno rimane prigioniero della supremazia accordata al soggetto virile. Anche di una donna che sa cavarsela si dice, del resto, che ha le palle, tesoro patetico messo fieramente in resta da chi porta i pantaloni e che consiste in una competitività senza limite e in un’ aggressività predatrice. Nel mondo gerarchico del dio denaro, un mitico fallo si erge sempre come lo scettro di un potere priapico orgasticamente impotente. L’autocostruzione di se, del proprio territorio psicogeografico di vita sfociante in un nuovo mondo, è l'unico giardino che ha senso coltivare, l'unica casa che vale la pena costruire, insieme ma ognuno a suo modo, come un dono per se stessi e per tutti quelli che si amano. Un uomo libero agisce per il piacere che attraverso la sua azione dona e riceve, incurante di ogni nuova morale che tenda a far rinascere le gerarchie sociali sulla base di un qualunque odioso senso di colpa, di una vergognosa debolezza, di un’intollerabile inferiorità, di un dover essere interiorizzato.


THE BABY OF MACON – Peter Greenaway

The Baby of Macon, vita e morte d'un bambino divino, ambientato a meta del Seicento della Controriforma e del Barocco,  è costruito come    una  rappresentazione teatrale a cui assiste e partecipa un  pubblico aspro di gerarchie cattoliche, aristocratici, borghesi  e contadini: lo spettatore più importante  è un immaginario Cosimo de' Medici, giovinetto religiosissimo. Protagonista della rappresentazione è il bellissimo bambino nato miracolosamente da una vecchia durante un'epidemia di miseria, sterilità e disamore («la copulazione è una cosa seria che provoca soprattutto malattia e tristezza»). Adorato come simbolo della continuità della vita, 
il bambino viene sfruttato prima dalla famiglia, dalla sorella che vuol diventare attraverso di lui ricca e potente; poi viene sfruttato dalla Chiesa  cattolica, che  vuole accrescere attraverso di lui la propria potenza e ricchezza, che fa commercio persino dei fluidi corporali del bambino (saliva, lacrime, urine, muco, sangue); poi, una volta morto, viene
sfruttato dal popolo superstizioso, che a caccia di reliquie ne sbrana e smembra il piccolo corpo. La sorella che l'ha ucciso per gelosia morirà anche lei orribilmente, violentata da centinaia di soldati; sulla comunità, sterilità e fame torneranno a dominare come punizione. La composizione pittorica delle scene e l’uso prevalente dei colori rosso, oro e nero dona al film un aspetto affascinante e giustamente tenebroso. Come sempre, poi, Greenaway sviluppa il racconto attraverso lunghi e articolati piani sequenza e lunghi e apparentemente ingiustificati elenchi. Questo non va però a discapito dell’efficacia della narrazione, anche se di certo non rende il film adatto a tutti. Le due ore di durata si sentono senz’altro, ma la perfezione della messinscena è sorprendente e la commistione di linguaggi sul grande schermo di rado è arrivata a vette così alte. Un film oltraggioso, volgare, irriverente, blasfemo, disgustoso e senza dubbio folle e in alcuni momenti quasi esasperante, come nelle fasi iniziali con quel “He’s Coming” che quasi ti fa venire voglia di prendere a pugni lo schermo. La metafora sociale è spietata: la condanna, più che all'attuale sfruttamento dei bambini, è rivolta alla violenza ideologica e fisica dei poteri spirituali e temporali, ai modi mistificanti con cui quella violenza viene presentata e rappresentata.  



Una urbanizzazione veramente socialista – David Harvey


«Globalmente, abbiamo ceduto ai proprietari terrieri, ai padroni di casa, ai costruttori edili, ai capitalisti della finanza e allo Stato il nostro diritto individuale di creare una città conforme ai nostri desideri. Sono questi i principali attori che, prima di noi e al nostro posto, danno forma alle nostre città e, tramite queste, danno forma anche a noi stessi. Abbiamo rinunciato a questo diritto di darci forma da noi stessi, a vantaggio dei diritti del capitale a darci una forma.» Ora, sottolinea il geografo inglese con ironia, «i risultati non sono affatto soddisfacenti.» Ma secondo lui non basta più «capire dove e come siamo stati trasformati.» Pena lo sprofondare nella dilettazione morosa, antidoto irrisorio allo sconforto nato dall'impotenza, bisognerà anche cercare di «capire dove potremmo andare e ciò a cui potremmo aspirare collettivamente.» Tutto questo porta a riproporre ancora una volta l'eterna questione di cosa potrebbe essere «lo spazio urbano dopo il capitalismo». Domanda che era già stata posta, da Lefebvre. Tuttavia la risposta che dà quest'ultimo non soddisfa Harvey, che interpreta come una scappatoia il rifiuto di Lefebvre di «costruire un progetto utopico esplicitamente spazio-temporale», detto in altri termini di affrontare il problema della materializzazione di questo spazio alternativo, preferendo lasciare aperta la porta alla possibilità di sperimentare un'infinità di forme spaziali. Harvey sostiene che Lefebvre e quelli che l'hanno seguito hanno in tal modo «lasciato il concetto di utopia allo stadio di puro significato, privo di qualunque riferimento materiale al mondo reale.»; la risposta di Harvey è che «senza una visione dell'utopia, non c'è alcun modo di definire la destinazione verso cui ci vogliamo imbarcare.» Eppure neanche Harvey indica quale via seguire. Lungo tutti i suoi scritti ha ribadito che «un movimento che lotta per il socialismo senza porsi la questione dell'urbanizzazione del capitale è condannato fin dall'inizio al fallimento.» Giungerà a dire che «la costruzione di una forma di urbanizzazione veramente socialista è tanto necessaria a questa transizione verso il socialismo quanto lo fu la nascita della città capitalista per la sopravvivenza del capitalismo.» Ciononostante, non dice nulla circa cosa intenda concretamente e, se così si può dire, “sul terreno”, con questa “forma di urbanizzazione veramente socialista”. È logico che «pensare alle vie che conducono all'urbanizzazione socialista equivale a formulare le condizioni per l'alternativa socialista in sé.» Ma concludere che «è l'obiettivo che deve darsi la pratica rivoluzionaria» ci sembra nonostante tutto un po' poco. Assomiglia più a uno slogan che a un asse di ricerca. Forse è tempo di ripensare di nuovo, in ambito urbano come in quello della società nel suo insieme, a come potrebbe essere un'alternativa simile.