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giovedì 26 luglio 2018

Il ’68 … Comitato Arrabbiati (Capitolo XXX)

VIGILANZA
I recuperatori sono tra noi!
Annientate dunque definitivamente tutto ciò che possa distruggere un giorno la vostra opera” (Sade)
Comitato Arrabbiati – Internazionale Situazionista 

Dopo Dio anche l’arte è morta. Che i suoi preti non rialzino più la testa!
Contro ogni sopravvivenza dell’arte,
Contro il regno della separazione,
DIALOGO DIRETTO
AZIONE DIRETTA
AUTOGESTIONE DELLA VITA QUOTIDIANA.
Comitato Arrabbiati – Internazionale Situazionista 

Compagni,
Scristianizziamo immediatamente la Sorbona.
Non è più possibile tollerarvi una cappella!
Dissoteriamo e rimandiamo all’Eliseo e al Vaticano i resti dell’immondo Richelieu, uomo di Stato e cardinale.
Comitato Arrabbiati – Internazionale Situazionista 

Quelli che parlano di rivoluzione e di lotta di classe, senza riferirsi esplicitamente alla vita quotidiana, senza comprendere ciò che vi è di sovversivo nell’amore e di positivo nel rifiuto delle costrizioni, costoro si riempiono la bocca di un cadavere.
Comitato Arrabbiati – Internazionale Situazionista 

(manifesti apposti il 14 maggio sui muri della Sorbona da un comitato comprendente gli Arrabbiati e l’Internazionale Situazionista)




La CIA e la psichedelia

Un mattino di sole dell'agosto 1951 un villaggio del distretto francese della Gard, cambiò pianeta. Il panettiere locale aveva fatto il pane con una partita di farina segale infestata dall'ergot. L'intero paese sperimenta una settimana di passione e di delirio, c'è chi zappa il pavimento di casa per piantare le patate, chi bagna le begonie con la macchina da cucire, chi fa omini di neve impastando il letame dei cavalli, chi credendosi un jet si leva in volo dal pagliaio (una gamba rotta), chi vede struzzi nel carburatore della macchina, chi armato di picozza e corde scala la parete nord del proprio frigorifero, chi vede dei pterodattili in fiamme travestiti da infermieri, chi marcia nudo per le strade, chi fa il pesce nel Rodano, chi batte il record del mondo di velocità lanciato sulla propria bicicletta, persino gli animali domestici si comportano stranamente. La saga del panettiere psichedelico provoca cinque morti e trecento persone fuori di testa per una settimana (fortunatamente senza strascichi). 
Un giornalista statunitense, che stava indagando sugli esperimenti di controllo mentale condotti dalla CIA durante la Guerra Fredda, s’è imbattuto in alcuni documenti relativi a un oscuro episodio in Francia, che non è mai stato chiarito. Egli sostiene che nel 1951 la CIA stava testando  un’arma segreta: l’irrorazione per aerosol di LSD. L’esperimento sarebbe stato effettuato in un villaggio francese, i cui abitanti e le autorità erano stati tenuti completamente al buio.  Nel contingente della Sandoz c’era il Dr. Albert Hofmann, l’uomo che aveva sintetizzato l’LSD il 16 novembre 1938. Al momento della visita del gruppo Sandoz a Pont St. Esprit, solo una manciata di scienziati in tutto il mondo, stimata in non più di otto o dieci, era a conoscenza dell’esistenza della droga sintetica LSD. Di forse uguale se non superiore, importanza, era che praticamente nessuno in Francia, nel 1951, a parte un paio di funzionari selezionati dalla Sandoz Chemical, era consapevole che la società stesse segretamente lavorando a stretto contatto con la CIA.
Sandoz stava rifornendo la CIA con abbondanti quantità di droga, e dava consulenze all’agenzia sui possibili usi difensivi e offensivi per l’LSD, e anche nella sperimentazione segreta negli Stati Uniti e in Europa. Lo scoppio di Pont St. Esprit era stato effettivamente prodotto da un esperimento top-secret condotto congiuntamente da Esercito e CIA, nell’ambito del progetto MK/NAOMI, un progetto aggiunto ai programmi ultra-segreti della CIA Artichoke e MK/ULTRA. 

Gestione senza autorità

L’anarchia si qualifica e si distingue per il metodo d’azione autodecisionale e per il principio di gestione senza autorità costituita dall’alto che impone il proprio volere, non per il tipo di rivolta che propugna. Si è anarchici non perché si sente semplicemente il bisogno di ribellarsi, bensì perché si vuole costruire qualcosa di alternativo che abbia il sapore della maggior libertà politica, sociale ed esistenziale possibili. Le insurrezioni ed i diversi tipi di ribellione non sono in alcun modo una specificità nostra, non ci distinguono. Tutti, compresi i bolscevichi, gli islamici, perfino i fascisti se oppressi ed impediti ad esistere, tendono a ribellarsi, a liberarsi da ciò che li opprime. Ma la loro ribellione e, quando c’è, la loro insurrezione, hanno un sapore del tutto diverso dal nostro, addirittura contrario. Essi, pur con giustificazioni e motivazioni ideologiche e ideali differenti tra loro, vogliono l’instaurazione di nuovi poteri forti, assolutisti, totalitari, teocratici. Si ribellano al potere vigente perché vogliono sostituirvisi e dominare le genti al suo posto. Noi, quando riusciamo ad insorgere, al contrario, vogliamo non solo abbattere il potere vigente, ma ogni altra forma di dominio, perché vogliamo costruire società fondate sull’assenza di gerarchie e di poteri dominanti. Non proponiamoci perciò solo come ribelli ed insurrezionalisti, ma innanzitutto come amanti fanatici della libertà, tutta la libertà possibile, dell’autogoverno, della voglia di non essere governati dall’alto e di vivere e convivere con gli altri senza violenze d’imposizione, nella solidarietà, nella reciprocità scambievole e nell’accordo consensuale più completi. 
Dobbiamo creare luoghi di sperimentazione libertaria, dove si possano vivere e sperimentare forme di autogoverno e di solidarietà sociale, non all’insegna di un unico modello, ma di più modelli. Luoghi polivalenti, policentrici e acentrici, senza gerarchie e burocrazie all’interno, capaci di produrre innovazione e sovversione culturale, di essere creativi e spregiudicati, di essere esempio di un nuovo modo di fare ed essere società. Momenti di autorganizzazione collettiva, centri sociali libertari, scuole libertarie, municipi libertari di base, per chi lo desidera comuni sperimentali e quant’altro venga in mente che rappresenti e sperimenti la società altra cui aspiriamo. Una società nella società insomma, capace di sovvertire i modelli e l’immaginario collettivo vigenti. Se si affermerà diffondendosi e verrà attaccata dai poteri costituiti, allora si difenderà ed insorgerà per affermare il diritto alla libera scelta, al libero pensiero, alla libertà di sperimentazione. 

giovedì 19 luglio 2018

Il ’68 … Le Comuni (Capitolo XXIX)

Nelle occupazioni delle università immaginazione, sessualità, politica si esprimono fuori dagli schemi che regolamentano la famiglia e i gruppi di appartenenza sociale e religiosa. La vita quotidiana si dilata travolgendo abitudini e difese: i giovani vivono un tempo denso di eventi che appartiene ad una intera collettività. L’esperienza vivifica la critica teorica che ha disvelato la natura autoritaria della famiglia, luogo in cui si scambiano ruoli ossificati, e stimola la voglia di vivere in gruppo anche fuori dalle università.
Nelle comuni del ’68 confluiscono l’esperienza delle comunità hippie e delle aggregazioni religiose, cristiane e orientali, nate qualche anno prima. Con esse il movimento sperimenta aggregazioni familiari più ampie non repressive e tenta di
prefigurare la nuova società per la quale sta lottando. Il senso della proprietà di persone ed oggetti viene messo in discussione, si cerca di vivere senza competizione sviluppando solidarietà e cooperazione.
Se la famiglia è il luogo della necessità che immobilizza i suoi membri la comune è vissuta come libertà salvatrice: i rapporti possono essere autentici perché si vive con compagni scelti e gli affetti e i rapporti sessuali sono patti rescindibili in ogni momento tra persone non legate da dipendenza coatta.
La comune è dunque uno spazio entro cui può crescere un progetto di vita personale più ricco di senso e di relazioni, dove il tempo non è scandito da abitudini mortifere. Il bisogno di esprimere la propria personalità in un contesto ampio che superi l’isolamento della famiglia borghese si salda con lo slancio utopistico che vuole dimostrare la possibilità di instaurare rapporti liberi e solidali, senza attendere il Paradiso o la realizzazione del socialismo. La comune diventa allora comunità esemplare, embrione della Nuova Società.

Tra il 1965 e il 1973 ne nascono più di duemila comuni. Raccolgono il messaggio dei socialisti utopistici dell’800 – Fourier, Saint Simon, Owen – e suggestioni contemporanee assai diverse tra loro, come i kibbutz israeliani e le comuni agricole cinesi. Negli Stati Uniti, soprattutto in California e nel New England, e in Nord Europa si occupano case sfitte, a volte interi quartieri, fabbriche abbandonate vengono riattate, ettari di terra ospitano comunità variopinte. Il fenomeno arriva anche in Italia ma in forme più moderate. L’espansione si arresta a metà degli anni ’70. Per contraddizioni interne e mutamenti esterni. Si scopre la difficoltà di conciliare nella vita quotidiana esigenze personali e responsabilità collettive, che i ruoli sono duri a morire, che vivere in comune richiede attenzione intensa ed impegno costante. Fuori è cambiato il clima politico. Spazi sociali si chiudono, tornano prepotenti valori che esaltano competizione, la famiglia nucleare riprende fiato e ruolo. Molte comuni resistono altre si trasformano. Il neo – femminismo ne rompe parecchie ma ne fonda di nuove, tutte donne e bambini. 
Dalla metà degli anni ’80 arrivano i Punk, gli Squatters e le case occupate, ma questa e tutta un’altra storia. 

MOZAMBIQUE Amon Düül II

Batti le mani
Perché morirai

Ogni vittima è a caccia del suo boia
Ogni cacciatore incalza la sua preda
La vittima trova una vittima e giustizia il giustiziere
Meglio morire da uomo libero che vivere da schiavo

Batti le mani
Perché morirai

La belva bianca è nel villaggio
Le interessa soltanto la morte
Si è sbarazzata della sua anima da tempo
E'
Uno stupratore di donne
Un mutilatore di bambini
Un assassino di uomini

Unisciti e combatti



La precarietà è il cuore nero del processo di produzione

Il futuro si trasforma in una minaccia quando l'immaginazione collettiva diviene incapace di vedere possibilità alternative alla devastazione, all'immiserimento e alla violenza. Questa è precisamente la situazione presente perché l'economia si è trasformata in un sistema di automatismi tecno-economici cui la politica non è in grado di sfuggire. L'epidemia depressiva contemporanea si colloca in un contesto di paralisi  della volontà, che è un altro modo per dire precarietà.
Nella precarietà si manifesta una impossibilità di tradurre le intenzioni in azione, in comportamento. 
Entro il regime di aleatorietà dei valori fluttuanti la precarietà diviene forma generale del rapporto sociale, e investe la composizione sociale della nuova generazione che si affaccia sul mercato del lavoro. La precarietà non è uno aspetto particolare, più o meno ampio, della relazione produttiva, ma il cuore nero del processo di produzione.
Un flusso continuo di info-lavoro frattalizzato e ricombinante circola nella rete globale come fattore di valorizzazione universale, ma questo flusso non è in grado di trasformarsi in soggetto, non riesce a consolidare comportamenti  organizzati, forme di difesa politica o sindacale, per le caratteristiche tecniche del processo  di lavoro e per la forma di esistenza del lavoratore cellularizzato. Connettività e precarietà sono le due facce della stessa medaglia. Il sistema connettivo cattura e connette frammenti cellulari di tempo de-personalizzato. Il capitale compra frattali di tempo umano, e li ricombina nella rete. 
Dal punto di vista della valorizzazione di capitale il flusso è continuo, e trova la sua unità nella rete in cui circolano i semi-lavorati, ma dal punto di vista dei lavoratori la prestazione di lavoro ha carattere frammentario: frattali di tempo, cellule di tempo, cellule pulsanti di lavoro si accendono e si spengono nel grande quadro di controllo della produzione globale.
L'erogazione di tempo-lavoro può essere scollegata dalla persona fisica e giuridica del lavoratore. L'impresa non acquista la forza lavoro di una persona, ma istanti separati della sua attività, cellule temporali che la rete si incarica continuamente di ricombinare. Il tempo di lavoro sociale diventa un oceano di cellule valorizzanti che possono essere convocate e ricombinate secondo l'esigenze del capitale. 

giovedì 12 luglio 2018

Il ’68 … il cinema (Capitolo XXVIII)

04 gennaio: “Cinema 60” pubblica la sceneggiatura di “La Cinese” di Godard; “Filmcritica” dedica una sezione alla guerra del Vietnam; il collettivo della rivista “Ombre Rosse” sospende le pubblicazioni e partecipa all’occupazione di
Palazzo Campana a Torino. 
07 gennaio: Abruzzese scrive per “Contropiano” un saggio su cinema e politica, in forte polemica con i tentativi conciliatori fra arte e lotta di classe “l’unico cinema politico del momento è la saga, interna al capitale, di 007”.
08 gennaio: a Roma, proiettato a tarda notte – dopo un dibattito – “Acid” di Giuseppe Scotese, fil sulla droga bloccato dalla censura.

09 gennaio: il cineclub romano Filmstudio inizia a programmare il New America Cinema (con Mekas e Yoko Ono, fra gli altri). A Palazzo Campana Torino nasce un nucleo di studenti cineasti per usare strumenti audiovisivi nelle lotte.
11 gennaio: Condanna definitiva per due episodi del film “Le bambole” firmati da Bolognini e Risi.
12 gennaio: esce a Roma “La calda notte dell’ispettore Tibbs” di Jewison, protagonista un ispettore nero interpretato da Sydney Poitier. Il film ha vinto nel ’67 l’anno dell’esplosione della rabbia nei ghetti, 5 Oscar.
14 gennaio: Cineclub e sezioni diffondono documentari del terzo mondo come “Hasta la victoria siempre” Cuba, “Il giovane combattente” Vietnam, “Memoria del cangacao” Brasile, “Camillo Torres” Colombia.
16 gennaio: iniziano a circolare i filmati sulle lotte USA: We shall march again” di Lipton sulla grande manifestazione del ’65 a Berkeley e “Marvelous gun” di Giovanni Vento.
18 gennaio: nel circuito off arrivano i film della rivoluzione culturale cinese: “L’oriente e rosso”, “La linea di demarcazione”, “La guerra sotterranea”, “Grandi vittorie del pensiero di Mao Tse Tung”.
29 gennaio: Paolo Poli è denunciato a Venezia per vilipendio alla religione per “Rita da Cascia” di Ida Ombroni.
09 febbraio: gli attori di teatro, cinema e Tv in sciopero per 7 giorni. Assemblea al Quirino di Roma e manifestazioni a Milano e Torino.
13 febbraio: anteprima a Roma di “Lontano dal Vietnam”, sette episodi di Godard, Vaida,Marker, Lelouch, Resnais, Ivens, Klein. Marker monta e commenta il tutto; pezzi documentaristici, interviste, fiction sulla malafede degli intellettuali.
20 febbraio: al teatro Valle di Roma si recita “Nella giungla della città” di Calenda. A Filmstudio ’70 di Roma due documentari cubani, “Hanoi martedì 13” e “Patria o muerte” di Alvarez.
24 febbraio: viene abolita in Gran Bretagna la censura teatrale con decorrenza autunno 1968. Teatro Lirico, ricostruzione del processo Matteotti,testo e regia di Sbragia.
29 febbraio: esce senza divieti “I sette fratelli Cervi”.
06 marzo: al festival dei Popolo vengono presentati due lungometraggi statunitensi dell’area pacifista: “Profile of a Pace Parade” di David Loeb Weiss e “Inside North Vietnam a Personal Report” di Felix Greene.
10 marzo: a Firenze chiude,due giorni dopo la data prevista, il Festival dei Popoli. Un film di Frederick Wiserman, “Titicut Follies” documentario sui manicomi, censurato e proiettato solo per i critici, causa una vivace protesta degli spettatori.
15 marzo: esce a Roma il film inglese pacifista “Come ho vinto la guerra” diretto da Richard Lester e interpretato da
John Lennon. Escono anche su “Eureka” le prime avventure di Maxmagnus, testi di Max Bunker e disegni di Magnus.
27 marzo: esce a Roma “L’ora del lupo” di Ingmar Bergman realizzato nel 1966, tra i più radicali film del cineasta svedese.
29 marzo: esce in Francia “Playtime” del regista comico Jacques Tati. Un film senza dialoghi e feroce satira della società dei consumi.
05 aprile: a Francoforte, in scena “Kaspar” dramma di un giovane scrittore austriaco. Peter Handke: “il lavoro ha per protagonista il linguaggio”
08 aprile: rimesso in circolazione per ordine della magistratura il film svedese “Io, una donna”, sequestrato da un mese. Rinviata la consegna agli Oscar in segno di lutto per l’assassinio di Martin Luther King.
22 aprile: esce a Roma un film che fa scalpore perché si sofferma per la prima volta su un parto: è “Helga”, film scientifico tedesco occidentale.

26 aprile: muore a 77 anni il pittore, fotografo, grafico e pubblicitario tedesco John Heartfield; appartenne al movimento dada, e usò la fotografia soprattutto nella satira politica (famosi i suoi fotomontaggi antinazisti e pacifisti).
02 maggio: esce a Roma il film “La scuola della violernza” di James Clavell. La Cooperativa del Cinema Indipendente, gruppo che raccoglie i migliori cineasti sperimentali (Bellocchio, Leonardi, Baruchello ed altri) si svincola dalle incrostazioni formali -burocratiche. 
10 maggio: al festival di Cannes si fa in tempo a vedere qualcosa, prima del blocco. “Rossi e bianchi” di Jancso, “ La festa e gli invitati” di Nemec. “Al fuoco! i pompieri” di Forman.
13 maggio: lo sciopero generale blocca Cannes. Nessuna proiezione viene effettuata. Solo i critici di notte riescono a vedere i film in concorso. Il palazzo viene cinto d’assedio dai manifestanti.
17 maggio: dopo 4 giorni di tensioni e discussioni una assemblea di cineasti tecnici e giornalisti francesi decide l'occupazione del palazzo del cinema di Cannes e la costituzione degli Stati Generali del cinema. Aderiscono 1500 professionisti.
18 maggio: il presidente della giuria di Cannes XXI Chamson annuncia la soppressione del concorso. Si sono dimessi dalla giuria Malle, Polanski, Monica Vitti, Terence Young. Hanno ritirato i loro film Resnais, Lelouche e Cournot, in solidarietà con il movimento.  
20 maggio: Cannes viene definitivamente interrotta. Gli Stati generali del Cinema decidono la fine “morale” del Centre Nationale du Cinéma e si danno alcuni obiettivi (attacco al monopolio, abolizione della censura, riforma dell’insegnamento audiovisivo, unione con la Tv autogestita e indipendente dal capitale e dal potere.

24 maggio: USA, assemblea di attori solidali con la marcia dei poveri su Washington. Tra gli altri Marlon Brando, James Garner e Nathalie Wood.
25 maggio: 50 persone colte da malore durante la proiezione del film “Helga”, colpa della scena di parto in diretta.
27 maggio: Jean Marie Straub dedica alle lotte del maggio francese e a Mao Tze Tung il suo ultimo film: “Il fidanzato, l’attrice e il ruffiano”.

29 maggio: “A ciascuno il suo” di Petri vince il premio cinematografico di San fedele. A Parigi Jacques Tati riceve invece per il film “Playtime” il premio della cinematografia francese.
31 maggio: a Milano viene inaugurata la XIV Triennale “Esposizione internazionale delle arti decorative e industriali moderne”, con un omaggio alle barricate del ’68 parigino e nasce all’insegna della contestazione.     
   

SPECIALMENTE SE IL VENTO D'OTTOBRE di Dylan Thomas

Specialmente se il vento d’ottobre
Con dita gelate punisce i miei capelli,
Artigliato dal sole cammino sulle fiamme
E getto un granchio d’ombra sulla terra,
In riva al mare, udendo il chiasso degli uccelli
E la tosse del corvo sugli stecchi invernali,
Il cuore indaffarato che trema se lei parla,
Sparge sangue sillabico, drena le sue parole.

Rinchiuso dentro una torre di parole,
Traccio sull’orizzonte che cammina con gli alberi
Verbali forme di donne e le file
Dei bimbi nel parco che hanno gesti di stella.
Fatemi farvene alcune con vocali di faggi,
Alcune con voce di quercia, fino dirvi note
Dalle radici di molte spinose contee.
Fatemi farvene alcune con discorsi dell’acqua.

Dietro un vaso di felci la pendola oscilla
Mi dice il verbo dell’ora, il senso nervoso
Sfreccia sul disco astato, declama il mattino,
E annuncia tempo ventoso nel gallo banderuola.
Fatemi farvene alcune coi segni del prato.
L’erba che mi segnala tutto ciò che conosco
Col verminoso inverno spunta attraverso l’occhio.
Fatemi dirvi qualcosa dei peccati del corvo.

Specialmente se il vento d’ottobre
(Fatemi farvene alcune con sortilegi autunnali,
Lingua di ragno e colle chiassoso del Galles)
Con pugni di rape punisce la terra,
Fatemi farvene alcune con parole senz’anima.
Svuotato è il cuore che, compitando nello zampettio
Dell’alchemico sangue, avvertiva l’avvento della furia.
In riva mare udite uccelli dalle scure vocali.

BABEUF François-Noël

Nacque a S. Quintino il 23 novembre 1760. Di umile condizione e di pochi studi, fu dapprima modesto impiegato, a Noyon, e poi, dal 1785 a Roye Commissaire à terrier. Subito dopo si trasferì a Parigi, visse poveramente di espedienti. Nel 1792, venuto in qualche rinomanza negli ambienti rivoluzionari, più per il suo giornale Le Tribun du Peuple, in cui si firmava Gracchus, che per il Cadastre, fu da prima membro del consiglio generale del dipartimento della Somme e poi amministratore del distretto di Montdidier. Ma quest'ultimo ufficio gli fu fatale, perché egli avrebbe sostituito un nome ad un altro nel procedere alla vendita di alcuni beni nazionali. L'accusa, quantunque oscura e mal documentata, fu così formidabile che il Babeuf fu condannato, il 23 agosto 1793, a 20 anni di ferri, in contumacia. Da allora, la storia della sua breve vita si confonde con quella delle sue dottrine rivoluzionarie.
In un libro pubblicato nel 1791, Du système de dépopulation, il Babeuf aveva attaccato Robespierre; poi, nel n. 33 del suo giornale, e più gagliardamente nel n. 35, espose e illustrò a lungo un programma comunista. Forse, senza la reazione termidoriana, le idee del Babeuf non sarebbero uscite dall'indeterminatezza propria di tutte le idee rivoluzionarie che fermentarono nell'età sua; ma dopo Termidoro, il Babeuf insorse perché i frutti della rivoluzione fossero conservati. "Poiché lo scopo della società è di raggiungere la felicità comune", bisogna impedire che tale felicità sia turbata, e bisogna che quelli i quali hanno spogliato i poveri siano costretti a dividere con i poveri il frutto delle spoliazioni. Bisogna inoltre che vi siano istituzioni capaci di "assicurare e mantenere inalterata l'eguaglianza di fatto" e di sostituire alla massima ipocrita: "rispetto alla proprietà", l'altra: "rispetto alle proprietà rispettabili". L'eredità, dunque, è ingiusta; tutte le forme di lavoro debbono essere egualmente rimunerate; tutte le terre debbono essere in comune e i prodotti del lavoro di tutti a disposizione di tutti. La rivoluzione francese "non è che l'avanguardia di una ben più grande rivoluzione, l'ultima delle rivoluzioni. Periscano, se necessario, tutte le arti, ma resti l'eguaglianza... Se sulla terra vi sarà un solo uomo più ricco degli altri, l'equilibrio sarà rotto e l'infelicità rispunterà certamente". In sostanza, una eguaglianza relativa è difficile a mantenere, mentre è facile mantenere l'eguaglianza assoluta, a conseguir la quale anche la guerra civile è giustificata. A questi principi fu ispirato il Manifesto degli Eguali, scritto da Sylvain Maréchal (l'autore del Dictionnaire des Athées) nel 1796, specie di statuto della setta comunista che faceva capo al Babeuf. E questi principi furono ribaditi durante il processo che seguì alla scoperta della cospirazione (dovuta a un delatore, certo Grisel) e all'arresto del Babeuf e dei suoi complici (maggio 1797). L'accusatore nazionale Viellart non aveva dunque, torto a dipingere il Babeuf come rivoluzionario autentico; condannato a morte, Babeuf s'inferse un colpo di pugnale al momento dell'esecuzione, il 27 maggio 1797.
"La proprietà è la sorgente più importante di tutti i mali che pesano sulla società ... Il sole brilla su tutti, e la terra non è di nessuno. Orsù, dunque amici miei, turbate, sconvolgete, buttate all'aria, questa società che non è per voi. Prendete, dove che sia, tutto ciò che vi abbisogna. Il superfluo appartiene di diritto a chi non possiede nulla".
"Sgozzate senza pietà i tiranni, i patrizi, il milione dorato, tutti gli esseri immorali che dovessero opporsi alla nostra felicità comune!"
"La Repubblica degli Eguali, il grande asilo aperto a tutti gli esseri umani. Sono giunti i giorni della restituzione generale. Famiglie gementi, venite a sedervi alla tavola comune eretta dalla natura per tutti i suoi figli."  

venerdì 6 luglio 2018

Il ’68… No all’autoritarismo (Capitolo XXVII)

NO ALL’AUTORITARISMO, NO ALLA SELEZIONE DI CLASSE ALL’ UNIVERSITA’
Neppure quelli che arrivano alla laurea sono tutti uguali. All’interno della élite che va all’università si crea un élite ancora più ristretta. Lo stesso meccanismo della frequenza e degli esami, sul quale è congegnata tutta l’università, è fatto apposta per produrre
questa ulteriore discriminazione. (…) All’Università entrano in molti ed escono in pochi.
Escono innanzitutto coloro per i quali la collocazione professionale in una posizione privilegiata è già garantita dalla situazione sociale della famiglia di provenienza. I figli dei medici faranno i medici, e i figli dei farmacisti fanno tutti i farmacisti. Gli iscritti all’Università provengono da una base molto larga. Non più soltanto i diplomati con la maturità rilasciata dalla serra classista del liceo classico e scientifico, ma anche i maestri, i geometri, i periti, i ragionieri. Tutti costoro vogliono entrare all’Università, perché vogliono continuare a studiare (anche a costo dei notevoli sacrifici economici e personali che ciò comporta) e perché vogliono utilizzare quelle possibilità di
promozione sociale che il sistema offre loro, cioè il conseguimento di un titolo di studio.
Ma i laureati devono essere pochi, perché oltre a un certo numero non servono. Come avviene questa selezione? Quali ne sono i criteri? Il primo e fondamentale criterio di selezione è di carattere economico. Studiare e mantenersi agli studi costa. L’Università
non fornisce aiuti economici ai suoi iscritti che in misura risibile. Chi proviene da famiglie non abbienti, per mantenersi agli studi deve lavorare.
La radice dell’autoritarismo accademico, come tutte le forme di potere autoritario, non risiede soltanto in una serie di strutture istituzionali ed economiche, ma risiede soprattutto e in primo luogo nel consenso da parte di coloro che il potere lo subiscono.
L’Università è organizzata in modo da creare e conservare questo consenso, cioè in modo da mantenere gli studenti in uno stato di passività e divisione reciproca. E’ questo che intendiamo dire quando affermiamo che la didattica autoritaria è una forma di
violenza esercitata sugli studenti.
(Guido Viale, Contro l’Università, in “Quaderni piacentini”, n. 33, 1968)

PUNTO ZERO di Richard C. Sarafian

Il calore dell'asfalto cotto dal sole deforma le sagome delle auto della polizia giunte in un paesino di frontiera californiana per organizzare un posto di blocco con due grossi bulldozer. Le sirene e il rumore dell'elicottero che rompono il silenzio fanno accorrere alle finestre delle scalcagnate casupole vecchi cowboy dalle facce di pietra.
Bisogna bloccare Kowalski, l'ultimo cavaliere solitario che a bordo di una Dodge Challenger bianca con motore 440 da 375 cavalli ha attraversato tre stati infrangendo tutti i limiti di velocità. Strafatto di benzedrina, la notte prima a Denver ha scommesso di consegnare il bolide truccato per le 15 del giorno dopo a San Francisco. Come tutti i road movie che si rispettino lui è il classico doppio zero che vive ai margini della società. Diversi  flashback ci dicono che è stato in Vietnam, che ha lasciato la polizia non condividendone i metodi ed è
un ex corridore di corse motociclistiche e automobilistiche. E adesso è alla guida della Dodge e non si fermerà perché la libertà dell'anima consiste nell' andare. È l'ultimo possibile vero eroe americano, schivo e taciturno, l'erede dell'epopea western dove è obbligo fermarsi solo per sincerarsi che chi ti sfida a duello (in tal caso di velocità) non sia morto uscendo fuoristrada e dove gli unici "amici" che incontra sono reietti come lui, un vecchio che cattura serpenti nel deserto, una comunità hippie  e Super Soul, il dj cieco di colore di una stazione radiofonica che attraverso la sua trasmissione ne narra le gesta e il tentativo di affermare la libertà individuale , quella che invece non è permessa perché al di fuori delle regole istituzionalizzate. Braccato e intrappolato dalle auto della polizia Kowalski non avrà altra scelta che spingere i 375 cavalli della Dodge contro i bulldozer del posto di blocco. Lo fa con un sorriso.
La faccia di Barry Newman è perfetta per essere un unicum con la sua macchina,una Dodge Challenger con motore truccato,lanciata a folle velocità sulle strade del Colorado e in
mezzo al deserto del Nevada per arrivare a San Francisco solo per vincere una scommessa temeraria. Quasi un voler superare i propri limiti. Naturalmente non passa inosservato e viene inseguito dalle polizie dei vari Stati ma facendo così gli creano solo l'aura del mito. Il film di Sarafian ha i dialoghi ridotti all'osso ma tecnicamente è sopraffino con bellissime sequenze di inseguimento e molta musica dell'epoca. E'un film orgogliosamente contro, contro la polizia,contro il sistema castrante qualsiasi velleità personale,contro ogni forma di autorità. La Dodge attraversa scenari da film western con i suoi cavalli vapore facendo assaporare per un attimo la libertà al suo cavaliere,un uomo dal passato complicato e doloroso. Punto Zero è un film sulla fuga, un manifesto sulla libertà e sulla pace. Un film dall'anima hippy tipicamente anni '70 in cui l'uomo col suo destriero a vapore deve confrontarsi con qualcosa di molto più grande di lui,sia fisicamente(il deserto del Nevada che per miracolo non lo inghiotte) che metaforicamente(il sogno). Kowalski non ha un nome di battesimo ma ha un sogno che lo spinge a mettere l'acceleratore a tavoletta incurante delle regole. Un sogno che forse è solo utopia.

I personaggi minori sono anche quelli che hanno un proprio sviluppo psicologico, tralasciando le forze di polizia, tutte uguali fra loro se non fosse per il colore delle divise. Così, mentre alcuni provano ad intralciare il cammino del
protagonista: la coppia gay che tenta di rapinarlo, il pilota a bordo di una sportivissima Jaguar che cerca di buttarlo fuori strada; altri lo aiutano nella sua corsa verso il traguardo: l’affabile nonnetto che, in cambio di un passaggio, lo tira fuori dal deserto in cui si era smarrito, la coppia naturista che svia i posti di blocco per permettergli il passaggio, Superanima (Supersoul nell’originale) che lo incita e conduce verso il finale.

Kowalski rappresenta il rifiuto delle regole di vita americane che in quei tempi si manifestò nelle svariate forme di ribellismo culturale: dal nichilismo dell’annientamento attraverso le sostanze stupefacenti, alla proliferazione di stili di vita apertamente contrari all’egemonia culturale di un’America totalitaria e ghettizzante nei confronti di ogni forma di dissenso.



L’anarchia è come i semi sotto la neve

Colin Ward usava dire che l’anarchia è come i semi sotto la neve, che appariranno in tutto il loro splendore di fiori in seguito al disgelo. Una metafora bellissima, che vuole significare di agire per creare situazioni che permettano alle potenzialità libertarie presenti (i semi nascosti sotto la neve) di essere i fiori che potenzialmente sono e mostrare tutta la loro bellezza. Landauer suggeriva di fare il possibile e desiderare l’impossibile, costruendo nell’immediato col massimo di coerenza, con la consapevolezza e la volontà di preparare la strada per un domani dove ci sarà ciò che oggi è pensato impossibile. Sosteneva inoltre che l’anarchia non è cosa del futuro ma del presente, che non è fatta di rivendicazioni ma di vita. Buber riprendeva il concetto di comunità, intendendola luogo di solidarietà condivisione reciprocità e scambio; diceva di andare oltre la modernità con gli stessi mezzi che la modernità offre, cercando di fare una comunità di comunità. Sono idee e visioni del mondo che aprono degli spiragli e fanno respirare con ampiezza. Danno lo spunto per affrontare i problemi che abbiamo di fronte da angolature differenti da quelle cui siamo abituati. Mi offrono una stupenda occasione per dire qual è per me la possibile strada del disgelo, da dove bisogna partire per cominciare a identificare cosa bisognerebbe fare.
Nell’immediato bisognerebbe adoperarsi per sganciarsi il più possibile dalla cappa plumbea di questo dominio finanziario, tentare con tutte le forze di uscire dal grigiore mentale della filosofia di vita che siamo costretti ad accettare quotidianamente, proprio per respirare a pieni polmoni un’aria nuova. Innanzitutto dobbiamo smettere di accettare mentalmente e culturalmente che una piccola parte della società si appropri sistematicamente di tutto, impedendo a tutti gli altri di usufruirne.
Con serio impegno dovremmo cercare il modo di ribellarci radicalmente all’imposizione per cui soltanto l’economia, in particolare quella capitalistico/finanziaria, sia l’unica parte attorno a cui e in funzione della quale ruota tutto il resto della società. Se un insieme sociale, con tutte le sue funzioni e i suoi addentellati, si costringe a vivere per favorire esclusivamente un’unica sua componente, in questo caso quella economica, si condanna a una disarmonia che a lungo andare non può che essere autodistruttiva, fino a un nichilismo totalizzante.
In particolare oggi stiamo vivendo in funzione di un’economia non reale ma virtuale. Un’assurdità che ci sovrasta, ci obbliga, ci impaurisce, ci distrugge, ci schiavizza. Non si riesce neppure più a combattere il padrone, sfruttatore e oppressore in carne e ossa, perché non è più l’oppressore fondamentale. Il nemico che ci opprime è difficilmente identificabile. Come dicevo più sopra, si tratta di una rete extra-strutturale di interessi che incombono e condizionano pesantemente, per favorire un’area elitaria che non ha bisogno di comandarci direttamente perché è riuscita a rendere assolutamente potente la virtualità attraverso le sofisticazioni tecnologiche. Sta a noi uscire dalla neve ...