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giovedì 25 dicembre 2014

La soddisfazione del desiderio è la rivoluzione - Costant

Nel vuoto culturale senza precedenti seguito alla guerra, in cui la classe dominante spinge sempre di più l’arte in una posizione di dipendenza. Noi troviamo affermata una cultura individualistica che viene condannata dalla stessa cultura che l’ha prodotta, perché la sua convenzionalità impedisce l’esercizio dell’immaginazione e del desiderio, e blocca l’espressione vitale. Non può esserci un’arte popolare, anche se al pubblico vengono fatte concessioni come la partecipazione attiva, mentre le forme dell’arte vengono imposte storicamente. L’arte popolare è caratterizzata dall’espressione vitale, collettiva e diretta. 
Sta per nascere una nuova libertà, una libertà che permetterà alle persone di soddisfare i loro desideri creativi. Come risultato di questo processo, la professione dell’artista cesserà di occupare una posizione di privilegio; è per questo che alcuni artisti contemporanei vi si oppongono. Nella fase di transizione, la creazione artistica si ritrova in guerra con la cultura esistente, e contemporaneamente annuncia una cultura a venire. Con questa dualità, l’arte assume un ruolo rivoluzionario nella società.
Parlare del desiderio significa parlare dell’ignoto, del desiderio di libertà. la libertà della nostra vita sociale, che noi assumiamo come nostro principale impegno, aprirà le porte di un nuovo mondo. È impossibile conoscere un desiderio senza soddisfarlo, e la soddisfazione del desiderio è la rivoluzione. La cultura odierna, essendo individualistica, ha sostituito la creazione con la “produzione artistica”, ed ha prodotto soltanto segni di una tragica impotenza. Creare è sempre scoprire ciò che non si conosce. È il nostro desiderio è fare la rivoluzione. 

VILLAGE GHETTO LAND di Stevie Wonder

Ti piacerebbe venire con me
nel mio vicolo cieco
vorresti venire con me
nella mia terra del villaggio del ghetto?
Guardare la gente che chiude la porta a chiave,
mentre i ladri ridono e rubano,
mendicanti che guardano mentre mangiano
i loro pasti dai secchi dell’immondizia,
vetri rotti dappertutto,
è una scena di sangue
i cittadini sono malati,
una epidemia di assassinio,
a meno di non possedere la polizia,
i ragazzi giocano con le macchine arrugginite,
tagli e graffi coprono le loro mani,
i politici bevono e ridono, sordi a tutte le richieste.
Le famiglie comprano il mangime dei cani, adesso,
la fame vaga per le strade,
neonati che muoiono prima di nascere
contagiati dal dolore.
Certa gente dice che dovremmo essere grati
di quel che abbiamo,
dimmi, saresti felice tu nella terra
del Villaggio del Ghetto?

Per la felicità di tutti gli uomini di Pietro Gori

Amici e compagni miei.
Voi queste cose le avete pensate altre volte; oggi io che ho vissuto molto tra voi e tra il popolo sempre, anche nelle città, ho cercato di farvi meglio conoscere le ingiustizie della vostra condizione; ma a voi, che avete forse sentite più di me le strette del bisogno, e gli stenti di una travagliata esistenza, queste idee saranno più d’una volta venute in forma più o meno chiara alla mente. Ma voi siete anche qui venuti, e vi siete raccolti. Voi avete anche compreso che solo l’unione di tutte le forze vostre può prepararvi un avvenire migliore.
Entrando qui, voi eravate già ribelli contro le ingiustizie di questa società corrotta, voi avete avuto la speranza e il desiderio di una esistenza migliore, voi entrando qui eravate già degni di migliori destini, perché era in voi la coscienza dei vostri diritti. Voi entrando qui eravate già anarchici per sentimento. Voi nelle giornate lunghe, eterne nel lavoro senza tregua e senza riposo, tra i geli dell’inverno, e sotto la sferza del sole di estate, o seduti innanzi alla vostra tavola, dove è scarso il pane, e attorno alla quale i figli mal vestiti tremano dal freddo, avete forse avuto come in un sogno la visione di una grande, di una immensa famiglia, composta di tutta la umanità vivente fraternamente in un comune e reciproco amore, in una santa concordia; tutti eguali nei diritti e nei doveri, tutti lavoratori attivi e fecondi, a cui la fatica non fosse come ora insopportabile e dura, allietati di un conforto, di un sano e largo nutrimento, di un riposo ristoratore, di una qualche ricreazione dello spirito. Voi forse l’avete sognata ed avete un desiderio ed una speranza che questo sogno diventi realtà.
E voi avete nel vostro cuore il patto solenne e il giuramento che combatterete uniti per il conseguimento di questa grande felicità di tutti gli uomini.
Ma se voi tutte queste cose avete pensato entrando qui dentro, eravate già anarchici nel cuore e nel desiderio. Se voi avete fermo nella mente il proposito che lo stato attuale delle cose abbia in un modo o nell’altro termine; ed il vostro ideale possa essere compiuto quanto più presto possibile; e se anche avete compreso le poche cose, che stasera ho cercato alla meglio di esporvi, voi fin da questo momento cominciate a far parte della grande famiglia anarchica che cospira a rivendicare i diritti di tutti gli oppressi contro le prepotenze di tutti gli oppressori. - Ma se voi desiderate conoscere come questa grande famiglia anarchica vive, e come pensa di raggiungere il suo ideale, e qual debba essere la sua missione nelle nuovissime battaglie del pensiero moderno, io vi dirò brevemente.
Se a tutte le angustie del presente sistema economico-sociale voi vi sentite e vi dichiarate ribelli, voi siete anarchici, perché avete la coscienza dei vostri diritti di uomini. Voi siete anarchici perché volete distruggere questa putredine dell’oggi per edificare la società umana sotto una forma nuova e differente, sulle basi dell’amore, della fratellanza e della solidarietà.
Ecco perché voi siete, e vi chiamate anarchici.
Il grande partito anarchico internazionale, è come una immensa famiglia composta dei lavoratori e degli oppressi di tutto il mondo. Esso si prepara ad una grande battaglia e questa sarà la più gloriosa, la più giusta, la più santa battaglia dell’avvenire; la rivoluzione sociale, la battaglia finale di tutti gli oppressi contro gli oppressori, di tutti gli sfruttati contro tutti gli sfruttatori. La rivoluzione sociale sarà la rivendicazione di tutti i diritti del popolo, sarà il gran giorno dell’uguaglianza umana: la rivoluzione sociale spazzerà via come il soffio potente di una immensa tempesta, tutti i privilegi e tutte le ingiustizie del presente, tutte le barriere e tutti i confini tra popolo e popolo. - L’aria sarà purificata da quella ultima lotta di tutto l’avvenire contro tutto il passato.
Cadranno le mostruose e decrepite istituzioni del presente, e l’organismo della grande famiglia umana rifiorirà spontaneamente, secondo le leggi immutabili della natura.

giovedì 18 dicembre 2014

Azione diretta o decrescita?

Molti esperimenti in cui si tenti di svincolarsi, che rivendichino o meno la decrescita, sono encomiabili perché in tempi oscuri hanno la forza dell’esempio a condizione, questo sì, di presentarsi per quel che sono, modi di sopravvivenza più tollerabili, per riuscire a riprendere fiato se possibile, ma niente affatto panacee. Sono un inizio, dato che oggi la secessione è la condizione necessaria della libertà. Tuttavia, questa non ha valore se non come frutto di un conflitto, cioè unita al sovvertimento dei rapporti sociali dominanti. Costituendo una specie di guerriglia autonoma. Il rapporto con le lotte sociali e la pratica dell’azione diretta è quel che conferisce il carattere autonomo allo spazio, non la sua esistenza in sé. L’occupazione pacifica di fabbriche e territori abbandonati dal capitale talvolta potrà essere lodevole, però non fonda una nuova società. Gli spazi di libertà isolati, per quanto paiano molto meritori, non sono barriere che impediscono la schiavitù. Non sono fini a sé stessi, come non lo erano i sindacati in altri periodi storici, e difficilmente possono essere strumenti per la riorganizzazione della società emancipata. Durante gli anni trenta venne messo in discussione questo ruolo, attribuito allora ai sindacati unici, perché si supponeva fosse riservato alla collettività e ai municipi liberi. Il dibattito è degno di essere ricordato, senza dimenticare che nell’ora della verità l’autonomia di ciascuna istituzione rivoluzionaria, sindacati compresi, fu assicurata dalle milizie e dai gruppi di difesa. Oggi però le cose sono diverse: l’emancipazione non nascerà dall’appropriazione dei mezzi di produzione ma dal loro smantellamento. Le zone relativamente segregate oggigiorno esistono proprio perché sono fragili, perché non costituiscono una minaccia, non perché sono una forza. E soprattutto perché non oltrepassano i limiti dell’ordine: in Francia, il contributo principale del milione di neo-rurali non è stato altro che «votare a sinistra». In fin dei conti anche loro sono contribuenti. Gli isolotti auto-amministrati non trasformano il mondo. La lotta sì. La democrazia diretta e l’autogoverno devono essere risposte sociali, opera di un movimento nato dalla frattura, dall’esacerbarsi degli antagonismi sociali, non dal volontarismo campagnolo, e non devono prodursi alla periferia della società, lontano dal chiasso mondano, ma al suo centro. Lo spazio sarà effettivamente liberato quando un movimento sociale cosciente lo strapperà al potere del mercato e dello Stato, creando al suo interno delle contro-istituzioni. L’uscita dal capitalismo sarà opera di un’offensiva di massa o non sarà. Il nuovo ordine sociale giusto ed egualitario nascerà dalle rovine di quello vecchio, dato che non si può cambiare un sistema senza prima averlo distrutto. 

LA RIVOLUZIONE MONDIALE COMINCIA

Io non appartengo …
La Rivoluzione mondiale comincia.
Salve, uomini ! Salve, uomini e donne della rivoluzione ! Salve ! Salute a voi, fratelli della prossima repubblica universale ! Salute a te, umanità della santa cittadinanza del mondo che è in cammino ! Salve, esseri umani ! Salve !
Io non appartengo al Partito Socialdemocratico e non sono nemmeno socialista indipendente. Non faccio parte del Gruppo Spartacus e non sono un bolscevico. Non sono affiliato a nessun partito, a nessun circolo politico di qualsiasi sorta; poiché nessun partito né programma, nessuna proclamazione o decisione di coalizione potrebbe proteggermi dalla sventura universale.
IO NON POSSO APPARTENERE AD ALCUN PARTITO
poiché vedo in ogni appartenenza una limitazione alla mia libertà personale, poiché conformarmi ad un programma di partito mi toglie la possibilità di evolvere verso ciò che considero lo scopo più alto e nobile sulla terra:
AVERE IL DIRITTO D’ESSERE UN ESSERE UMANO !

(Breve recensione all'edizione italiana del libro dei fratelli Cohn-Bendit: L'estremismo, rimedio alla malattia senile del comunismo, Torino, Einaudi, 1969 , apparsa sul numero di Rinascita del 30 maggio del 1969.)



L'elaborazione del dolore e la compassione

La distopia della civiltà occidentale vede nel dolore solo un fattore accidentale del sistema socioeconomico da superare con interventi straordinari. La sensazione del dolore è determinata da messaggi che giungono al cervello. L'esperienza che ne deriva è legata al corredo genetico e da alcuni fattori funzionali, oltre che dalla natura e intensità dello stimolo: cultura, ansia, attenzione, interpretazione. Tutti questi fattori sono modellati da determinanti sociali: ideologia, struttura economica, carattere della società. Sono quindi il risultato di questo addestramento e delle convinzioni conseguenti che determinano il grado di dolore sopportabile. Sono spesso rimedi superstiziosi che inducono un sollievo magicamente maggiore che nella religione colta. Di fronte alla medicalizzazione tutte le determinanti sociali vengono distorte. Per la cultura il dolore è un disvalore, mentre per la medicina è una reazione organica, sistemica, che si può misurare, regolare e controllare. C'è una obiettivazione per cui il dolore diventa oggetto di controllo. Naturalmente sono i medici a decidere quali sono i dolori autentici, quali immaginati e quali simulati. L'elaborazione del dolore è un fattore culturale, ma l'esperienza in sé è assolutamente personale. La compassione che proviamo per chi sta male è determinata proprio dal fatto che siamo consapevoli che il suo dolore riguarda specificatamente solo lui, gli altri possono solo immaginarlo. Se un medico obbiettiva il dolore reificandolo, il senso che abbiamo indicato viene meno. Viene meno proprio l'unicità di chi esperisce tale condizione dolorosa. I medici d'altronde hanno studiato come manipolare il dolore unico che ciascuno prova in modo esterno e standardizzato; si interessano ad una indagine sistemica, cioè organica, che è l'unico modo oggettuale aperto alla verifica operativa. Così il risvolto personale sfugge a questa indagine operativa. Il controllo sperimentale ignora l'aspetto unico che costituisce il paziente reale che ha davanti a sé. Di solito le proprietà analgesiche di un prodotto sono sperimentate sugli animali, pensate un poco voi come, poi se ne verifica la validità sulle persone. A volte anche queste ultime sono usate come cavie da laboratorio. 
In laboratorio le persone sono come i topi, fuori no. Il limite estremo di questa esperienza è costituita dalle persone lobotomizzate, queste sentono il dolore solo come disagio perché hanno perso la capacità di soffrirne. Il risultato è che l'ipertrofia dell'intervento tecnico ha sostituito tutte le altre dimensioni culturali che contribuivano ad arginare l'esperienza del dolore: parole, droghe, miti e modelli. Le parole da dire, le sostanze da prendere, le narrazioni da ricordare e gli esempi da seguire sono drasticamente sostituiti dal nuovo mito, dalla nuova narrazione, dalle nuove sostanze, tutte rigorosamente determinate dal monopolio medico. Questa concezione, secondo Illich, ha un prerequisito filosofico che ha cambiato la mentalità dell'uomo moderno. Data da Cartesio questa nuova percezione e si basa sulla divisione tra res cogitans e res extensa (con res cogitans si intende la realtà psichica a cui Cartesio attribuisce le seguenti qualità: inestensione, libertà e consapevolezza. La res extensa rappresenta invece la realtà fisica, che è estesa, limitata e inconsapevole).
Situa da allora il momento in cui il dolore inizia a perdere la sua dimensione personale diventando il segnale di qualcosa che non funziona. E' così che il corpo difende la sua integrità meccanica.

venerdì 12 dicembre 2014

VALPREDA È COLPEVOLE

Pietro Valpreda è colpevole di NON aver messo le bombe della strage di Milano, ma i suoi crimini sono molto più gravi dell’assassinio di sedici persone innocenti: la Repubblica Italiana lo ha già condannato senza possibilità di appello né di riabilitazione.
Pietro Valpreda è nato colpevole. Colpevole come tutti quelli che nascono in una famiglia, in una casa, in un quartiere poveri di una città industriale, colpevole come tutti i figli degli sfruttati. Ma Pietro Valpreda ha voluto trasformare questa condizione di colpevolezza in una scelta criminale rifiutando la propria condizione di sfruttato, rifiutando di passare dalla parte degli sfruttatori e dei loro servi. Pietro Valpreda è colpevole. Pietro Valpreda è la belva umana colpevole di aver scelto la povertà. Colpevole di avere i capelli lunghi. Colpevole di non avere amicizie influenti. Colpevole di non portare la cravatta. Colpevole di non timbrare un cartellino. Colpevole di non essere una spia. Colpevole di essere un ballerino. Colpevole di non essere un ballerino famoso. Colpevole di non essere un violento. Colpevole di vivere le proprie idee. Colpevole di non avere in tasca la tessera di un partito. Colpevole di credere nella rivoluzione proletaria. Colpevole di essere un anarchico. COLPEVOLE DI ESSERE UN UOMO.
Cosa importa se non è lui che ha messo le bombe, cosa importa? Pietro Valpreda è il mostro che deve essere schiacciato: un insulto, una provocazione vergognosa che lo stato borghese deve cancellare, per cercare di cancellare tutto quello che Valpreda rappresenta.
Non ci sono inchieste, libri, petizioni, interpellanze parlamentari, giudici integerrimi che possono far riconoscere l’innocenza di Pietro Valpreda. Sta a noi compagni gridare così forte da fermare per la paura la mano del boia. Noi non vogliamo celebrare un altro martire, noi ti vogliamo tra di noi, colpevole tra i colpevoli, compagno tra i compagni per continuare la lotta, per continuare la vita. La vita di Pietro Valpreda e dei compagni che lo stato italiano sta assassinando.
(Tratto da A Rivista Anarchica Anno II N.2 Febbraio 1972) 

giovedì 11 dicembre 2014

Tre passi da una vita felice

Il primo passo da fare per avvicinarsi ad una vita positiva è allontanarsi dalla sorgente primaria di angoscia e frustrazione, eliminando fisicamente quelle fonti che minano l’autostima. Per essere informati non c’è bisogno di possedere una televisione! 
Riavvicinarsi alla natura è il secondo passo. Alla fine del 1800 ci fu l’esodo dalle campagne verso le fabbriche delle città. Adesso è arrivato il momento di invertire la rotta e di rioccupare le campagne. L’essere umano è fondamentalmente ottimista e se non viene influenzato dall’esterno è capace di creare pace e benessere attorno a se. È capace di vivere in simbiosi con gli altri esseri viventi di questo pianeta e di produrre cibo in abbondanza per il benessere di tutti. C’è bisogno di rompere quelle logiche e quegli schemi sociali che ci sono stati propinati per farci vivere in uno stato di frustrazione perenne. Il capitalismo e le sue logiche non funzionano e i suicidi in costante aumento nella società occidentale ne sono la prova! Questo modello di sviluppo non soddisfa le necessità ma solo crea desideri. La necessità è un qualcosa che si soddisfa mentre il desiderio si rinnova di continuo. Nella società del consumo a tutti i costi, vengono creati costantemente nuovi desideri e false necessità, che portano a vivere in una condizione di insoddisfazione perenne. Per molti la vita sembra essere diventata solo una lunga corsa verso l’accaparramento di quelle necessità che poi in realtà non sono altro che desideri indotti dai milioni di messaggi pubblicitari che assorbiamo inconsapevolmente tutti i giorni. Una corsa frivola, futile e demenziale, che ha come traguardo un pianeta invivibile ed una società lobotomizzata.
Il terzo passo è passare dalla competizione per il profitto personale, alla cooperazione per il benessere della comunità. 
E' impossibile contrastare quei poteri organizzati che hanno inventato la crisi economica, se prima non smettiamo di combatterci tra noi. L’unica cosa evidente è che le logiche capitaliste e il profitto economico sono contro l’umanità intera e che la globalizzazione, distrugge la vita, in tutte le sue forme, su tutto il pianeta. Abbiamo imboccato un cammino sbagliato, bisogna tornare al bivio precedente e prendere una nuova direzione. Perchè nonostante tutte le bugie che ti raccontano, solo tre passi ti separano dal benessere e da una vita felice.

IMMAGINI IN BIANCO E NERO di Gyrðir Elíasson


Gli storni in fila
nella grigia recinzione
di fronte la casa grigia
nella nebbia
intraprendono
il volo
Con le loro ali nere
dalla nebbia
alla luce



Gyrðir Elíasson è uno scrittore Islandese nato nel 1961.
E' principalmente uno storico, ma la poesia ha sempre avuto una parte importante nella sua vita. La sua poesia è semplice e sottile, le sue prime poesie trattano della vita urbana in Reykjavik, ma le più recenti si rivolgono alla natura e alla vita rurale. 

PINELLI GIUSEPPE


Nasce a Milano il 21 ottobre 1928 da Alfredo e Rosa Malacarne. Nel 1944, sedicenne, partecipa alla Resistenza antifascista come staffetta della BGT Franco, collaborando con un gruppo di partigiani anarchici, che costituiscono il suo primo tramite con il pensiero libertario. Nel 1954 entra nelle ferrovie come manovratore. Nel 1955 si sposa con Licia Rognini. Nei primi anni ’60 si costituisce a Milano un gruppo di giovani anarchici (Gioventù libertaria). Nel 1965 dopo una decina di anni senza sede, se ne apre una in viale Murillo, Pinelli è tra i fondatori del circolo Sacco e Vanzetti. In seguito ad uno sfratto, gli anarchici milanesi cambiano sede e il primo maggio del 1968 viene inaugurato il circolo anarchico Ponte della Ghisolfa, sito in piazzale Lugano, nel periferico quartiere operaio della Bovisa. Siamo nel ’68 e il vento della contestazione che soffia dalla Francia arriva anche a Milano. L’ambiente anarchico milanese è in pieno fermento, in molte scuole superiori nascono nuclei libertari, anche nelle fabbriche ci sono operai anarchici e frequenti sono i volantinaggi di primo mattino. Gli anarchici milanesi sentono la necessità di una seconda sede, questa volta nella zona Sud di Milano. Tra i più impegnati nella sistemazione e nell’apertura del Circolo di via Scaldasole c’è il Pinelli. Il 25 aprile 1969 due attentati colpiscono la Stazione Centrale e la Fiera. Le indagini si indirizzano verso ambienti libertari e alcuni anarchici vengono arrestati: è l’inizio di una campagna di criminalizzazione, che trova nuova linfa in agosto, quando alcuni attentati ai treni vengono ancora attribuiti agli anarchici. Pinelli e il gruppo Bandiera Nera danno vita sull’esempio della Black Cross inglese di quei mesi e della Croce Nera russa degli anni ’20, alla Crocenera anarchica, specificatamente dedita alla solidarietà concreta con i compagni detenuti, ma anche alla pubblicazione di un bollettino di controinformazione. Pinelli è l’anarchico più in vista e frequentemente è in questura per richieste di autorizzazione ecc. il suo interlocutore è perlopiù un giovane commissario di polizia, informale nei modi: Luigi Calabresi. Così, quando nel tardo pomeriggio del 12 dicembre 1969, subito dopo l’attentato di piazza Fontana, Calabresi si presenta al Circolo di via Scaldasole e invita Pinelli a recarsi in questura, questi acconsente senza problemi.
In questura Pinelli incontra, in un grosso salone, gran parte degli anarchici milanesi, fermati come lui per chiarire il proprio alibi. Entro 48 ore, limite massimo concesso dalla legge di allora per il fermo di polizia, molti fermati vengono rilasciati, alcuni spostati nel carcere di San Vittore. Pinelli invece viene trattenuto in questura aldilà del limite legale. Viene interrogato. Poi intorno alla mezzanotte tra il 15 e 16 dicembre, il suo corpo vola da una stanza dell’Ufficio politico al quarto piano e si sfracella a terra. Pinelli muore a Milano all’Ospedale Fatebenefratelli nella notte tra il 15 e 16 dicembre 1969. La vicenda politico giudiziaria del suo assassinio, intrecciata con l’intera storia della strage di piazza Fontana, in particolare con il caso Valpreda, diventerà negli anni un vero e proprio boomerang per il potere. I maldestri tentativi di mettere a tacere il tutto, culminati nella tesi del malore attivo proposta dal giudice Gerardo D’Ambrosio, non faranno che evidenziare quella verità che non hanno ancora trovato spazio nelle carte ufficiali.

giovedì 4 dicembre 2014

NEL REGNO DEL CONSUMO

Nel regno del consumo, il cittadino è re. Una regalità democratica: uguaglianza davanti al consumo, fratellanza nel consumo, libertà secondo il consumo. La dittatura del consumabile ha completato la liquidazione delle barriere di sangue, di lignaggio o di razza; converrebbe rallegrarsene senza riserve se con la logica delle cose essa non avesse bandito ogni differenziazione qualitativa, per non tollerare fra i valori e le persone che delle differenze di quantità.
Tra chi possiede molto e chi possiede poco, ma sempre di più, la distanza non è cambiata, ma i gradi intermedi si sono moltiplicati, in qualche modo avvicinando gli estremi, dirigenti e diretti, a uno stesso centro di mediocrità. Essere ricchi si riduce oggi a possedere un gran numero di oggetti poveri.
I beni di consumo tendono a non avere più valore d’uso. La loro natura è di essere consumabili ad ogni prezzo. E come spiegava molto sinceramente il generale Dwight Eisenhower, l’economia attuale non può salvarsi che trasformando l’uomo in consumatore, identificandolo alla più grande quantità possibile di valori consumabili, vale a dire di non-valori o di valori vuoti fittizi, astratti. Dopo essere stato il capitale più prezioso, secondo la felice espressione di Stalin, l’uomo deve divenire il bene di consumo più apprezzato.
L’immagine, lo stereotipo della vedette, del povero, del comunista, dell’omicida per amore, dell’onesto cittadino, del ribelle, del borghese, si appresta a sostituire all’uomo un sistema di categorie meccano-graficamente ordinate secondo la logica irrefutabile della robotizzazione. Già la nozione di teen-ager tende a confondere l’acquirente al prodotto acquistato, a ridurre la sua varietà a una gamma variata ma limitata di oggetti da vendere. Non si ha più l’età del cuore o della pelle, ma l’età di ciò che si acquista. Il tempo di produzione che, si diceva, è denaro, si avvia a diventare, misurandosi al ritmo di successione dei prodotti acquistati, usurati, buttati, un tempo di consumo e di consunzione, un tempo di invecchiamento precoce, che è l’eterna giovinezza degli alberi e delle pietre.
Lavorare per sopravvivere, sopravvivere consumando e per consumare, il ciclo infernale si è chiuso. Sopravvivere è nel regno dell’economismo, insieme necessario e sufficiente. È la verità prima che fonda l’era borghese. Ed è vero che una tappa storica fondata su una verità così antiumana non può che costituire una tappa di transizione, un passaggio dalla vita oscuramente vissuta dei signori feudali alla vita razionalmente e passionalmente costruita dei signori senza schiavi. Restano non molti anni per impedire che l’era transitoria degli schiavi senza padroni duri due secoli.

FAHRENHEIT 451 di François Truffaut

Fahrenheit 451 è un film del 1966 diretto da François Truffaut, girato in Gran Bretagna, ricavato dall'omonimo romanzo fantascientifico di Ray Bradbury.
In un ipotetico paese è assolutamente proibita la lettura dei libri, in quanto questi snaturano i fatti, abbelliscono la realtà, costringono alla riflessione e impediscono alla gente di essere felice. Il capitano dei vigili del fuoco, ai quali è affidato il compito di scovare i libri, bruciarli e castigare i colpevoli, tiene in particolare considerazione Montag, il più solerte dei suoi subalterni. Ma questi, che nella moglie Linda trova un evidente modello della spersonalizzazione prodotta dal sistema del quale egli stesso è un difensore, incomincia a dubitare della validità del suo operato quando incontra casualmente Clarissa, una giovane istitutrice, la quale risveglia in lui il naturale desiderio di sapere e di conoscere. A poco a poco Montag, dopo aver incominciato a nascondere libri ed a leggerli, riconquista il dominio della propria mente: ma, tradito da Linda, viene condannato a distruggere la sua casa ed i suoi libri. Allora si ribella, uccide il suo comandante e si rifugia nei boschi, dove alcuni uomini vivono in comunità imparando a memoria il contenuto dei libri, decisi a tramandare ai posteri queste opere di valore universale.
Il mondo di Fahrenheit è il mondo della solitudine, dello scacco, della paura. “Ho da raccontare una storia la cui essenza è piena d'orrore...”: è un passo dei Racconti straordinari di Edgar Allan Poe, che Montag recita nelle ultime immagini del film, per impararlo a memoria. Ma potrebbe essere l'esergo che apre il film. L'orrore è quello di un mondo in cui è proibito leggere, dunque è proibito conoscere, amare, ricordare. Il passato, nella società dei pompieri incendiari, non esiste. Nessuno ricorda nulla: Montag non rammenta che sia mai stato spento un incendio, non ricorda neppure il giorno in cui ha conosciuto sua moglie. Il tempo di Fahrenheit 451 è un eterno, drammatico, oppressivo presente, perché chi detiene il potere sa che controllare la memoria di un popolo significa controllare la sua stessa esistenza: chi non ha passato, non può avere nemmeno un futuro. La perdita della memoria è dunque condizione e sintomo di uno stato di oppressione, l'esercizio del quale appare inestricabilmente legato alla possibilità di controllare la pratica della scrittura. La società di Fabrenheit 451 non è una società che ignora la scrittura, ma è una società in cui ad un certo punto è stato proibito scrivere. “I pazzi che leggono diventano insoddisfatti. Cominciano a desiderare di vivere in modi diversi, il che non è... mai possibile”, spiega il Capitano a Montag. La scrittura non è bandita perché scompaia, ma per divenire privilegio di una élite che si arroga il diritto di stabilire ciò che è bene per gli altri. La scrittura è principio di corruzione, di infelicità, di insoddisfazione: per questo va interdetta. Ma il vero motivo è un altro: l'accesso al segno scritto è smascheramento della violenza del potere, comprensione che questo non é l'unico modo possibile di esistere, possibilità di rovesciare la violenza della scrittura contro chi ne ha fatto strumento di dominio, di oppressione di classe.
Nel mondo di Fahrenheit 451, fatto di pietrificazione e muffa museale, il potere è detenuto da una classe dirigente che è riuscita a colonizzare l'immaginazione dei cittadini, trasformati prima in sudditi, poi in consumatori: di pillole, di programmi televisivi e di status symbol. Tolto di mezzo (anche dai fumetti) l'alfabeto, gli individui sono tutti uguali, secondo uno dei superiori del protagonista. L'uniforme dei pompieri elimina ogni possibile differenza, così come i vestiti dei civili, le loro case e quello che contengono: il conformismo imposto dall'alto, anche con la forza, ha come risultato la riduzione degli uomini a numeri. 

Psichiatria come fonte di corruzione

Oggigiorno la psichiatria è diventata fonte di corruzione, in modo particolare il tipo di corruzione che vorrebbe demonizzare e dichiarare malato chiunque si discosti dalla norma comunemente accettata. La cosa risalta subito da una lettura del DSM – Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali – in cui chiunque non si uniformi a quanto giudicato normale dalla classe dominante, viene etichettato malato mentale.
La cosiddetta condizione per cui una persona potrebbe rifiutare di conformarsi viene definita Disturbo Oppositivo Provocatorio o DOP. Il DSM definisce questo presunto disturbo come un modello continuativo di comportamento disobbediente, ostile e provocatorio e lo collega al cosiddetto Disturbo da Deficit d'Attenzione e Iperattività (ADHD), un altro disturbo creato dal nulla di cui l'inventore – Dr. Leon Eisenberg - ha dichiarato sul letto di morte trattarsi di un disturbo finto.
Come si può immaginare da questa definizione così generica, quasi ogni comportamento personale che sia percepito da qualcuno come indesiderabile o strano potrebbe essere ritenuto sintomatico di DOP. I bambini che litigano coi propri fratelli o esprimono disaccordo coi genitori o gli insegnanti, potrebbero ricevere una diagnosi di disturbo mentale.
Disobbedienza e atteggiamento provocatorio sono comportamenti comuni tra i bambini, e i genitori hanno sempre saputo come gestire la cosa, con un uso bilanciato di disciplina. Allo stesso modo, non tutte le forme di disobbedienza e provocazione sono sbagliate: dipende dal tipo di autorità contro cui ci si ribella e dal motivo della ribellione. Per esempio un bambino cui l'insegnante voglia impedire di esporre le sue opinioni considerate scorrette, e che si ribelli a tale ordine, sta semplicemente lottando per il suo diritto a esprimere disaccordo.
Questo tipo di problemi deriva dalla definizione generica di DOP, tale per cui qualsiasi comportamento inconsueto è suscettibile di essere dichiarato oppositivo o provocatorio semplicemente perché contrario allo status quo. Alcune famose menti del passato, come Edison e Einstein, le cui idee apparivano pazze ai loro tempi, sono il tipo di persone che  – come novelli Galileo Galilei – potrebbero oggi essere etichettati con DOP o altri disturbi psichiatrici.