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giovedì 27 giugno 2019

Psichiatria e fascismo

Per molto tempo, anche nell'ambito delle ricerche sulla repressione del dissenso e le persecuzioni subite dagli oppositori del regime fascista, il ricorso sistematico alla psichiatria e alla reclusione manicomiale è stato un aspetto storiografico sottaciuto e sottostimato, come se certi “metodi” fossero una prerogativa di altri sistemi totalitari, quali quello nazista o quello staliniano. D'altronde, le stesse vittime, una volta tornate alla cosiddetta normalità dopo la Liberazione, il più delle volte auto-censurarono il racconto delle loro vicissitudini attraverso l'arcipelago manicomiale, un po' per evadere anche dal ricordo opprimente di tale esperienza, un po' perché comunque probabilmente in molti vi era il recondito timore di essere ancora presi per pazzi.
Eppure è proprio durante il ventennio fascista che si registra l'incremento dei cosiddetti “manicomi criminali”, con la costruzione di nuove strutture e di nuove sezioni giudiziarie presso istituti “civili” già esistenti, nonché l'aumento – davvero esponenziale – del numero degli “alienati” internati a seguito di sentenza penale oppure in applicazione della legge n. 36 nel 1904 (rimasta, incredibilmente, in vigore sino al 1978!) che prevedeva e regolava l'internamento negli ospedali psichiatrici di quanti, per presunta pericolosità sociale o pubblico scandalo, vedevano così le proprie vite in totale balia del giudizio - e del pregiudizio - di pretori, procuratori, prefetti, questori, podestà e direttori di manicomi.
Nonostante che tale legge fosse stata emanata dal governo del liberale Giolitti, l'individuo vedeva annullata ogni tutela delle proprie libertà ed era consegnato inerme all'arbitrio statale: essa risultava a tutti gli effetti un dispositivo legale volto a togliere dalla circolazione i soggetti “devianti”; infatti, la loro “colpa” e la loro “malattia” discendeva generalmente da una supposta pericolosità legata all'essere improduttivi oppure ad eventuali turbamenti dell'ordine pubblico.
Il fascismo, perciò, accolse pienamente questo impianto ideologico e, soprattutto dal 1927, lo inserì nel suo stato di polizia, tanto che «fissò nel Testo unico delle leggi d Ps (prima del 1926 e poi del 1931) le regole da attivare per il controllo dei degenerati e delle classi pericolose, oltre che dell'alienazione mentale», mirando a colpire ugualmente sospetti oppositori politici, omosessuali, oziosi, nomadi, alcolisti e altri soggetti marginali.
Particolare non secondario, proprio in pieno fascismo, nel 1938 lo psichiatra Ugo Cerletti (tessera n. 0694914 del Pnf) assunse notorietà mondiale per «l'italianissima invenzione» dell'elettroshock. Ad essere colpiti, temporaneamente o in maniera definitiva, da misure di costrizione manicomiale furono circa un migliaio di uomini e donne, di varia tendenza o appartenenza politica, ritenuti pericolosi per la dittatura di Mussolini: se il termine ha un senso, nella stragrande maggioranza dei casi non si trattava di «malati di mente», ma di «avversi al regime»; in non pochi casi, invece, i disturbi psichici erano diretta conseguenza delle violenze fisiche e delle torture mentali a cui furono sottoposti nel corso di spedizioni punitive, in carcere, al confino o dentro i non-luoghi manicomiali.
Per chiudere è possibile riscontrare come i funzionari di polizia ricorressero alle diagnosi pseudo-mediche e alle categorie lombrosiane, mentre gli psichiatri accettavano – con rarissime eccezioni – di svolgere un ruolo di inquisitori politici, così come le figure degli infermieri e dei secondini tendevano a confondersi dietro sbarre che, purtroppo, non appartengono ancora al passato. Discorso analogo per quanto riguarda l'esile confine che separava il trattamento punitivo da quello terapeutico, con strumenti e pratiche degne dei supplizi del Sant'Uffizio.

L'anarchismo antiorganizzatore

Come è noto, la critica di Bakunin nei confronti dell'Internazionale marxista coinvolge i concetti di autorità, burocrazia e centralismo, tutti elementi ritenuti dannosi per il movimento rivoluzionario. Da lì in avanti gli anti-autoritari dibattono e sviluppano ulteriormente il tema dell'organizzazione.
La sezione italiana della Prima internazionale è una associazione allo stesso tempo socialista, anarchica, comunarda, collettivista, atea, rivoluzionaria e federalista. Organizza diversi congressi regionali tra il 1871 e il 1880, anche se dal 1880 è indebolita a causa della continua repressione. Include quattro diverse tendenze: l'evoluzionista, la socialista rivoluzionaria, la comunista anarchica, l'individualista.
L'anarchismo nasce dalle sue ceneri, è un movimento plurale che comprende militanti favorevoli all'organizzazione, oltre ai cosiddetti anti-organizzatori, individualisti e amanti della “propaganda del fatto”.
Un processo di organizzazione in “partito”, come lo definisce anche Malatesta, nel senso di “associazione fra anarchici”, comincia al congresso di Capolago del 1891. È però una dinamica lenta e Capolago è una tappa di un cammino molto lungo e difficile: il convegno nazionale successivo si sarebbe svolto sedici anni dopo a Roma (1907), e dopo di esso sarebbero passati altri otto anni prima di un nuovo appuntamento nazionale (Pisa, gennaio 1915). La fine della prima guerra mondiale e la rivoluzione russa sono tra i fattori che contribuiscono ad accelerare il processo di organizzazione: alla fine degli anni Dieci si tengono vari convegni e congressi che sfociano nella fondazione dell'Unione comunista anarchica italiana nel 1919, che diventerà l'Unione anarchica italiana nel 1920.
La maggioranza degli anarchici italiani è anti-organizzatrice fino alla fine degli anni Dieci e molti anche dopo. Bisogna dire però che da una parte costoro, nonostante tale definizione, non rifiutano di organizzarsi, dall'altra grosse differenze li separano dagli individualisti, cui spesso vengono erroneamente accomunati. Questi ultimi sono influenzati dalle idee di Max Stirner, spesso mescolate con influenze nicciane. Più che Stirner e Nietzsche a formare il retroterra politico degli anti-organizzatori sono invece Bakunin, Kropotkin, Gori, Reclus ecc. Al contrario degli individualisti, gli anti-organizzatori riconoscono il valore dell'azione collettiva e il ruolo del proletariato nel processo rivoluzionario.
Anche se il tema dell'organizzazione è sempre oggetto di dibattito nel movimento, ben pochi anarchici rifiutano nei fatti il concetto di organizzazione. Infatti gli antiorganizzatori negano la validità di qualsiasi struttura formale stabile e continua perché in essa vedono i primi segni dell'elitismo e della burocrazia, ma ciò non toglie che essi ritengano utile organizzarsi praticamente per migliorare la propria azione rivoluzionaria. 

A.L.F.

l'A.L.F., il Fronte di liberazione della terra è un nome "adottato" da individui o gruppi anonimi ed autonomi (nessuna gerarchia, nessun portavoce) che, attraverso l'azione diretta (in forma di sabotaggio) causano danni economici e/o blocco alle imprese implicate, appunto, nella devastazione ambientale (ingegneria genetica, urbanizzazione/deforestazione, settore energetico, dei trasporti ed informatico, etc.), e coloro che agiscono in tal senso prendono tutte le precauzioni necessarie per non danneggiare nessuna vita. La nascita dell'' E.L.F. (che non è quindi un organizzazione ufficiale) pare che sia avvenuta nel 1992 a Brighton (Inghilterra), in seguito al distacco di alcuni attivisti da Earth first! nell'intenzione di passare a metodi di azione più radicali e concreti, per poi diffondersi fortemente in particolare negli Stati Uniti. Non a caso, nel Marzo del 2001 l'E.L.F. è stato classificato dall' F.B.I. tra le minacce principali del terrorismo interno (o eco-terrorismo), ovviamente viene quindi dipinto attraverso la propaganda di regime come un qualcosa di pericoloso e nocivo, e non mancano le scontate e forti critiche (e le varie contrapposizioni) da parte dei movimenti ambientalisti istituzionalizzati/tradizionali, i quali promuovono il cambiamento attraverso mezzi legali che rarissimamente da soli ottengono dei risultati veramente concreti e positivi. Questo perché i mezzi concessi dalle istituzioni rafforzano strutturalmente e culturalmente il sistema stesso che è alla radice del problema, un sistema che non può accettare un reale cambiamento. 

Infliggere un danno economico a coloro che traggono profitto dal tormento e dallo sfruttamento degli animali

Liberare gli animali dai luoghi di abuso, come laboratori, industrie, allevamenti di animali da pelliccia ecc. e sistemarli in luoghi di pace dove possano vivere le loro vite naturali, liberi dalle sofferenze

Rivelare l'orrore e le atrocità commesse contro gli animali dietro le porte chiuse, usando azioni dirette non violente e liberazioni

Prendere tutte le necessarie precauzioni per evitare di arrecare danno ad animali, umani e non


Ogni gruppo di persone o persone singole che sono vegani e fanno azioni in accordo con le linee guida dell'ALF hanno il diritto di sentirsi parte dell'ALF


giovedì 20 giugno 2019

Le profezie di Luigi Veronelli

– Solo oggi, più che settantenne, vedo con chiarezza: il potere ha utilizzato – con un vero e proprio capovolgimento dei propositi – ciò che era nei nostri sogni, anziché far l’uomo più libero con il progresso, la scienza, la macchina, la cultura ecc., renderne più rapido e sicuro l’asservimento.
– La comunità europea – in cui avevamo pur posto speranze – ha emanato norme subdole e fintamente igieniche per metter fuori gioco, a favore di industria, conserve, salse, formaggi e salumi, prodotti in modo artigianale, senza rischio reale alcuno, da millenni.
– Se vi sono una bevanda ed un cibo vecchi – che sentono e sanno di vecchio – questi sono proprio la coca cola e l’hamburger. L’uno e l’altra monotoni e statici. L’uno e l’altra tuttavia esaltati come fossero prediletti dai giovani, nel futuro dei giovani.
– Cercano d’imporci – la suadenza, la musica, i comici, il cinema, quant’altro – le scelte quantitative. Tu, giovane, fai opera di eversione e di sovversione, esigendo per te e per i tuoi compagni, la qualità.
– Il vino è il canto della terra verso il cielo. Ha i suoi tenori e i soprano, contadini – agricoltori se volete – e contadine che lavorano le vigne e ne vinificano le uve, con tutta la fatica, l’intelligenza e la passione che vigna e vino esigono.
– Siamo di fronte a un mutamento sociale di proporzioni inaudite. Fallito il tentativo di schiavizzare l’umanità con la violenza, è in atto quello di schiavizzarla con la finanza. La terra è l’unico reale baluardo in grado di contrapporsi e far fallire il proposito. Loro lo hanno capito. E fanno di tutto per oltraggiarla ed annullarla.
– Le guerre, le violenze, le tragedie continueranno sino a che esisteranno fedi che non siano la sola fede dell’uomo per l’uomo.
– Il mezzo, qualsiasi mezzo, che non abbia l’assistenza fisica e intellettuale del singolo uomo, contadino, esperto, porta a un degrado, se non a un degrado, ad un’omologazione in qualche modo dannosa.
– Sobrio non è colui che si priva di qualcosa, ma chi conosce che cosa conviene alla sua natura e alla sua cultura.
– Il peggior vino contadino è migliore del miglior vino d’industria.
– La gastronomia si rivolge allo spirito di chi mangia perché sia indotto a raccogliere ed esaltare le sensazioni del gusto. Essa è l’arte del gusto come la musica è l’arte dell’udito, come la pittura, scultura, architettura sono le arti della vista. Così essa ha i suoi artefici, i cuochi, ed i suoi critici, i buongustai, e come ogni arte richiede ai suoi seguaci qualità elettive e meditato studio.
Il senso del gusto non è, per sé solo, sufficiente a creare il gastronomo; più che per ogni altra arte, solo educandolo si raggiungono piaceri non solo sensuali, ma riflessi nello spirito e capaci d’immaginazioni ideali e di godimento estetico.
– La lotta deve essere sì nelle città, ma altrettanto certo e più ancora nelle campagne. Contro ogni fraintendimento. È l’esigenza della qualità, soprattutto alimentare, che ci rende più forti e capaci di opporci alla massificazione ed alla protervia globalizzante.
– Nella leggenda e nella storia troveremmo molte conferme. Un aspetto in particolare mi ha affascinato: il continuo legame che unisce il vino al concetto di libertà.
In ogni secolo il popolo riconosce nel vino uno dei simboli della sua emancipazione. Bacco è chiamato Lieo, Libero, e Platone asserisce: «Il vino riempie di coraggio il cuore dell’uomo e colui che più copiosamente avrà bevuto, di tante maggiori speranze sarà colmo e tanto più animosamente sentirà di sé e sarà pieno di libertà e di sapienza».
– L’esigenza proclamata dei buoni cibi e dei buoni vini non era e non è una moda, non uno dei vari aspetti della conservazione o il retorico sconforto per il tempo passato degli accademici di cucina.
Tutt’altro: è aspetto, certo non ultimo, della difesa giovane di quei valori umani che industrie avide e incontrollate vogliono distruggere e annullare. Giorno per giorno si precisa la volontà comune di una natura pulita: mari, boschi, campi, monti puliti, capaci di dare cibi puliti.
–Le multinazionali paghino ai detentori millenari del loro uso i diritti maturati – appunto nei millenni – per la loro produzione, reimpianto e mantenimento.
I diritti contadini, calcolati sulle loro millenarie fatiche, superano qualsiasi brevetto di miglioria.

(Luigi Veronelli - Milano 1926 – Bergamo, 29 novembre 2004, è stato un gastronomo, giornalista, editore, conduttore televisivo, filosofo e anarchico italiano). 


KIDS OF THE BLACK HOLE - Adolescents

Non si sente nessun suono dell’unità 2
Una volta, quando c’era ancora tanto da fare,
era un caseggiato verde ma ora è una terra desolata
i nostri giorni di spericolato divertimento sono finiti.

Via!

Bambini sulla corsia di sorpasso vivendo la giornata
Nessuna regola da rispettare e nessuno a cui obbedire
Sesso, droga e divertimento è la loro unica preoccupazione
Un altro sorso di birra, un'altra relazione di una notte

Casa dello sporco, un edificio ma non una casa*
Casa della distruzione dove i Lurkers vagavano
Casa che apparteneva ai bambini senzatetto
Casa dello sporco, un edificio ma non una casa*
Casa della distruzione dove i Lurkers vagavano
Casa che apparteneva ai bambini senzatetto
Bambini del buco nero

Messaggi e slogan sono l'arredamento principale
Le registrazioni della storia in disordine sul pavimento
Gli abitanti che cercavano motivi per scarafaggi o cambi in monete
Un'altra notte di caos è così facile da organizzare

Casa dello sporco, un edificio ma non una casa*
Casa della distruzione dove i Lurkers vagavano
Casa che apparteneva ai bambini senzatetto
Casa dello sporco, un edificio ma non una casa*
Casa della distruzione dove i Lurkers vagavano
Casa che apparteneva ai bambini senzatetto
Bambini del buco nero

Le notti dei compleanni
Le notti della frittura
Le notti delle bevute senza fine
Le notti della violenza
Le notti del rumore
Le notti che dovevano finire bene, ma non ancora capito dai ragazzi e ragazze

Spensierati nelle loro azioni, in quanto a morale non ne avevano
Quando le ragazze erano eccitate, chi sarebbero stati i fortunati?
Spingendo tutti i limiti a un punto di non ritorno
Buttati via oltre ogni immaginazione per mostrare che i bambini non vogliono imparare

Casa dello sporco, un edificio ma non una casa*
Casa della distruzione dove i Lurkers vagavano
Casa che apparteneva ai bambini senzatetto
Casa dello sporco, un edificio ma non una casa*
Casa della distruzione dove i Lurkers vagavano
Casa che apparteneva ai bambini senzatetto
Bambini del buco nero.


BARBIERI FRANCESCO anarchico

Francesco Barbieri nasce a Briatico il 14 dicembre 1895. Di famiglia benestante, frequenta regolarmente le scuole elementari e poi si iscrive in un Istituto agrario conseguendo la qualifica di "agrimensore". Nel 1914 emigra in Argentina alla ricerca di lavoro. Il suo progetto è di recarsi in Patagonia presso una fattoria e lavorare come tecnico agrario. Difficoltà burocratiche e ritardi nella concessione delle autorizzazioni gliene impediscono la realizzazione. Partecipa come volontario alla prima guerra mondiale ricevendo anche una onorificenza al valor militare. Rientra in Calabria e si sistema a Zambrone, comune vicino Briatico; professa idee socialiste e anarchiche. Approfittando delle disposizioni a favore dei riservisti, ritorna, nell'aprile del 1922, in Argentina con l'intenzione di partire per la Patagonia. Si avvicina ai circoli politici italiani ed entra in contatto prima con i gruppi socialisti e poi con gli anarchici, in particolare con il Gruppo "L'Impulso" guidato da Nicola Recchi e Aldo Aguzzi. Grazie all'aiuto di questi connazionali riesce a trovare lavoro come manovale, poi come scaricatore al porto e infine in una tipografia come apprendista. Nel 1924 è tra gli organizzatori della contestazione contro la crociera della motonave Italia, che, attraccata nel porto di Buenos Aires, svolge aperta  propaganda a favore del regime fascista. La polizia argentina esegue numerosi arresti; Barbieri riesce a sfuggire alla cattura e inizia una vita da clandestino. Nello stesso anno conosce Severino Di Giovanni, i fratelli Alejandro e Paulino Scarfò, oriundi calabresi di Tropea, Silvio Astolfi, Umberto Lanciotti e il cileno Miguel Arcangel Roscigna, insieme ai quali forma un gruppo deciso a condurre con ogni mezzo la lotta contro il fascismo. Le prime azioni sono di natura dimostrativa, come la protesta inscenata al teatro Colon in occasione dei festeggiamenti per i 25 anni di regno di Vittorio Emanuele III; poi, durante la campagna a favore di Sacco e Vanzetti, si passa ad attentati dinamitardi contro obiettivi americani. Francesco, mettendo a frutto le conoscenze acquisite durante la guerra, si incarica di confezionare le bombe per gli attentati. Nel 1926, insieme al Di Giovanni collaborano attivamente con Buenaventura Durruti e
Francisco Ascaso, con i quali compiono una serie di rapine ai danni di banche e industrie anglo-argentine per finanziare l'attività del movimento. Quando il tre maggio del 1928 Di
Giovanni “piazza” una bomba presso il Consolato Italiano, provocando la morte di nove persone e più di trenta feriti, il movimento libertario argentino si spacca sull’accaduto.
Durissime sono le accuse del periodico “La Protesta”, organo ufficiale della F.O.R.A., nei confronti degli esecutori dell’attentato, accusati di fare il gioco della polizia. Anche il giornale “Antorcha”, tradizionalmente vicino alle tesi degli “espropriatori”, prende le distanze da un gesto di simili dimensioni.

Il gruppo di Di Giovanni si disperde per evitare ovvie ritorsioni poliziesche. Barbieri ripara prima in Uruguay poi in Brasile. Per caso la polizia scopre il laboratorio in cui “Chico” aveva preparato gli esplosivi e per questa ragione non può più rientrare a Buenos Aires. Grazie all’intervento di un avvocato vicino agli anarchici riesce a non essere estradato in Argentina e rientra in Calabria.
Da qui espatria clandestinamente a Marsiglia e raggiunge poi Tolone, dove prende subito contatto con i fuorusciti italiani. Nel marzo del 1931 viene condannato in contumacia dal pretore di Tropea a un anno e sei mesi per emigrazione clandestina e diramato un ordine di arresto come "pericoloso sovversivo" e "anarchico avvezzo all'uso di esplosivi". Nel febbraio del 1932 sconta una condanna a otto mesi inflittagli dal Tribunale di Tolone per uso di passaporto falso e false generalità; uscito dal carcere si reca a Ginevra dove conosce Fosca Corsinovi, con la quale intreccia una relazione. La polizia fascista, che lo segue molto da vicino, gli attribuisce la partecipazione a una serie di attentati in Costa Azzurra e a Lione. Si sposta continuamente tra Ginevra e il sud della Francia, ma tutto questo continuo andirivieni è attentamente controllato dai fascisti, che lo segnalano alla polizia elvetica. Nel 1932 conosce Camillo Berneri che lo reputa un compagno coraggioso, indispensabile nella lotta armata. In una nota del giugno 1935, indirizzata ai Consolati italiani di Francia, Svizzera, Belgio, Spagna, Olanda e Germania, il direttore della polizia politica, sospetta che Barbieri sia una sorta di "consulente militare" degli anarchici e che nei suoi continui spostamenti assista i suoi compagni nella preparazione di esplosivi. Le continue pressioni sulla polizia svizzera sortiscono l'effetto desiderato: nell'ottobre del 1935 Barbieri viene espulso dal paese e si reca a Parigi da Berneri in cerca di appoggi. Ha così modo di partecipare, sia pure di sfuggita, alla Conferenza d'Intesa degli anarchici italiani, preparata da Berneri, Giglioli, Fantozzi e altri allo scopo di elaborare un programma insurrezionale. Per evitare di bruciarsi, Berneri gli consiglia di rifugiarsi in Spagna dove può contare sull'aiuto del gruppo italiano dell'Ufficio di Corrispondenza Libertario e sulle sue amicizie del periodo argentino. Si sistema a Palma di Maiorca con l'obiettivo di avviare un'attività di import/export di frutta e verdura. Durante uno dei suoi frequenti viaggi a Barcellona, su segnalazione degli agenti fascisti, nel febbraio del 1936, viene arrestato e incarcerato. Il Ministero degli Esteri italiano ne chiede subito l'estradizione o, in alternativa, l'espulsione verso il Portogallo da dove sarà più facile estradarlo in Italia. Dopo oltre due mesi di carcere duro, grazie a un'amnistia del Presidente Azafia, viene liberato e rientra clandestinamente in Svizzera. A fine luglio parte per la Spagna insieme con un gruppo di anarchici svizzeri e a Barcellona ritrova Berneri e tutti i compagni italiani esuli in Francia. Entra a far parte della
Sezione Italiana della Colonna  "Ascaso" alle dirette dipendenze di Berneri, che è il Commissario politico, il quale, completamente digiuno di tecniche militari, ne fa il suo "aiutante di campo". Dopo la battaglia di Monte Pelato, si trasferisce a Barcellona con Berneri e mentre questi con il giornale «Guerra di classe» diventa la voce degli anarchici italiani, Barbieri costruisce la rete di sussistenza per i miliziani. Procura fondi, armi, medicinali, ambulanze; tiene i contatti con i dirigenti spagnoli; fa il portaordini e l'ufficiale di collegamento. Allorquando  il Comitato Anarchico di Difesa, presieduto da Virgilio Gozzoli, decide di ripartire gli incarichi al suo interno, Barbieri, diviene un "battitore libero" senza compiti specifici. Secondo una serie di rapporti di polizia egli sarebbe una sorta di capo di una polizia politica anarchica, il corrispondente della CEKA dei comunisti sovietici, mentre, in altri documenti, è indicato come il capo della polizia di Barcellona, senza però altre precisazioni. Nelle giornate di maggio 1937 l'appartamento abitato da Berneri, Barbieri, Tosca Tantini e Fosca Corsinovi viene, più volte, visitato e perquisito da miliziani comunisti e della UGT. Nel pomeriggio del 5 maggio, verso l'imbrunire, un manipolo, formato da una quindicina di persone, fa irruzione, pistola in pugno, nell'appartamento e, dopo un alterco abbastanza violento, preleva gli anarchici sotto gli occhi atterriti delle due donne, e li conduce verso la centralissima plaza de Cataluna. L'indomani il corpo di Barbieri, che presenta ferite da arma da fuoco, viene trovato sulle Ramblas. 
I funerali si svolgono l’11 maggio in una Barcellona tetra e impietrita dal dolore. Cinque carri trasportano i feretri di Camillo Berneri, Adriano Ferrari, Lorenzo di Peretti, Pietro Macon e Francesco Barbieri: tutti italiani e tutti anarchici. È l’ultima grande, solenne e tragica manifestazione pubblica dell’Anarchia.

giovedì 13 giugno 2019

John Olday

John Olday, proletario, artista e rivoluzionario, è morto, a Londra. All'età di 72 anni. La sua lunga lotta ebbe inizio nel 1916, quando non era che uno fra le tante persone,donne e bambini, ad Amburgo, che pativano la fame e che diedero vita a degli scontri per il pane, mentre il Kaiser si stava avviando alla sconfitta. Nel 1918-19 esplose la rivolta dei marinai, durante la quale John, all'età di 13 anni, fungeva da addetto alle munizioni ad una mitragliera della Spartakus; tutti, tranne lui, vennero uccisi. Fu catturato e condannato. Negli anni '20 prese parte alle espropriazioni di massa, aderì, e dopo ne fu espulso, alla Gioventù Comunista; combatté nella tragica rivolta operaia del 1923, aderì al movimento anarchico in un'unità anarco-spartachista  e prese parte a un'unità di milizia durante le insurrezioni dell'ottobre 1923, poi fu attivo nella regione della Ruhr, in Germania, dove gli anarchici avevano migliaia di sostenitori, in particolare tra minatori e operai. Lì ha diffuso idee sui consigli dei lavoratori. militando; più tardi divenne un agitatore nella Ruhr francese occupata.
Arthur William Oldag (questo il suo vero nome) era figlio illegittimo di madre tedesca e padre scozzese, si affermò quale fumettista e artista impressionista, sotto tale nome, nella Germania di Weimar. Accrebbe la sua attività di lotta, poco prima che i nazisti arrivassero al potere, producendo, una serie di infuocati cartoon anti-nazisti e di slogan su autoadesivi, che venivano rimpiccioliti e distribuiti tra i fogli dei francobolli ufficiali, in tutto il Reich. Grazie alle sue abilità artistiche e di cabaret e i manierismi omosessuali hanno conferito a Olday una posizione di privilegio tra i "più alti circoli" del partito nazista di Amburgo, fornendogli accesso alle informazioni che era in grado di usare per mettere in guardia gli amici rivoluzionari e salvarli dai campi di concentramento.
Nel 1938 riuscì a sfuggire ad un attentato tesogli dalla Gestapo. Pubblicò "Kingdom of Rags" (Il regno dei brandelli), una raccolta di impressionanti schizzi anti-fascisti che si era portato dalla Germania. Aiutato finanziariamente da una fazione parlamentare ostile a Chamberlain, Olday, coordinò, da Londra e l’Olanda, l’affondamento dei battelli armati nazisti; uccise un ebreo rinnegato che collaborava ad Amburgo coi nazisti, parlamentò, a Parigi, con gli esuli comunisti e scrisse un appello, letto poi a radio Strasburgo, rivolto ai lavoratori della Germania, incitandoli al sabotaggio degli armamenti nazisti. Sua moglie, Hilda Monte, alla quale è dedicato un museo in Israele, era combattente ebrea anti-nazista che, con John ebbe una parte molto attiva nella preparazione dell’attentato contro una birreria di Monaco nel 1939, che solo per poco non è riuscito nel suo obiettivo: l'eliminazione di Hitler. Hilda venne uccisa dalle SS, nel 1944, mentre, durante una missione operativa, si trovava ai confini con la Svizzera. Con lo scoppio della guerra, rifiutando sia di collaborare col servizio segreto britannico, sia di rinnegare la sua attività nella lotta di classe, John venne deportato in un campo di punizione dal quale evase. Fino al 1944, rimase a Londra clandestinamente, scrivendo e creando cartoon per il periodico anarchico "war commentary " e, per le lettere illegali ai soldati che circolavano fra le truppe. Queste iniziative, ispirate all'antimilitarismo rivoluzionario ed alla propaganda dei consigli dei soldati e degli operai, che stavano acquistando terreno nell’industria bellica, in modo particolare nei docks di Glasgow e nei diversi campi di battaglia, iniziativa che, impegnarono sopra tutti John Olday e Albert Meltzer, quest'ultimo uno dei rappresentanti più qualificativi del movimento anarchico inglese, provocarono I'indignazione governativa e la conseguente carcerazione o coscrizione per la maggior parte dei compagni anarchici. 
Gli IWW degli USA ricoprirono un ruolo importante nel sostenere Olday sia durante il suo arresto sia durante il processo. John collaborò attivamente con marinai di questa organizzazione nella lotta clandestina anti-nazista mantenendo pure i contatti, durante il conflitto, con Amburgo, per mezzo di un marinaio un membro del'IWW che lavorava nella Germania nazista. Rilasciato nel '46 dalla prigione, John Olday fu costretto a "prestare" servizio militare in un battaglione punitivo. Quindi organizzò i POW tedeschi nella "spartakusbund-Gruppe Bakunin",i diretti eredi degli anarco-spartachisti del 1918-40. Al ritorno in Germania, questi giovani rivoluzionari formarono 60 gruppi "Spartakus" i quali, principalmente nella Germania orientale,vennero eliminati uno a uno, dalla polizia segreta stalinista, verso la fine del '48. Alla fine del servizio Olday collaborò per un certo periodo con un altro periodico anarchico, "Freedom". Più tardi emigrò in Australia, divenendone il più popolare artista, cabarettista ed oratore degli anni '50.
Fece ritorno in Germania nel decennio successivo, disegnando per giornali e collaborando con gruppi gay e studenteschi. Ritornò a Londra in contatto, nuovamente,con "Freedom", quindi con "Black Flag", dopo di che fondò il suo "International Archive Team ". Negli ultimi due anni di vita, John divenne membro del "General Defence Committee" degli IWW. Rimase sempre un "consigliarista", continuò a mantenere i suoi contatti con i prigionieri e con i dissidenti in Germania, Italia, Francia e Giappone. Rimase un ribelle fino alla morte nel 1977.




LA MIA AMICA E LE MIE SIGARETTE di Nizar Qabbani

Continua a fumare... mi affascina 
un uomo quando fuma. 
Che buono il tuo tabacco... 
e il mondo accoglie l'autunno. 
Il caffè, i giornali oziosi, 
le visioni e i frammenti di tazze. 
Fuma, che meraviglia un uomo 
che si consuma in un angolo... e mi consuma... 
Un uomo.. .le cui dita si serrano 
e pensano senza testa... 
Accendine una e poi un'altra, 
accendila dalla brace dei miei occhi 
e posa la cenere sulla mia mano, 
il tuo fuoco non può farmi male... 
Io sono una donna appagata 
quando mi adagio sul divano... 
Per ore, in questo tempio, 
osservo il tuo viso stanco 
e conto... 
conto le vene della tua mano... 
mi svagano quelle vene 
e i fili bianchi dei capelli qui e lì sfiniscono i miei nervi... 
e mi sfiniscono. 
Fuma, che meraviglia un uomo 
che si consuma in un angolo... e mi consuma... 
Bruciami...e con me brucia la mia casa, 
sii libero come un folle! 
Io sono una donna, 
e mi basta sentirmi protetta, 
mi basta sentire una mano 
che si insinua dietro il divano 
per accarezzarmi la testa e la fronte, 
una mano che si insinua dietro il divano 
per accarezzarmi le orecchie con calma, 
e per lasciare tra miei capelli neri 
una ghirlanda di fiori di limone. 

Fuma, che meraviglia un uomo 
che si consuma in un angolo... e mi consuma... 
(Nizar Qabbani nato a Damasco nel 1923 e morto a Londra nel 1998. La sua poetica di rottura ai vecchi canoni classici, focalizzata su temi come l'amore, il sesso e la liberazione femminile, riesce, ancora oggi, a ipnotizzare il pubblico arabo di ogni ceto.
"La poesia è la patria delle cose che si ribellano a loro stesse, e delle forme che rifuggono la propria forma")

La dimensione positiva della libertà

Dunque la dimensione positiva della libertà è eminentemente collettiva; il suo ruolo, però, consiste nel potenziare la libertà individuale, non nell’indicare all’uomo le direzioni e il senso ultimo della sua azione, la cui natura rimane irriducibilmente soggettiva e perciò immune da ogni codificazione di senso proveniente da fonte esterna. Di qui una delineazione radicale del rapporto tra libertà individuale e contesto sociale, tra impulso esistenziale ed etica pubblica. Poiché, infatti, “la libertà individuale e collettiva è l’unica creatrice dell’ordine umano”, ne deriva che da essa nasce “l’assoluto diritto di ogni uomo o donna adulti di non cercare per le proprie azioni altre conferme che quelle della propria coscienza e della propria ragione, di non determinarle che per mezzo della propria volontà e di esserne quindi, prima di tutto responsabili solo verso se stessi e poi nei confronti della società di cui fanno parte, ma solo in quanto consentono liberamente di farne parte.  
"Non divengo veramente libero se non attraverso la libertà altrui, così che più numerosi sono gli uomini liberi – e più profonda e più ampia è la loro libertà -, più estesa, più profonda e più ampia diviene la mia libertà. Si realizza la libertà illimitata di ognuno per mezzo della libertà di tutti. Confermata dalla libertà di tutti, la mia libertà si estende all’infinito”. (Michail Bakunin) 

giovedì 6 giugno 2019

La prossima rivoluzione

La prossima rivoluzione sarà una rivoluzione democratica e razionale, questa l'idea centrale del pensiero di Murray Bookchin. Partendo dalla lunga storia di militante anarchico ed ecologista Bookchin elabora una nuova idea politica e sociale che si adatta perfettamente alle sfide del XXI secolo. Ecologia sociale, comunalismo, municipalismo libertario, confederalismo sono i termini che Bookchin utilizza di volta in volta per spiegare le proprie idee e come realizzarle. 
L'utopia realizzabile sviluppa il progetto di un nuovo modello sociale e politico per costruire un mondo razionale, egualitario e libertario, organizzato - a livello locale - in comuni e municipi autogestiti, la cui vita politica ed economica si fonda sulla democrazia diretta e le assemblee popolari. Infatti l'organizzazione politica e sociale che ha delineato è teorizzato nel corso di alcuni decenni di intensa produzione intellettuale e letteraria, progetta una democrazia decentrata e assembleare in cui la partecipazione diretta al governo locale rappresenta la base per lo sviluppo di una società caratterizzata da una organizzazione politica più libera, efficiente e complessa. Un modello che è stato realizzato in parte già realizzato nel Rojava, la zona autonoma del nord della Siria, abitate in maggioranza della popolazione curde che hanno liberato questo territorio prima dallo Stato Siriano e poi dall'Isis. Nel Rojava il progetto comunalista e confederalista democratico che prende vita da l'idea di Bookchin si è sviluppato da oltre 10 anni, realizzando una società caratterizzata da piccoli nuclei sociali composti da alcune centinaia di persone che condividono l'organizzazione politica, economica e sociale di un municipio o di una comune. Nonostante lo stato di guerra che caratterizza ancora il Rojava una parte dei membri di questi municipi (uomini e donne senza distinzione) lavorano regolarmente all'interno della comunità, in alcuni casi vere e proprie comuni, mentre altri sono impiegati insulti e militari e produttive esterne, con cui municipi mantengono i rapporti di interdipendenza.
Tutte le decisioni che riguardano il municipio o la comune vengono discusse all'interno delle assemblee popolari, in cui tutti hanno uguale diritto di voto e di parola. Nel caso dell'impossibilità di un accordo complessivo, le decisioni vengono prese a maggioranza,e la minoranza è tenuta ad accettare quanto approvato.
Le comunità fanno parte di una rete o confederazione di comuni e municipi che costruiscono aggregazioni più vaste da un punto di vista sia geografico che economico.
Le comuni e i municipi possono confederarsi tra di loro per governare in modo di condiviso aree urbane o rurali, ma possono anche gestire attività produttive e culturali come fabbriche, scuole, istituti di ricerca e produzione scientifica e tecnologica. 
Alla base di tale progetto politico c'è l'idea, profondamente anarchica, che il genere umano sia in grado di autogovernarsi una società razionale e non autoritaria.

THE ELEPHANT MAN di David Lynch

Londra, 1884. Joseph Carey Merrick (chiamato John dal suo impresario) è un ragazzo affetto dal morbo di Von Recklinghausen (o Sindrome di Proteo), una rara malattia che comporta deformazioni ossee e genetiche, tali da renderlo completamente sfigurato (nel film si dice anche che sua madre venne orrendamente calpestata da un elefante, durante la gravidanza). Un crudele impresario lo obbliga ad esibirsi dietro un tendone da circo, facendo pagare il biglietto ai passanti, tra urla e commenti di disprezzo. E’ il chirurgo, dottor Frederick Treves, a salvarlo dagli stenti e da una morte sicura, facendolo ricoverare al Royal London Hospital, dove troverà asilo e un posto sicuro. In un primo momento, il dottore crede che il giovane sia mentalmente ritardato; in realtà, istruendolo, scopre che è un essere umano estremamente intelligente, ricco di sensibilità ed immaginazione. John Merrick inizia a ricevere le visite di un’importante attrice di teatro e di esponenti della nobiltà vittoriana. Molto spesso si tratta solo di individui curiosi e inopportuni; il dottor Treves è tormentato dalle motivazioni che l’hanno spinto ad occuparsi di John: l’ha fatto per il bene del ragazzo o per studio e per una sua notorietà personale?
In ogni caso, riesce ad offrire a John la possibilità di condurre un’esistenza dignitosa, per quanto breve possa essere. Una sera, infatti, dopo aver assistito ad una prima teatrale, il ragazzo torna nella sua camera ricca di disegni, libri e fotografie e si addormenta, per la prima volta e per sempre, con il capo sul cuscino. A causa della sua malattia, infatti, aveva sempre dovuto dormire accovacciato. 
La triste e malinconica parabola di The Elephant Man commuove e ci fa riflettere su quanto sia potente la minaccia portata dai pregiudizi e dall’ignoranza. “Gli uomini hanno paura di ciò che non capiscono“, disse lo stesso Joseph Merrick più di un secolo fa, ma ancora oggi ci troviamo ogni giorno di fronte a soprusi, cattiverie e violenze scaturite da caratteristiche fisiche o caratteriali che alcune persone misere non riescono ad accettare. David Lynch non indora la pillola, mostrando tutta la crudeltà e l’ipocrisia a cui possono arrivare le persone verso ciò che è diverso dal loro piccolo e ottuso mondo. A tal proposito è esemplare una delle scene più strazianti di tutto il film, in cui assistiamo all’ira e ai soprusi di una folla di persone verso Merrick, che reagisce sfogandosi con la frase “Io non sono un elefante! Io non sono un animale! Sono un essere umano!“, che racchiude in sé l’intero senso della pellicola. 
The Elephant Man ci ammonisce per i nostri pregiudizi e ci spinge a cercare sempre di guardare oltre le apparenze, raccontandoci una storia in cui chiunque può riconoscersi, perché ognuno di noi almeno una volta è stato escluso o messo ai margini per un superficiale difetto esteriore o per il colore della pelle. 
Quanto ancora si debba tutelare la diversità come valore imprescindibile nella società, tenendo di conto dei limiti antropologici del singolo, non sempre adattabili, cercando di evitare il conformismo a tutti costi. 
Un film che è un cazzotto in faccia alla società borghese, ma anche un commovente e meraviglioso inno alla vita e alla dignità e ricchezza nella totalità della diversità umana; dove Lynch, abbatte tutte le barriere e i pregiudizi che si possono creare quando si entra in contatto con il “diverso”. Attraverso una storia molto particolare e comunque dai canoni leggermente horror, riesce a trattare un tema che ancora oggi affligge l’umanità: il razzismo.
The Elephant Man è un’opera commovente, perché è brutale e malinconica allo stesso tempo, come se la telecamera riuscisse ad accarezzarci nonostante quelle pugnalate che ci vengono inferte da certe immagini intrise di atroce amarezza, è un’opera che ancora oggi andrebbe proiettata ovunque come monito a chi giudica fermandosi alle apparenze.



Il Gioco come atto rivoluzionario

Dopo due secoli di negazione attraverso una continua idealizzazione della produzione, le funzioni sociali primitive del gioco si presentano solo più come sopravvivenze imbastardite frammiste a forme inferiori che deviano direttamente dalle necessità dell’organizzazione attuale di questa produzione. Nello stesso tempo, in rapporto dello sviluppo stesso delle forze produttive, compaiono delle tendenze progressive del gioco. La nuova fase di affermazione del gioco sembra debba caratterizzarsi con la scomparsa di ogni elemento competitivo. Il problema di vincere o di perdere, finora quasi inseparabile dalla attività ludica, appare legato a tutte le altre manifestazioni della tensione tra individui per l’appropriazione dei beni. Il sentimento dell’importanza del vincere nel gioco, che si tratti di soddisfazioni concrete o più spesso illusorie, è il prodotto avvelenato di una cattiva società. Questo sentimento è ovviamente sfruttato da tutte le forze conservatrici che se ne servono per mascherare la monotonia e l’atrocità delle condizioni di vita che impongono. Basta pensare a tutte le rivendicazioni sviate per mezzo dello sport agonistico. Non solo le folle si identificano con giocatori professionisti o con certe squadre, che assumono lo stesso ruolo mitico delle stelle del cinema che simulano la vita e degli uomini dello stato che decidono in vece loro, ma anche il succedersi senza fine dei risultati di queste competizioni non cessa di appassionare chi vi assiste. La partecipazione diretta a un gioco, anche preso tra quelli che richiedono un certo esercizio intellettuale, è altrettanto poco interessante appena si tratta di accettare una competizione, fine a se stessa, nel quadro di regole fisse.
L’elemento di competizione dovrà scomparire a vantaggio di una concezione davvero più collettiva del gioco: la creazione comune degli ambienti ludici scelti. La distinzione centrale che bisogna superare è quella che si stabilisce tra il gioco e la vita corrente, in quanto il gioco viene considerato un’eccezione isolata e provvisoria. La vita corrente, condizionata finora dal problema del sostentamento, può essere dominata razionalmente e il gioco, che rompe radicalmente con un tempo e uno spazio ludico delimitato, deve invadere l’intera vita. In questa prospettiva storica il gioco non appare affatto al di fuori dell’etica, del problema del senso della vita. L’unica riuscita che si possa concepire nel gioco è la riuscita immediata sul proprio ambiente e l’aumento costante dei propri poteri. Mentre, nella sua attuale coesistenza con i residui di questa fase di declino, il gioco non può liberarsi completamente da un aspetto competitivo, il suo scopo deve essere perlomeno quello di provocare delle condizioni favorevoli per vivere direttamente. In questo senso è ancora lotta e rappresentazione: lotta per una vita a misura del desiderio, rappresentazione concreta di una simile vita.