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giovedì 30 agosto 2012

L’Anarchia di Emile Henry


Non più autorità, molto più contraria alla felicità dell’umanità di qualche eccesso che si potrebbe produrre agli inizi di una società libera.
Al posto dell’organizzazione attuale, raggruppamenti di individui per simpatia ad affinità, senza leggi e senza capi.
Non più proprietà individuali; messa in comune dei prodotti; lavoro di ognuno secondo i suoi bisogni, consumo di ognuno secondo i suoi bisogni, cioè, secondo volontà.
Non più famiglia, egoista e borghese, che rende l’uomo proprietà della donna, e la donna proprietà dell’uomo; che esige da due esseri che si sono amati un momento di essere legati l’uno all’altro fino alla fine dei loro giorni. La natura è capricciosa, chiede sempre nuove sensazioni. Vuole l’amore libero. Ecco perché vogliamo l’unione libera. 
Non più odio tra i fratelli, non più patrie, che gettano gli uni sugli altri degli uomini che non si sono nemmeno mai visti.
Sostituzione dell’attaccamento gretto e meschino dello sciovinista alla sua patria, con l’amore ampio e fecondo dell’Umanità Intera, senza distinzione di razza né di colore.
Non più religioni, forgiate dai preti per degradare le masse e dar loro la speranza di una vita migliore mentre essi stessi godono della vita terrestre. 
Al contrario, sviluppo continuo delle scienze, messe alla portata di ogni essere che si sentirà attratto verso il loro studio, portando a poco a poco tutti gli uomini ad una coscienza del materialismo.
In una parola, niente più intralci al libero sviluppo della natura umana, libero sviluppo di tutte le facoltà fisiche, cerebrali e mentali.
Per far trionfare questo ideale, per creare una società anarchica su basi solide, occorre incominciare col lavoro di distruzione. Occorre gettare a terra il vecchio edificio tarlato. 

BLANK GENERATION di Richard Hell and the Voidoids


La generazione vuota
Stavo dicendo lasciatemi fuori di qui prima che io venga al mondo. 
E’ affascinante osservare quello che lo specchio riflette 
ma quando io pranzo è per il muro che io stabilisco un posto.
Io appartengo alla generazione vuota
e ogni volta posso prenderla o lasciarla
Appartengo alla – generazione
ma ogni volta posso prenderla o lasciarla
Triangoli stavano cadendo alla finestra quando il dottore bestemmiò
Era un disegno animato lungamente abbandonato dall’occhio pubblico.
La balia aggiustò le sue giarrettiere
come feci i miei primi respiri il dottore afferrò la mia gola è urlò  
“ Premio di consolazione di Dio ”
Afferrare la TV alle mie labbra
l’aria così riscatolata col denaro
Poi trasportarla sulla rampa delle scale e lasciarla cadere
nel vuoto del destino
Perdere il corso dei miei pensieri
e cadere nel sentiero delle tue braccia
E osservare sotto le palpebre ogni puntino che passa.

DEATH WORK 1

L’irreversibilità della morte, il suo carattere oggettivo; è un fatto scientifico moderno. Esso è peculiare alla nostra cultura. Tutte le altre affermano che la morte comincia prima della morte, che la vita continua dopo la vita, che è impossibile discriminare la vita dalla morte. Contro la rappresentazione che vede l’una il termine dell’altra, bisogna cercare di vedere l’indeterminatezza radicale della vita e della morte, e l’impossibilità di autonomizzarle nell’ordine simbolico. La morte non è una scadenza, è una sfumatura della vita – oppure la vita è una sfumatura della morte. Ma la nostra idea moderna della morte è governata da un sistema di rappresentazione del tutto diverso; quello della macchina e del funzionamento. Una macchina funziona o non funziona. Così la macchina biologica è morta o viva.
In un primo momento il prigioniero di guerra il vinto è semplicemente messo a morte; più tardi egli viene “risparmiato”, diviene parte del bottino di guerra, diventa schiavo e passa alla condizione di domestico suntuario; soltanto con il passare dei secoli viene fatto passare al lavoro servile; tuttavia egli non è ancora un lavoratore giacché il lavoro apparirà nella fase del servo o schiavo emancipato liberato dall’ipoteca della messa a morte, e liberato precisamente per il lavoro.

Il lavoro, i tempi liberi, il salario, il controllo, in definitiva sono forme di morte lenta, sospensione della vita, esse non si oppongono come specie di morti diverse alla vita, esse sono morti differite, morti lente al cui opposto vi è la morte violenta e in definitiva la vita, da cui la morte ne è parte. Il sistema lavoro si oppone come morte differita alla morte immediata; questa morte non è violenta né fisica: è la commutazione indifferente della vita e della morte; la loro neutralizzazione nella sopravvivenza, la loro rappresentazione scenica.

(Archivio Bodo’s Project 1985)

mercoledì 22 agosto 2012

L’individualista contro l’autorità di Èmile Armand


L’azione individualistica anarchica consiste nello sviluppare l’odio, il disgusto, il disprezzo personale per la dominazione dell’uomo sull’uomo per mezzo dell’uomo, delle collettività sopra o per mezzo dell’individuo. Consiste nel creare uno spirito di critica permanente ed irriducibile verso le istituzioni che insegnano, mantengono, preconizzano la dominazione degli uomini sopra i loro simili. E non soltanto contro le istituzioni, ma altresì contro gli uomini che queste istituzioni rappresentano, poiché e per opera di quelli che conosciamo queste. Infatti l’autorità è un astrazione, la si conosce solo attraverso i suoi rappresentanti e i suoi esecutori, esiste, per ciascuno di noi, sottoforma di deputati, giudici, gendarmi, carcerieri, agenti delle imposte, contribuenti, elettori.
Per Armand l’anarchismo è innanzitutto una filosofia di vita, non è solo un modo di praticare i rapporti sociali ma anche di vedere il mondo. Egli afferma che l’anarchico, nel senso forte della parola, è quell’individuo che esprime un’insofferenza esistenziale contro ogni forma d’autorità, che lotta contro il potere perché, prima di tutto, questo lo opprime direttamente, poi perché opprime anche gli altri. Naturalmente non vengono sottovalutate le possibili considerazioni sociali, collettive e interumane, ma il fattore determinante è rappresentato dall’azione condotta in prima persona, nel senso che è sempre il singolo soggetto l’alfa e l’omega di ogni riferimento giustificativo della prassi, la vera e unica certezza che dà valore agli scopi della lotta, la sola fonte che illumina la condotta umana.

Sacco e Vanzetti


Il 23 agosto 1927 gli anarchici Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti furono assassinati dalla giustizia americana.

“Il braccio della morte è un posto brutto in tutte le stagioni ma, senza finestre, senz’aria e senza luce, è terribile quando fa caldo... Non siamo criminali, ci hanno condannato con un complotto; ci hanno negato un nuovo processo; e se saremo giustiziati dopo sette anni quattro mesi e diciassette giorni di indicibili torture e ingiustizie è perché eravamo a favore dei poveri e contro l’oppressione dell’uomo da parte dell’uomo.”
Bartolomeo Vanzetti

“Nella cella dei condannati a morte siamo appena stati informati del comitato di difesa che il governatore Fuller ha deciso di ucciderci. Questa notizia non ci sorprende perché sappiamo che la classe capitalista non ha pietà per i buoni soldati della rivoluzione. Noi siamo fieri di morire e cadremo come tutti gli anarchici devono cadere. ”
Nicola Sacco

Che cosa è la giustizia?


Tra l’altro che cosa è la giustizia? Giustizia è l’autorità, il potere che uno ha sopra un altro, e l’autorità non si discute; e se ti condanna sei ben condannato. Ma perciò giustizia è anche sottrarsi, se è possibile, all’autorità, come è giustizia far fuori, se occorre, un eventuale testimone (se ha già reso la testimonianza, allora la giustizia sarebbe lui). Insomma, sia come sia, quando bussano nella notte, la porta che si apre è quella di dietro, che dà nell’orto e nell’aperta campagna. Il pastore sa di essere sempre innocente per se stesso, ma non di esserlo di fronte all’autorità.

“Salvatore Satta, Il giorno del giudizio”

venerdì 17 agosto 2012

La realtà è quella che si decide che sia, non quella che è.

Noi ci atteniamo alle forme morali e condizionali della libertà, mentre chi ha il potere di determinare la natura delle categorie di interpretazione del reale giunge sino alla forma incondizionale, parodistica, parossistica, di liberazione dell'immagine, di liberazione attraverso l'immagine. Non si vede perché l'immagine, una volta liberata, non dovrebbe avere il diritto di mentire. E' anzi probabilmente questa una delle sue funzioni vitali, ed è ingenuo pensare che si è liberata a profitto della verità.
L’immagine, e con essa l'informazione, non è legata ad alcun principio di verità o di realtà.
Il vero problema delle società attuali, allora non è più la sovrapposizione di beni, ma l'eccesso di produzione di informazioni nel sociale, che rovescia paradossalmente "la società dell'informazione in una società afasicà”, sempre più incapace di parlare.
Il flusso incessantemente in crescita delle informazioni nel sociale instaura quindi il dominio di una forma circolatoria pura, votata radicalmente alla circolazione forzata e sempre più ravvicinata delle informazioni.
La comunicazione non si basa necessariamente sull'informazione, ma costituisce una dimensione a sé; è il puro collegamento, il contatto, tutte quelle forme di combinatoria relazionale che non hanno bisogno di messaggio. L’essenziale è essere collegati, anche se non si ha nulla da "dire".
Nell'informazione e nella comunicazione, il valore del messaggio è quello della sua circolazione pura, del fatto stesso che esso passa da immagine a immagine, da schermo a schermo.
L'informazione invece di fare comunicare si esaurisce nella messa in scena della comunicazione. Si gioca a parlarsi, a sentirsi, a comunicare, si gioca con i meccanismi più sottili di messa in scena della comunicazione.

SIAMO FIORI DI ROCCE

La controcultura fiorisce dove e quando alcuni membri di una società scelgono stili di vita, espressioni artistiche e modi di pensare e di essere che abbracciano incondizionatamente l'antico assioma secondo cui l'unica vera costante consiste nel cambiamento in sé. Il segno distintivo della controcultura non è una particolare forma o struttura sociale, ma piuttosto l'evanescenza di forme e strutture, l'abbagliante rapidità e flessibilità con cui appaiono, mutano, si trasformano una nell'altra e poi scompaiono. Coloro che partecipano al cambiamento in modo radicale  prosperano all'interno di questa zona di turbolenza. È il loro ambiente originario, dove tutto è ancora malleabile, plasmabile e riplasmabile con una velocità che sta al passo con il balenio delle loro visioni interiori. Sono esperti del flusso, ingegneri del caos, eco-ambientalisti, zapatisti occidentali che migrano seguendo il moto perpetuo del fronte d'onda del massimo cambiamento.
Nella controcultura, le strutture sociali sono spontanee e provvisorie.
Coloro che partecipano alla rivoluzione culturale si uniscono costantemente per dare vita a nuove molecole, scindendosi e raggruppandosi in configurazioni adatte agli interessi del momento, come particelle che si urtano in un acceleratore di grande energia e si scambiano cariche dinamiche. In tali configurazioni, questi traggono benefici dallo scambio di idee e innovazioni attraverso un feedback veloce in piccoli gruppi, producendo una sinergia che permette ai loro pensieri e alle loro visioni di crescere e mutare quasi nello stesso istante in cui vengono formulati.
La neocultura non dispone di una struttura e di un comando formali.
Perchè, se da una parte è priva di leader, dall'altra è piena di personalità-guida, poiché tutti i partecipanti sono pieni d'inventiva e si inoltrano in territori in cui altri un giorno li seguiranno.
La forza del cambiamento la si può trovare all'interno di alleanze (a volte travagliate) tra gruppi politici radicali, perfino rivoluzionari e forze insurrezionali, tanto che l'appartenenza e gli ideali di tali gruppi spesso si sovrappongono e si miscelano creando un amalgama esplosivo; dove il fulcro della neocultura radicale è il potere delle idee, delle immagini, dell'espressione artistica, del cambiamento, del ritorno alla terra e della riappropriazione della propria vita e  non l'acquisizione del potere personale e politico.

giovedì 9 agosto 2012

LA RIVOLUZIONE SOCIALE di Petr A. Kropotkin

La rivoluzione sociale non può che essere radicale, dunque occorre che si svolga in un breve lasso di tempo. Il suo scopo consiste nel restituire alle masse popolari tutta la ricchezza sociale esistente, non soltanto quella relativa alla sfera della produzione, ma anche quella pertinente al consumo.
L'espropriazione deve comprendere tutto ciò che permette a chicchesia - banchiere, industriale o coltivatore - di appropriarsi del lavoro altrui. In altri termini, la rivoluzione ha il compito di far ritornare alla collettività l'insieme materiale dei mezzi dello sfruttamento. Poiché l'espropriazione costituisce il momento decisivo della rivoluzione, ne deriva che se fosse fatta a metà risulterebbe controproducente perché provocherebbe soltanto un formidabile scompiglio nella società e una sospensione delle sue funzioni, non appagherebbe
nessuno, seminerebbe il malcontento generale e apporterebbe fatalmente il trionfo della reazione. Quindi il giorno che si colpirà la proprietà privata in una qualunque delle sue forme si sarà costretti a colpirla in tutte le altre.
L'espropriazione immediata e generalizzata permette di perseguire due finalità: dà la possibilità alle classi sfruttate di godere, fin da subito di una certa "agiatezza”, guadagnandole in tal modo alla causa rivoluzionaria; eleva il protagonismo popolare alla sua massima capacità, mentre pone in secondo piano l'azione del rivoluzionarismo politico «che le baionette giacobine non vengano ad interporsi; che i cosiddetti teorici scientifici non vengano a confonder nulla».

Luddismo come resistenza al sistema industriale

I luddisti che si oppongono all’introduzione di nuove tecnologie, non sono contrari alla tecnologia in se stessa, quanto piuttosto ai mutamenti sociali che la nuova tecnologia riflette e rafforza. Non hanno nulla contro le macchine ma neppure un rispetto ingiustificato per esse. Dovendo scegliere tra macchine e persone o, per essere più precisi, tra le macchine dei capitalisti e la propria vita, non è difficile decidere cosa viene al primo posto.
I luddisti, i demolitori non hanno una volontà sistematica di distruggere a prescindere dal fine di tale distruzione. Se essi attaccano le macchine non è per paura o perché non hanno nulla di meglio da fare, ma semplicemente perché le macchine che conoscono sono macchine inventate e prodotte nell’ambito di un preciso modello economico e di precise esigenze, quelle dell’impresa capitalistica. Una macchina usata al di fuori di una logica capitalistica potrebbe essere una macchina DIVERSA da quella usata da un modello produttivo capitalistico imperniato sul profitto. È facile dedurre che la tecnologia riflette i rapporti di potere nella società, e questo logicamente significa che chi detiene un maggior potere continua a determinare la forma e la direzione della tecnologia nel futuro prevedibile.
Oggi assistiamo alla maturazione finale di un sistema capitalistico ancora antisociale in cui libertà ed inventiva si sono cristallizzate in un monopolio del potere sancito dalla formula del progresso automatico. Dire no all’innovazione tecnologica serve a due scopi insieme. Primo, fermare il progresso ci rammenta che siamo coinvolti in un movimento che non abbiamo avviato a cui non abbiamo mai deciso di partecipare. Secondo dire “no” non arresta la storia umana, quanto piuttosto mette in discussione l’attuale forma di sviluppo e cambia le regole del gioco presente.

SOGNI DI UN CONDANNATO A MORTE di Pierre-François Lacenaire


Quanta felicità in un sogno!...
Senza dormire, bello è sognare
E in men di un’ora terminare
Il romanzo più lieto.
Creo un mondo a mio riguardo,
Le sorti migliori sono per me,
Così mai io mi azzardo
A scegliere quella di re.

Nel mio solitario rifugio
Non mi curo dell’avvenire,
Mi nutro di una chimera
Nella memoria m’indugio;
Freschi sogni di gioventù,
Che il fato non può sfiorire,
Allietate la mia tarda età:
Son vecchio perché sto per morire.

A volte in un gaio castello,
Raduno mille lille beltà;
Più spesso nell’erba mi sdraio,
Lisa sola al mio fianco sta;
Il velo che il seno solleva
Mio malgrado mi invita a sognare.
Gran peccato che questo sogno
Solitario debba terminare.

Talora in una capanna,
Padre felice e dolce sposo,
Ho preso di me la mia mamma
E i miei bimbi nel braccio riposo.
All’ombra di un fitto ramo
Vivo, leggo, a volte scrivo;
Ma ahimè en l’uragano,
Sogno, sei già così lontano.

giovedì 2 agosto 2012

LA RIVOLUZIONE di Michael Bakunin

L'obiettivo della rivoluzione è l' estirpazione del principio di autorità, comunque esso si manifesti, sia esso religioso, metafisico e dottrinario alla maniera borghese, o perfino rivoluzionario alla maniera giacobina, perché non ci interessa che l'autorità si chiami Chiesa, monarchia, Stato costituzionale, repubblica borghese, oppure dittatura rivoluzionaria.
La rivoluzione ha come scopo la radicale dissoluzione di tutte le organizzazioni, e istituzioni religiose, politiche, economiche attualmente esistenti, in modo tale che non rimanga pietra su pietra, in Europa e nel resto del mondo, del presente ordine di cose fondato sulla proprietà, sullo sfruttamento e sul dominio.
Bakunin intende la rivoluzione come un rivolgimento radicale, come la sostituzione di tutte senza eccezione le forme della vita europea contemporanea con altre nuove, completamente opposte.
Bakunin vuole distruggere tutti gli Stati e tutte le Chiese, con tutte le loro istituzioni e le loro leggi religiose, politiche, finanziarie, giuridiche, poliziesche, educative, economiche e sociali, cosicché milioni di esseri umani ingannati, tenuti in servitù, torturati, sfruttati, possano respirare in completa libertà.
Ponendo l'esclusione assoluta di ogni principio di autorità e di ragione di Stato, Bakunin mira per conseguenza alla abolizione delle classi, dei ceti, dei privilegi e di ogni specie di distinzione» e quindi, ancora una volta, all' abolizione,alla dissoluzione e alla bancarotta morale, politica, burocratica e giuridica dello Stato tutelare, trascendente, centralista, doppione e alter ego della Chiesa.

IL RIVOLUZIONARIO di Paul Williams


Un giovane studente di filosofia, chiamato "A" dai compagni, abbandona la famiglia agiata e va a vivere in una stamberga in compagna di una ragazza. La lettura di opere rivoluzionarie cui si dedica cambiano il suo modo di vedere la vita, rifiuta la propria provenienza sociale, la classe borghese da cui si sente affetto alla stessa stregua di una malattia. Nelle discussioni politiche all’interno del movimento alle quali prende parte non soddisfano la sua confusa brama di redenzione dal borghesismo di cui si sente intriso e senza avere la possibilità di realizzare il desiderio di rivolta che cova in sé.  "A" passa così dal comitato studentesco di cui è membro a una cellula di operai che si avvalgono di lui con diffidenza, incaricandolo di distribuire opuscoli di propaganda marxista. I suoi atteggiamenti contestatari e radicali lo fanno espellere dall'università e lo inducono a rientrare nella propria famiglia appena in tempo per ricevere la cartolina precetto. In caserma non rimane però a lungo poiché, quando viene a sapere che il suo reparto dovrà condurre un'azione repressiva nei confronti di un quartiere proletario in agitazione, diserta, rifugiandosi presso un'amica. Incontrato uno strano tipo di anarchico effettua con questi il saccheggio di un banco dei pegni e quindi compie un attentato contro il giudice che ha pronunciato una sentenza di condanna nei confronti di operai che hanno scioperato. 
Finale di indubbia efficacia scenica con il fermo immagine che fissa indelebilmente l'immagine del protagonista che sta gettando una bomba contro il giudice che ha emesso una sentenza sfavorevole contro operai che hanno osato scioperare.
Il regista Paul Williams ricostruisce il percorso di maturazione politico-sociale di uno studente di un college americano (John Voight) a cavallo degli anni sessanta e settanta, dall’attività politica alla scelta del terrorismo. Studio serio ed approfondito di un carattere e di un periodo tra i più intensi e gravidi di sviluppi della società americana sceneggiato da Hans Konigsberger. Stile rigoroso, taglio non banale, recitazione accurata, anche se il regista privilegia un approccio solo esistenziale ai temi della lotta e della rivolta degli studenti. 
Una scommessa vinta invece la scelta di Jon Voight come protagonista, il reduce dal ruolo di superficiale torello da monta in Un uomo da marciapiede si dimostra interprete ricco di sensibilità e capace di inedite sfumature. E'lui l'arma vincente del film.




L’ACQUA NON SI TOCCA

L’acqua è un diritto e non una merce, la sua gestione può diventare occasione per allargare la dimensione della partecipazione e dei diritti. L’unica via praticabile non può che essere quella che porta all’autogestione, nelle forme più convenienti per ciascuna realtà specifica, perché un conto è la gestione dell’acqua in una metropoli altro è il piccolo paese rurale; diversa la situazione in zone povere di riserve piuttosto che nelle vallate alpine ricche di acqua.
La rivoluzione tecnologica ha permesso di pompare, depurare e distribuire l’acqua attraverso meccanismi sempre più sofisticati e a distanze sempre maggiori dalla fonte di approvvigionamento, il sistema industriale ha devastato i fiumi e le falde con le sue nocività, la civiltà dei consumi ha contribuito a devalorizzare l’acqua, alimentando la percezione che essa sia un bene illimitato, sempre disponibile e a buon mercato.
Occorre mettere in discussione questo sistema che mercifica tutto, non solo l’acqua, esalta l’individualismo e massacra le relazioni sociali. Bisogna recuperare innanzitutto la dimensione comunitaria dell’acqua, le attività collettive ad esse legate e quindi anche la percezione che essa sia un bene comune prezioso che tutti sono tenuti a difendere.
Riscattare l’acqua dalla funzione commerciale cui è stata relegata è possibile soltanto se la si considera in termini di prossimità, vicinanza. Allora sarà normale condividerla, non sprecarla, tenerla pulita. Sarà normale vigilare affinché gli avvoltoi del profitto, grandi e piccoli, non si avventino su di essa per sottrarla alla disponibilità di tutti e depredarla fino all’ultima goccia.