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giovedì 24 novembre 2011

FEEL LIKE A NUMBER - Bob Seger

Sentirsi come un numero
Prendo il mio cartellino e aspetto in fila
Per fare qualche dollaro faccio gli straordinari
Caro signore le lettere continuano ad arrivare con la posta
Lavoro finché la mia schiena è a pezzi per il dolore
Il capo non ricorda nemmeno il mio nome
Arrivo in ritardo e mi segnano sul registro
Non c'è scampo
Mi sento un qualsiasi altro raggio di una grande ruota
Come un piccolo stelo d'erba in un grande campo
Per i compagni di lavoro sono uno dei tanti poveri cristi
Per la società dei telefoni solo un altro apparecchio
Una statistica su un foglio
Per i professori sono uno dei tanti bambini
Per l'IRS un'altra scheda
Appena un altro voto della strada
Me ne scapperò da questa città
Andrò verso il mare
Urlerò in faccia all'oceano hey sono io!
E mi sento come un numero
Come uno straniero
Uno straniero su questa terra
Mi sento come un numero
Non sono un numero
Dannazione sono un uomo
Un uomo ho detto

L'azione diretta cuore dei movimenti

All'interno del movimento  contro la globalizzazione si va definendo una  rete internazionale di resistenza  contro il neo liberismo:  una rete collettiva di tutte le lotte e resistenze particolari, una rete intercontinentale di resistenza per l'umanità. Non si tratta di una struttura organizzata, una organizzazione gerarchica, o comunque piramidale.
La rete è costituita e rappresentata da tutti coloro che resistono. Le origini e le inclinazioni del movimento sono naturalmente internazionaliste, poiché lo sono le sue esigenze.
La visione neoliberale di 'globalizzazione'  definisce e libera i movimenti di capitali e merci, e nello stesso tempo costruisce barriere sempre più efficaci contro la libera circolazione delle persone, delle idee e della informazione. La libera circolazione delle persone, determinerebbe già di per se il declino del progetto neoliberista. Sono evidenti le connessioni e i collegamenti  tra le politiche neo liberiste e meccanismi di coercizione messi in atto dagli stati  nei confronti degli oppositori (polizia, prigioni, militarizzazione di territori  controllo della informazione, censura, criminalizzazione, delegittimazione), come sempre più efficaci sono divenuti i  controlli alle frontiere nei confronti dei “reietti” di coloro che tentano di fuggire dalla fame, dalle guerre che lo stesso sistema democratico propone e promuove.
I muri le griglie che  separano e proteggono i capi della finanza, i politici da ogni contatto con la popolazione, nelle loro periodiche riunioni (G8, G20 etc), sono divenuti il simbolo perfetto per quello che significa in realtà il neoliberismo in termini umani. 
Le pratiche di resistenza  utilizzate da questo movimento hanno alla base la cultura  della disobbedienza civile non violenta, ma  determinata. Il richiamo  alla violenza, evocato dalla maggior parte dei media asserviti al dominio, è divenuto  una sorta  di mantra costante da utilizzare in ogni occasione di azioni di opposizione, di resistenza: "violente proteste", "violenti scontri", "manifestanti violenti", o "violenti disordini". Stiamo parlando di azioni quali lanciare bombe di vernice, rompere le finestre di negozi vuoti, di blocchi stradali etc. E' probabile che ciò che veramente infastidisce  il potere è proprio la relativa mancanza  di violenza, i governi semplicemente non sanno come trattare con un movimento apertamente rivoluzionario che rifiuta di cadere in modelli familiari di resistenza armata o di pacifismo gandhiano. Molti gruppi (Direct Action Network, Reclaim the Streets, anarchici del black block, tute bianche e tantissimi  altri ancora) stanno tutti, a modo loro  cercando di delineare nuovi territori, nuovi linguaggi di disobbedienza civile, che combinino  elementi di teatro di strada, di festa, di circo e di quanto altro possa servire. Si tratta come dicono gli anarchici del blocco nero di “guerra non violenta”, nel senso che evita qualsiasi danno fisico diretto agli esseri umani, o agli animali, ma che  non rispetta le cose, gli oggetti simboli del potere, e chiaro che  tutto questo deve essere accompagnato da sistemi di difesa passiva atti a preservare per quanto possibile l'incolumità dei corpi dei resistenti dalle aggressioni delle milizie professionali messe in campo dai governi, nascono allora forme elaborate di protezione: imbottiture, ripari, maschere antigas, anonimato  etc. Si tratta di tattiche in perfetto accordo con la cultura del movimento anarchico che nel suo polimorfismo raccoglie in se l'idea centrale dell'antiautoritarismo, del rispetto per le diversità, dell’associazione volontaria, dell’autogestione, del mutuo appoggio, della democrazia diretta, dell'azione diretta.
Si tratta di  smantellare i meccanismi di governo, di   conquistare sempre maggiori spazi di autonomia , di  allacciare reti a sviluppo orizzontale antigerarchiche. L'anarchismo è il cuore del movimento, la sua anima, la fonte di maggiore novità e di speranza. 

giovedì 17 novembre 2011

PSICOGEOGRAFIA

La psicogeografia ha cominciato col designare l'insieme dei fenomeni che influenzano i sentimenti umani sul terreno d'osservazione provvisorio costituito da certi processi del caso e del prevedibile incontrati per strada. 
E' lo studio degli effetti precisi dell'ambiente geografico, coscientemente ristrutturato o no, sul comportamento affettivo degli individui. Il suo obiettivo è quello di affinare le qualità di godimento del piacere soggettivo.
La psicogeografia si presenta come la fantascienza dell'urbanistica, dove si esprime la coscienza poetica del viaggiatore-viveur. Quest'ultimo può fissarvi l'itinerario della propria esplorazione, determinandovi le scelte e la valutazione delle proprie scoperte ed emozioni.
I mezzi della psicogeografia sono numerosi e vari. Il primo e il più solido è la deriva sperimentale. Gli altri mezzi, quali la lettura di vedute aeree e di piani, lo studio di statistiche, di grafici o di risultati d'inchieste sociologiche, sono teorici e non presentano quell'aspetto attivo e diretto proprio della deriva sperimentale. Tuttavia, grazie a loro, possiamo rappresentarci sommariamente l'ambiente da studiare. 
I risultati di questo studio potranno, in cambio, modificare queste rappresentazioni cartografiche e intellettuali nel
senso di una più grande complessità, di un arricchimento.

DEMOCRAZIA E SOCIETA' DEL CAPITALE

Per democrazia si intende un regime in cui periodicamente vengono indette “libere” elezioni a cui prendono parte un certo numero di cittadini; a queste elezioni partecipano partiti apparentemente diversi fra loro in rappresentanza di ipotetiche  ideologie o di gruppi sociali con interessi differenti, ma con unico scopo e con la medesima aspirazione quella del controllo e dell'amministrazione del potere.
La democrazia si propone per tanto come forma, il suo contenuto, cioè il suo contenuto sociale risiede altrove: nei rapporti capitalistici, nell'autoritarismo dello stato, nella riproduzione costante ed accelerata dello spettacolo.
La democrazia come ci insegnano sin da piccoli è di per se etica quindi va imposta con qualsiasi mezzo così come è stato per i modelli di civilizzazione occidentale.
Fuori dalle regole del gioco democratico c'è solo, all'esterno, barbarie e fanatismo e all'interno sovversione, terrorismo, demenza, delinquenza e follia.
La democrazia per tanto è la forma dello spettacolo al suo più alto grado di concentrazione ed efficacia e, nel contempo, di diffusione capillare.
E' la democrazia delle merci, più ancora  che quella del lavoro.
E' il diritto di cittadinanza nel mondo della società del capitale che si, integra a livello planetario e  pianifica le differenze.
Ipotizzare oggi organizzazioni societarie diverse da quella cosiddetta democratica si passa per provocatori o terroristi.
La merce ideologica denominata democrazia deve venire esportata ovunque e dovunque sotto le regole apparentemente flessibili dello spettacolo, e di quelle rigide e autoritarie del capitale.
Il totalitarismo ideologico raggiunge così il suo apogeo. Di fronte alla crisi di tutti i valori, due si presentano come fondamentali ed ineludibili: lo stato e la democrazia. Il capitale ne è la base materiale. lo spettacolo la rappresentazione totale.

IL MUNICIPALISMO COME FORMA DI CONFLITTO



Il nuovo municipio è dentro le reti lunghe della cooperazione decentrata tra città, è dentro la pratica della diplomazia dal basso, promuove la cooperazione tra sistemi territoriali contro l'idea della città competitiva, ascolta sviluppa e pratica le forme del conflitto così come proposte dal Movimento su scala locale e globale, si formatta a partire dalla presa d'atto del declino dello Stato nazionale e quindi del concetto popolo. Il nuovo Municipio come soggettività insorgente, come soggetto di parte che resiste e progetta nuovi percorsi di liberazione contro la globalizzazione dei mercati, che fortifica e controlla militarmente i territori della logistica e del flusso delle merci e ne abbandona tanti altri. In questo senso il problema di queste esperienze municipali è quello del superamento delle pratiche di rappresentanza in quanto esse strappano e alienano il controllo del comune alla grande massa dei cittadini.
Nessuna piccola patria, nessuna comunità chiusa autoescludente, ma nemmeno l'idea del bel governo che si è prodotta in alcune regioni italiane, non solo per un ragionevole dubbio circa la capacità progressiva di quel modello, ma anche e soprattutto perché è una forma residuale del non più, di una concertazione tra soggetti forti che allude a un blocco sociale e politico (partito, sindacato e grandi associazioni) che rischia di non vedere e di non saper interpretare le nuove cittadinanze insorgenti, le invisibilità che sono fuori dal Novecento (lavoratori precari e intermittenti, migranti, ceti medi impoveriti, lavoratori individuali, lavoratori servili ecc.).
Come diceva un vecchio saggio la salvezza è nel luogo del pericolo, sono i territori di frontiera quelli che vanno esplorati con maggior attenzione sapendo cogliere il prevalente del non ancora, il conflitto permanente degli invisibili, delle nuove classi subalterne.
In questo senso le esperienze metropolitane, le infinite periferie metropolitane risultano un terreno di sperimentazione possibile se si riesce ad associare la resistenza alla trasformazione neo liberista del paesaggio urbano e progetto di Comunità locale che si auto organizza partendo dai bisogni e dai diritti universali esigibili. 
Ma oggi, questo Movimento, si pone un problema nuovo e più impegnativo che nei Settanta, e cioè il rapporto tra conflitto, gli strappi di minoranza e consenso, coscienti del fatto che i progetti e il modo d'intendere l'altro mondo possibile non può essere tendenzialmente maggioritario, ma assembleare sul principio di democrazia diretta  tra i cittadini delle nostre comunità.

NOTAV, IL POPOLO CHE RESISTE

La  multiforme sacca di resistenza dell’umanità contro il neoliberismo contro il capitalismo finanziario non deve essere confusa con l’opposizione politica nella  sua forma riuscita e compiuta  di un partito. L’opposizione non si oppone al potere, ma eventualmente ad un governo. Nel teatrino della finta alternanza, le due facce della medaglia: partiti di  governo e partiti di opposizione il gioco delle parti: un unica aspirazione servire il dominio  finanziario/capitalista.
La Resistenza, per definizione , non può essere un partito, non è fatta per governare a sua volta, ma per… Resistere.
Nello stesso momento in cui il neoliberismo, la finanza, scatenano la loro  guerra mondiale, in tutto il pianeta si vanno formando gruppi di non conformisti, nuclei di ribelli, nuclei di eretici. L’impero delle borse, della finanza, è costretto a fronteggiare la ribellione di una moltitudine di sacche di Resistenza. Sacche di ogni grandezza, di differenti colori e di forme. Ciò che le rende simili è la Resistenza al “nuovo ordine mondiale” e ai crimini contro l’umanità, alle devastazione dei territori e agli altri aspetti che la guerra della società del capitale dichiara all'umanità libera.
Nel cercare di imporre il suo modello economico, sociale e culturale, il neoliberismo pretende di soggiogare milioni di esseri umani, e di disfarsi di tutti quelli che non trovano posto nella nuova organizzazione del mondo. Però accade che questi “prescindibili” si ribellino e resistano contro il potere che vuole eliminarli. Donne, bambini, anziani, giovani, indigeni, ecologisti, omosessuali, lesbiche, sieropositivi, lavoratori e tutti quelli che non solo “esuberano”, ma che per di più “disturbano” l’ordine e il progresso mondiale, si ribellano, si organizzano e lottano.
Sapendosi uguali e differenti, cominciano a tessere la loro resistenza contro il processo di distruzione/spopolamento,  di ricostruzione/riordino che avanza come guerra totale.
Molte sono le armi che il dominio mette in campo : menzogna, infamia, delegittimazione, violenza, repressione, inganni, inquinamento e militarizzazione dei territori, epidemie e altro ancora.
I Popoli che resistono hanno la consapevolezza che occorre immaginare/creare un mondo nuovo. Un mondo che contenga molti mondi, che contenga tutti i mondi possibili in cui sia  compreso il rispetto per tutti gli esseri umani, per il pianeta che li contiene per gli esseri tutti che in esso abitano; I Popoli che resistono devono sapere sognare/immaginare/creare un mondo che abbia la forza di abolire i rapporti gerarchici e l'ingiustizia.
Praticare forme di  Resistenza vuol dire generare nuove forme di vita, vuol dire assegnare ad ogni attimo, ad ogni azione della nostra giornata, un valore reale compiuto.
La  Resistenza deve necessariamente tendere alla riconquista della pienezza dell'esistenza, alla liberazione delle nostre menti così come  alla liberazione dei nostri territori.
Il Dominio potrà violentare i nostri corpi, i nostri territori, potrà dispiegare le sue armate di “sgherri”, i suoi professionisti della violenza, potrà militarizzerà le valli, le pianure e le montagne, ma non riuscirà mai avere la meglio sulle menti, sui cuori, sulla  determinazione di chi resiste.
La libera critica, Le parole, le idee, l'amore, la passione, la solidarietà, la gratuità, la consapevolezza sono le armi che la Resistenza sa mettere in campo: esse possono essere armi micidiali... 
   

giovedì 10 novembre 2011

Come difenderemo le enclavi della gratuità?

Siamo stati gli schiavi di un funzionamento economico il cui instaurarsi ha segnato l’atto di nascita della civiltà mercantile, alterando i comportamenti individuali e sociali, favorendo una confusione permanente tra confort e snaturamento, progresso e regressione, aspirazione umana e barbarie. Certo, il modo di finanziamento concreto e virtuale costituisce ancor oggi un sistema coerente – una coerenza assurda, è vero, eppure suscettibile di continuare a governare i comportamenti. Per contro, che cosa rischia di succedere il giorno in cui il crac finanziario toglierà al denaro il suo valore e la sua utilità? 
La sua scomparsa, non c’è dubbio, sarà salutata come una liberazione da quanti gli negano il diritto di tiranneggiare la loro vita quotidiana. Tuttavia, il feticismo del denaro è talmente incrostato nei nostri costumi che molti individui assoggettati al suo giogo millenario, finiranno per trovarsi in preda a quegli scompensi emotivi in cui regna la legge della giungla sociale, in cui si scatenano la lotta di tutti contro tutti e la violenza cieca in cerca di capri espiatori. Non dobbiamo sottovalutare i tentacoli della piovra intrappolata nei suoi ultimi rifugi. Il crollo del denaro non implica, infatti, la fine della depredazione, del potere, dell’appropriazione degli esseri e delle cose. L’esacerbarsi del caos, tanto utile alle organizzazioni statali e mafiose, propaga un virus di autodistruzione i cui rigurgiti nazionalisti, gli sfoghi sfocianti in genocidi, i conflitti religiosi, i rigurgiti della peste fascista, bolscevica o integralista rischiano di avvelenare gli spiriti se l’intelligenza sensibile del vivente non rimette al centro delle nostre preoccupazioni la questione della felicità e della gioia di vivere. Per contro, non bisogna che la disumanità del passato cancelli la memoria dei grandi movimenti di emancipazione in quel che ebbero di più radicale: la volontà di liberare l’uomo alienato e di far nascere in lui quella vera umanità che riappare di generazione in generazione.
La società a venire non ha altra scelta che quella di riprendere e sviluppare i progetti di autogestione che dalla Comune di Parigi alle collettività libertarie della Spagna rivoluzionaria, hanno fondato sull’autonomia degli individui una ricerca di armonia in cui la felicità di tutti fosse solidale con la felicità di ciascuno.
Il fallimento dello Stato obbliga le collettività locali a mettere in atto una gestione del bene pubblico più adatta agli interessi vitali degli individui. Sarebbe illusorio pensare che liberare dei territori dal dominio mercantile e instaurare delle zone in cui i diritti umani sradichino il diritto del commercio e della redditività si possa compiere senza urti. Per tanto dovremo immaginare di difendere le enclavi della gratuità che cercheremo di impiantare in un mondo rastrellato e controllato da un sistema universale di depredazione e di cupidigia con strumenti nuovi efficaci consapevoli del fatto che non potremo mai competere sul piano strettamente militare con i professionisti della violenza che il sistema può mettere in campo.

Biocentrismo e Antropocentrismo

Un modo di analizzare l'estrema divergenza fra la visione del mondo delle società primitive basate sulla terra e quella della attuale società consiste nel confrontare le prospettive biocentrica e antropocentrica.
Il biocentrismo è una prospettiva che s'incentra sulla terra e ci collega ad essa e alla trama complessa della vita.
l'antropocentrismo, la visione del mondo dominante nella cultura occidentale, considera la società umana al centro di ogni cosa, escludendo il resto della vita.
Una visione biocentrica non rifiuta la società umana, ma la priva dello status di superiorità e la pone in equilibrio con tutte le forze della vita. Dà priorità a una prospettiva bio-regionale, profondamente legata alle piante, agli animali, agli insetti, al clima, alle caratteristiche geografiche e allo spirito del luogo che abitiamo. Non vi è alcuna frattura fra noi e il nostro ambiente, pertanto non può esistere alcuna oggettivazione o alterità rispetto alla vita. Se la separazione e l'oggettivazione sono alla base della nostra capacità di dominare e controllare, l'interazione diretta è un presupposto indispensabile per un nutrimento, una premura e una comprensione reciproci e profondi.
L' eco-anarchismo si sforza di andare oltre le idee e le decisioni incentrate sull'umano, a favore di un'attenzione e un rispetto per tutte le vite e le dinamiche degli ecosistemi che ci sostengono.

SALOME' di Carmelo Bene

Film destinato ad un pubblico di palato fine.
Salomè riserba infatti molti gaudi allo spettatore che si consegna inerme al bombardamento a tappeto di immagini e di suoni in cui consiste il succo e il fascino della rappresentazione. Opera cinematografica per eccellenza, Salomè è la traduzione per lo schermo, dopo le edizioni teatrali fatte dallo stesso Bene, degli incubi di Erode Antipa, il tetrarca della Galilea che mandò a morte San Giovanni Battista e processò Gesù. Sposato ad Erodiade, già moglie di suo fratello, l'uomo si mangia con gli occhi la bella figliastra Salomè, ma è tormentato dal dubbio che sulle ali di un vento gelido stia per arrivare qualche sventura. 
Dopo un prologo che ci offre primi piani di natiche spolverate con un piumino, il film s'addentra nella baraonda d'un grande banchetto, scivolato ovviamente nell'orgia, a cui si mescolano gli strazianti presagi di Erode, tutti espressi in forme grottesche; un' Ultima Cena, dove gli apostoli fanno a gara per passare alla storia come traditori, un Gesù coi dentini alla Dracula, un altro che tenta di inchiodarsi da sé alla croce (ma gli avanza una mano...) e via beffeggiando. Mentre Erode, incalzato dalla lussuria e annebbiato da sanguigni fantasmi, supplica Salomè di danzare per lui, un vecchio farneticante in cui si deve riconoscere Giovanni Battista tenuto prigioniero nella cisterna pronuncia incomprensibili minacce e, in dialetto siciliano, copre di contumelie la principessa. 
Da parte loro Erodiade (incarnata da due personaggi, un uomo e una donna), la scongiura di non ascoltare il patrigno, e i cortigiani celebrano le sue grazie assomigliandola alla Luna che impassibile assiste al corso deI destino. Finisce che, ottenuta la promessa d'avere in cambio da Erode tutto quel che vorrà, Salomè compie la danza dei sette veli la cosa più morbida del film, sulla musica di «Abatjour»  ma precipita il tetrarca nella follia col chiedergli la testa del Battista. 
Le ultime sequenze vedono Erode spellato da Salomè e l'uomo che cercava di crocifiggersi uscire d'imbarazzo dandosi una martellata in testa.
Chi conosce Carmelo Bene sa che la chiave per penetrarlo è l'eccentricità della fantasia, non speculare sul senso logico del film, ma dobbiamo gustarne gli effetti cromatici e sonori.
Carmelo Bene ha il dente avvelenato con la religione, e perciò gradisce la fama d'irriverente, se non di blasfemo. 
In realtà egli è lontano da Bunuel: il suo Cristo che si intreccia la corona di spine cantando Vipera viene dalla festa delle matricole. 
La parodia è un'operazione anzitutto strettamente culturale. Essa non funziona, infatti, in presa diretta col reale; bensì nel rapporto con un'opera d'arte che mira a svuotare con la contraffazione caricaturale, è, insomma, un'operazione critica; che, però, ha per scopo non già la comprensione dell'opera ma la sua distruzione.
Cinema dell'atto, senza azione, senza traiettoria, istantaneo nel suo divenire. Lo sguardo non è avvertito se non come falso, sempre filtrato da specchi, schermi, vetri. Ma non è neanche uno sguardo guardato. Caleidoscopio di luci e suoni, quest'urlo abbacinante, questa supernova di voci, musiche e rumori spezzati, contraddetti e rimasticati nella sua caoticità classica offre spiragli di accessibilità pigra.




"Cinema è quando gli occhi miei si chiudono solo a guardarmi dentro" (Carmelo Bene)

IL TEMPO REALE

Il tempo reale è oggi il nostro metodo di sterminio.
Se si vuole dare un senso a questa espressione contraddittoria, poiché il tempo reale abolisce ogni dimensione reale del tempo, dovremmo contemplare la possibilità di rendere attuale tutto nell'istante stesso. 
E' il tempo della realizzazione immediata, della diffusione planetaria, dell'azione a distanza. Cosa che abolisce ogni sequenza presente/passato/futuro, quindi ogni conseguenza. 
Il tempo reale è una sorta di quarta dimensione nella quale tutte le altre sono abolite. Il futuro è assorbito perché ha già avuto luogo in tempo reale. Quindi non ha avuto tempo di avere luogo. E il passato, invece, non ha più tempo di avere luogo. Quanto al presente, non è mai quello degli schermi. 
Il tempo reale è quindi una sorta di quarta dimensione, quella del virtuale, sostituita al reale, e che ne è la realizzazione assoluta. 
Quindi nessuna possibilità per il reale di emergere, perché esiste la precessione del virtuale, come una volta c'era la precessione dei modelli e dei simulacri. In fondo: il reale è uno stato instabile che ha beneficiato per due secoli di una congiuntura favorevole. Quella in cui si è avuta la possibilità di produrre gli stessi effetti partendo dalle stesse cause. È tutto questo ad essere sfasciato. È il rapporto di causa ed effetto che è diventato indiscernibile o, forse si è addirittura capovolto. Non si sa più che cosa succede fra le condizioni iniziali e quelle finali.
E' un po' questo il tempo reale: la collisione dei poli opposti del futuro e del passato, del soggetto e dell'oggetto. La collisione tra una domanda e una risposta. E' una realtà insuperabile non soltanto nelle scienze, ma anche nell'organizzazione generale delle nostre esistenze.

giovedì 3 novembre 2011

La gratuità è l'arma assoluta contro il sistema mercantile.

La società mercantile ha scavato la sua tomba facendo della terra un cimitero. Essa offre oggi lo spettacolo della propria fine nel teatro di un mondo in rovina dove le masse anestetizzate sembrano rassegnarsi a sparire con lui.
Coloro che si accontentano di applaudire il crollo del capitalismo finanziario o a opporre una violenza cieca alla violenza del profitto, non fanno che coltivare il fascino dell'autodistruzione e della disperazione di cui le mafie affariste, ideologiche e religiose, hanno bisogno per rinforzare il loro potere. Se non usciamo dalla realtà economica creando una realtà umana, permetteremo ancora una volta alla barbarie mercantile di perpetuarsi.
L'avvenire appartiene a delle collettività autogestite che mettano al servizio di tutti la produzione di beni e di servizi indispensabili (energie naturali, biodiversità, insegnamento, case di salute, trasporti, metallurgia, tessile). Si tratta di produrre per noi e non più per commercializzare delle derrate che dovremo poi acquistare al prezzo del mercato quando sono i lavoratori che le hanno concepite e fabbricate. Il tempo è venuto di rompere con le leggi di un affarismo che programma insieme al suo fallimento quello delle nostre esistenze. Bisogna che le relazioni umane soppiantino le relazioni commerciali e le annullino.
La disobbedienza civile consiste nel passare oltre le decisioni di uno Stato che truffa i cittadini per sostenere le truffe del capitalismo finanziario. Perché pagare allo Stato-bankster delle tasse vanamente destinate a riempire l'abisso delle malversazioni quando potremmo destinarle in ogni collettività locale all'autofinanziamento delle energie gratuite? La democrazia diretta delle assemblee autogestite ha il diritto di ignorare i diktat della democrazia parlamentare corrotta. Tiriamo partito dalla mutazione in corso per costituire delle collettività in cui il desiderio di vivere abbia il sopravvento sulla tirannia del denaro e del potere. 
La disobbedienza civile verso uno Stato che ci truffa è un diritto. Dove vanno le nostre tasse e imposizioni varie? Non al settore pubblico che cade a pezzi a vantaggio di truffatori pubblici e privati. Non alle scuole che stanno diventando un allevamento in batteria di schiavi gettati sul mercato. Non agli ospedali gestiti come imprese da rendere redditizie, dove i pazienti diventano dei clienti di cui approfittare e le cure lasciano il posto all'affarismo. 
Non ai trasporti e alle poste, sempre più cari e sempre più caotici. Non alle industrie prioritarie (tessile, metallurgia, materie prime), che ancor più dei settori parassitari pagano il prezzo del capitalismo speculativo. Non alla ricerca e alla diffusione di energie non inquinanti. Servono a rimarginare le perdite delle malversazioni bancarie, a riempire la voragine senza fondo di un deficit virtuale.
La gratuità è l'arma assoluta contro il sistema mercantile. 
E' tempo di prendere coscienza che il vecchio mondo sta crollando. Se non vogliamo sparire con lui, il compito più importante è gettare le basi di una nuova società.

PRIMITIVISMO E TECNOLOGIA

La tecnologia è qualcosa di più di cavi, silicio, plastica e acciaio. È un sistema complesso che comprende la divisione del lavoro, l'estrazione di risorse e lo sfruttamento, a vantaggio di coloro che la rendono operante.
Il punto di contatto e il risultato della tecnologia sono sempre una realtà alienata, mediata e distorta. A dispetto di quanto affermano gli apologeti del postmodernismo e altri tecnofili, la tecnologia non è neutra. I valori e gli obiettivi di coloro che producono e controllano la tecnologia sono sempre inglobati in essa. 
La tecnologia si distingue dai semplici attrezzi sotto molti aspetti. Un semplice attrezzo equivale a un utilizzo temporaneo di un elemento nell'ambiente immediatamente circostante per uno scopo specifico. Gli  attrezzi non richiedono sistemi complessi che alienano l'utilizzatore dall'azione. Questa separazione è insita  nella tecnologia e crea un'esperienza malsana e mediata, che sfocia in varie forme di autorità.
Il dominio aumenta ogni volta che viene creata una nuova tecnologia "che fa risparmiare tempo", poiché si rende necessaria la costruzione di altra tecnologia per sostenere, alimentare, mantenere e riparare quella originaria. Ciò ha portato con grande rapidità all'instaurazione di un sistema tecnologico complesso, che sembra avere un'esistenza indipendente dagli esseri umani che l'hanno creato.
I sottoprodotti di scarto della società tecnologica stanno inquinando il nostro ambiente sia fisico che psicologico. Siamo derubati della vita a favore della Macchina e degli effluenti tossici del combustibile che alimenta il sistema tecnologico: ci stanno soffocando in un ambiente concepito esclusivamente ai fini dell'efficienza meccanica e dell'espansione tecnologica.
Il sistema tecnologico distrugge, elimina o subordina metodicamente il mondo naturale, costruendo un mondo adatto solo per le macchine. L'ideale verso cui tende il sistema tecnologico è la meccanizzazione di tutto ciò che incontra.

Municipalismo libertario e lotta di classe

Occorre  non contrapporre il municipalismo libertario al conflitto capitale-lavoro. Anzi è necessario allargare la lotta di classe collegandola al conflitto comune-Stato; introducendo nelle formulazioni della lotta di classe elementi che attraversano le classi (soprattutto rispetto al dominio gerarchico e alle dislocazioni ecologiche). 
Occorre  dare alla lotta di classe una base di democrazia diretta che si fondi su una cultura politica e civile di autogestione.
Il municipalismo libertario è un tentativo di portare la lotta di classe sul terreno dei conflitti civili accanto a quello dei conflitti sindacali e di lavoro. La cosa, in realtà, non è tanto strana: dopo tutto gli scontri di classe rivoluzionari, storicamente, hanno sempre trovato una base nei comuni. Le rivolte di Parigi del 1848 e del 1870-71 hanno visto gli scontri svolgersi sulle barricate nei quartieri. Nella Pietroburgo Rossa del 1917, come in Kronstadt, come nella Barcellona del 1936-37, la presenza di forti culture urbane nei quartieri è stata fondamentale per le rispettive rivoluzioni.
Nella tradizione anarchica, il conflitto comune-Stato risale almeno al 1836, quando uscì il libro di Proudon sul federalismo che auspicava la nascita di una federazione di comuni autonomi. Bakunin ha ripreso questa prospettiva e l'ha messa al centro dei programmi redatti nel decennio 1860-1870. In quegli stessi anni queste idee si diffondevano tra gli oppositori di Napoleone III e della sua politica accentratrice in Francia. 
Nel 1871, quando la Prussia sconfisse la Francia e il governo napoleonico crollò, queste stesse idee erano già presenti e ispirarono la Comune di Parigi che sorse dalle rovine del Secondo Impero. Dopo poche settimane di vita la Comune andò incontro a una fine disastrosa, eppure molti radicali (e non solo quelli avversi allo Stato, ma anche Marx per un certo tempo) s'ispirarono al suo audace esempio e considerarono la federazione di comuni autonomi il modello politico adatto per una società libera e autogestita. Alla fine di quel decennio, l'idea passò nei programmi della federazione del Jura, che vedeva nella federazione di comuni un elemento integrante della società post-rivoluzionaria.
Il municipalismo libertario prende spunto dal comunalismo storico, nella versione anarchica come in quella marxiana, come pure alla sua tradizione concreta nella storia rivoluzionaria, a partire dalla Rivoluzione Francese del 1789. Nello stesso tempo, gli fa fare dei passi in avanti. Mentre le prime teorie attribuivano ai comuni sostanzialmente le funzioni amministrative e di erogazione di "servizi pubblici" affidando il potere decisionale alle società operaie (la cui federazione doveva essere parallela a quella dei comuni federati), il municipalismo libertario concepisce il comune come uno strumento di democrazia diretta che ha il controllo sull'economia. E, mentre gli anarchici comunalisti pensavano che le masse avrebbero formato spontaneamente i comuni, dopo che lo Stato fosse crollato per qualche altra via, il municipalismo libertario prevede una fase di transizione rivoluzionaria durante la quale la federazione dei comuni si afferma come potere alternativo contro lo Stato-nazione.