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giovedì 27 maggio 2021

VEREIN, l’organizzazione per Max Stirner

Max Stirner polemizza contro l'universalismo hegeliano e prende anche posizione contro  Feuerbach  e  Marx. Secondo Stirner l'individuo umano, corporeo, è l'unica realtà e l'unico valore. L'individuo è inteso come energia volitiva, pulsione egoistica ed egocentrica che non si inchina dinanzi a nessun idolo, non  riconosce che se stesso, e di tutto si serve come suo strumento. Ricercare al di fuori dell'individuo corporeo ed «egoista» una soluzione equivale, per Stirner, non solo a conservare la «religione» sotto forme nuove ma anche ad aumentare, di fatto, la servitù dell'uomo. L'io è l'unica legge, non esistono altri obblighi nei confronti di nessun codice, credo  o concezione filosofica. Per Stirner è il mondo ad essere contenuto nell'io libero, ribelle e creatore, e quest’io individuale si contrappone alla società e alle sue forze oppressive senza privilegiare mediazione alcuna.

L'umanità si sacrifica per certe idee fisse (la verità, la giustizia, il dovere ecc.) che considera come idealità. Bisogna distruggere le idee fisse; la mia causa non è né divina, né umana; non è né la bontà, né la giustizia, né la libertà.., non è una causa universale bensì unica come sono io. Nessuna cosa mi sta a cuore più di me stesso.

L'«unico» deve farla finita con tutte le ipocrisie della società e non deve riconoscere alcuna norma oggettiva, in  quanto:

Vero è ciò che è unico, falso ciò che non mi appartiene e falsi sono la società e lo stato, a cui tu dai la tua forza e da cui sei sfruttato

Per Stirner lo stato «popolare» che vuole spingere il liberalismo alle sue estreme conseguenze, non può che affermarsi a spese del singolo; anch'esso ha quel vizio capitale che è il voler addestrare l'uomo, invece di lasciarlo sviluppare liberamente. Reazionari e rivoluzionari si appellano entrambi ad un «diritto», gli uni a quello tradizionale, gli altri a quello naturale: ma, in entrambi i casi, è un diritto che ha di mira soltanto l'universale, non il singolo. Pur chiamando «unico» il suo personaggio, Stirner non pensa che l'uomo possa vivere da solo: la società, secondo lui, è il nostro stato naturale. Occorre però fare una distinzione fra quella che si eredita e si subisce, e quella alla quale si aderisce volontariamente in quanto soddisfa maggiormente i nostri bisogni. Questa organizzazione nuova, che Stirner chiama «Verein», l'unione, non è affatto il regno della libertà assoluta: voler dare al «Verein» siffatta interpretazione è per Stirner folle manifestazione di fanatismo religioso. Ciò che differenzia il «Verein» dallo stato è l'atteggiamento spirituale di chi ne fa parte: lo stato è qualcosa che sta al di sopra di me, che mi impone umiltà, il «Verein» è una mia creazione; posso esercitare una critica continua contro le sue massime, perché non le ho ceduto l'anima, e posso anche sciogliermi da essa, perché non mi sono impegnato per il futuro. Per quanto riguarda la proprietà, Stirner   attacca violentemente sia la concezione sacra di essa, tipica della mentalità  borghese, sia le soluzioni alla Proudhon, dell'uomo come possessore di un bene che appartiene alla società. 

La questione della proprietà non si potrà risolvere cosi pacificamente come sognano i socialisti e persino i comunisti. Potrà essere risolta soltanto dalla guerra di tutti contro tutti. I poveri diventeranno liberi e proprietari soltanto se si ribelleranno, si  vorranno innalzare, si solleveranno. Regalate loro tutto quello che vi pare, vorranno avere sempre di più: essi vogliono, infatti, nientemeno che questo, che nulla venga più regalato.


Pare che la disubbidienza sia un difetto genetico

Il problema  non è se la malattia mentale è di origine organica, come pensa  la maggioranza degli psichiatri, o se è di origine psicologica, come pensa la maggioranza degli  psicoanalisti; ma parrebbe piuttosto opportuno non dimenticare che non sono fisiologici soltanto quei pensieri e quei comportamenti che sono approvati e ritenuti ragionevoli o razionali solo dal moralismo di moda. Ad esempio ora, sia a scorno di Kraepelin sia a scorno di Freud, l'omosessualità e l'obiezione di coscienza non sono più, almeno in alcuni paesi, malattie di mente, mentre  destano sospetto l'assunzione e l'uso di eroina e di cocaina. In Italia, di recente, non solo si è parlato di inclinazione particolare di alcuni all'assunzione di droghe proibite, ma  si è discusso se sia o non sia inclinazione geneticamente determinata. 

Pare che la disubbidienza sia un difetto genetico. 

Il medico psichiatra è il delegato dell'autorità morale con diritto di vita e di morte, ma più che altro con diritto di negazione, che gli viene conferito perché sorvegli metodicamente sul rispetto delle convenzioni,   inseparabili dalla stabilità del potere costituito, come sistema di controllo delle ricchezze e della loro distribuzione.


L'immondizia essenziale del nostro mondo

L'immondizia essenziale del nostro mondo come riduzione ultima della materia all'astrazione. La vera ultima realtà è l'Immondizia: gettare tutto nella immondizia, il più rapidamente possibile, è l'ordine più, imperioso che oggi riceviamo, e contribuire all'accumulo dei rifiuti è il contributo essenziale dei sudditi del Mondo. Ed è così che forse la più famosa delle scoperte di Freud, l'identità tra merda e denaro, raggiunge adesso la sua realizzazione pratica, in quanto tutti gli oggetti del Mondo, digeriti e scambiati in denaro tutti indifferentemente, trovano, il loro destino ultimo e la giustificazione nell'essere componenti dell’immondezzaio in cui la Nuova Società trasforma le terre ed i mari: un immondezzaio, certamente meno organico e meno vivo della merda primitiva, nella quale quella umana era ancora quasi simile a quella del meraviglioso asino che cagava monete  d'oro; ma non è che naturale, considerato quel processo di astrazione attraverso il quale la digestione delle cose è passato i cimiteri di carcasse di auto che invadono le riserve naturali non sono, a dire la verità, molto diversi dai mucchi di automobili vive che intasano le città; ma questo spettacolo della morte delle auto non fa che rivelare il carattere funereo delle auto vive, il loro carattere di bare ambulanti della stupidità umana, che forse tra il frastuono ed i semafori  potrebbe passare inavvertito. E anche L’indistruttibilità e l'eternità pratica che, gli apocalittici attribuiscono alle materie plastiche invadenti ed alla radioattività delle scorie delle fabbriche di atomi per la Pace non sono che manifestazioni del carattere di materia astratta (sia come materia aristotelica, sia come atomi democritei) che in questi ultimi residui delle cose si realizza.


giovedì 20 maggio 2021

Ciò che si definisce Stato – Max Stirner

Ciò che si definisce  come Stato è simile a un intreccio e una tessitura congiunta da legami e da adesioni, una proprietà comune dove tutti coloro che fanno causa comune si accomodano gli uni con gli altri, e dipendono gli uni dagli altri. Lo Stato è l'ordinamento di questa dipendenza reciproca. Tende a scomparire il re che conferisce l'autorità a tutti, dall'alto in basso, per giungere fino all'aiutante del  boia, l'ordine non sarebbe perciò meno difeso contro il disordine delle forze istintive da tutti coloro che hanno il senso dell'ordine profondamente radicato nella loro coscienza. Poiché se vincesse il disordine, questa eventualità sarebbe la fine dello Stato. Ma questo sentimento ideale di adattarsi reciprocamente, di fare causa comune e di dipendere gli uni dagli altri, può forse veramente convincerci? Sotto questo punto di vista lo Stato sarebbe la realizzazione stessa dell'amore dove ciascuno esisterebbe per gli altri e vivrebbe per gli altri. Ma il senso dell'ordine non sta forse mettendo in pericolo la personalità? Non bisogna  forse accontentarsi di garantire l'ordine con la forza di modo che niente e nessuno «schiacci i piedi al vicino» oppure che la truppa sia opportunamente incolonnata o schierata? Ogni cosa allora va nel migliore dei modi, nel massimo ordine ed è questo un ordine ideale, ma è lo Stato. Le nostre società e i nostri Stati esistono senza che noi li creiamo; essi si sono formati senza il nostro consenso, essi sono prestabiliti, godono di un'esistenza propria, indipendente; essi sono contro noi individualisti che viviamo  in modo irrepetibile. Il mondo d'oggi  è, come si dice, in lotta contro «lo stato di cose esistente». Tuttavia ci si inganna in genere sul significato di questa lotta, come se non  si trattasse che di cambiare  ciò che  esiste attualmente con un nuovo ordine  che sarebbe migliore. È piuttosto a ogni ordine esistente, vale a dire allo Stato che la guerra dovrebbe essere dichiarata, non a uno Stato in particolare, ancora meno alla forma attuale dello Stato. L'obiettivo da raggiungere non è un altro Stato ma l'associazione, modo di associarsi  sempre mutevole e rinnovato di tutto ciò che esiste. Lo  Stato è presente anche senza la mia partecipazione. Io vi nasco, vi sono  educato, ho verso di lui i miei doveri, io gli devo «fedeltà e omaggio». Egli mi prende sotto la sua ala protettrice e io vivo della sua grazia. L'esistenza indipendente dello Stato è il fondamento della mia mancanza d'indipendenza. La sua
crescita naturale, la sua vita come organismo esigono che la mia natura non si sviluppi per me liberamente, ma che sia ritagliata sulla misura. Perché lo Stato possa espandersi naturalmente, esso mi fa passare sotto le forbici della  «cultura». L'educazione e l'istruzione ch'esso mi dà sono basate sulla sua misura e non sulla  mia. Esso m'insegna per  esempio a rispettare le leggi, ad astenermi dal portare minacce alla  proprietà dello Stato (vale a dire alla proprietà privata), a venerare una maestà divina e terrestre. In una parola esso m'insegna ad essere irreprensibile, sacrificando la mia individualità sull'altare della «santità » (è santa qualsiasi cosa, per esempio la proprietà, la vita d'altri, ecc.). Tale è la qualità della cultura e dell'istruzione che lo Stato è pronto a darmi. Esso mi conduce a diventare uno «strumento utile», un «membro utile della società». Questo è ciò che deve fare ogni Stato sia esso «uno Stato popolare» assoluto o costituzionale. Esso sarà uno Stato fino a che noi saremo cascati nell'errore di credere che esso sia «un individuo» e come tale una «persona » morale, mistica o pubblica.


HOUSE OF THE RISING SUN - The Animals

C'è una casa a New Orleans

la chiamano il sole nascente

ed è stata la rovina di più di un povero ragazzo,

e Dio, so di essere uno di loro


mia madre era una sarta

cucì i miei blue jeans nuovi

mio padre era un giocatore d'azzardo

giù a New Orleans


ora l'unica cosa di cui ha bisogno un giocatore d'azzardo

è una valigia e un bagagliaio

e l'unica volta che è soddisfatto

è quando è completamente ubriaco


[Assolo d'organo]


oh mamma dì ai tuoi figli

di non fare quello che ho fatto io

passare la vostra vita nel peccato e nella miseria

nella casa del sole nascente


beh, ho un piede sulla banchina e l'altro piede sul treno

sto tornando a New Orleans

per mettere quella palla al piede


beh, c'è una casa a New Orleans

la chiamano il sole nascente

ed è stata la rovina di più di un povero ragazzo,

e Dio, so di essere uno di loro

(Eric Burdon già a 10 anni era rimasto colpito dalla versione di Josh White. Sono già nati gli Animals a Newcastle quando ascolta e apprezza una versione di Bob Dylan. Chiede allora ad Allan Price di riarrangiarla. Il risultato è sorprendente: dopo l’iniziale arpeggio di chitarra, l’organo di Price accompagna magnificamente la voce sempre più struggente di Eric.)


Il fine del processo di civilizzazione

Oggi siamo tutti progressivamente privati delle nostre capacità di genere e messi di continuo alla mercé di una macchina o delle decisioni di uno specialista. In questo modo stiamo man mano perdendo l’utilizzo di funzioni vitali. Forse non ce ne rendiamo conto, ma nel mondo incivilito abbiamo perso l’uso dei piedi. Se ci togliamo le scarpe non siamo più in grado di muoverci … Forse non ce ne rendiamo conto, ma nel mondo incivilito non siamo più in grado di provvedere autonomamente alla nostra sussistenza: non riusciamo più a riconoscere una pozza d’acqua potabile da una inquinata; non riusciamo più a distinguere un fungo velenoso da uno commestibile; non siamo più in grado di proteggerci dal freddo, di difenderci da soli, di riconoscere bacche, radici e altri vegetali indispensabili al nostro nutrimento … Siamo insomma diventati dei disabili. Nel mondo incivilito siamo come dei polli in batteria: se si interrompe il flusso di mangime lo scenario è il collasso. E tanto più diventeremo dipendenti dal flusso di mangime, quanto più saremo costretti ad accettare le decisioni, le regole, gli abusi e le restrizioni di chi controlla e gestisce questo flusso. In altre parole tanto più diventeremo dipendenti dai ritrovati della tecnologia, dai diktat dell’economia, dalle astrazioni simboliche della cultura, dai processi controllati dalla Paura politica e dai principi strangolanti del Dominio, quanto più ci allontaneremo dalla capacità anche solo di immaginarlo un mondo diverso. Per farla breve il fine del processo di civilizzazione è quello di far perdere ad ogni individuo la capacità di saper disporre di se stesso.

Quello che dobbiamo sempre ricordare che un’esistenza senza catene è la sola condizione compatibile con la vita umana e della Terra; la sola condizione in cui poter godere di un’esistenza libera e gratificante insieme e non contro gli altri.   


giovedì 13 maggio 2021

I Falsi Principi della Nostra Educazione - Max Stirner

Una volta conquistata la libertà di pensiero, esiste uno sforzo nel nostro tempo per perfezionarla, con lo scopo di trasformarla in libera volontà, principio di una nuova epoca. In tal modo lo scopo finale dell'educazione non può più essere il sapere, ma il volere nato da questo sapere. In breve l'educazione tenderà a creare un individuo personale e libero. Che cos'è la verità se non la rivelazione  di chi siamo  noi? Si tratta di scoprire noi stessi, di liberarci da tutto quello che ci è estraneo, di sottrarci o di sbarazzarci di ogni autorità, di riconquistare la spontaneità. La scuola non forma degli uomini così assolutamente autentici. Se ne esiste qualcuno, ciò avviene  malgrado la scuola. Questa senza dubbio ci rende padroni delle cose e anche al limite padroni della nostra stessa natura. Ma essa non crea in noi dei caratteri liberi. In effetti  nessun tipo di cultura, fosse anche approfondita ed estesa, e nessuno spirito acuto e sagace e nemmeno nessuna abilità dialettica possono premunirci contro la bassezza del pensiero e della  volontà. Tutti i tipi di vanità e di sete di guadagno, d'arrivismo e di zelo servile e di doppiezza ecc. si accompagnano molto bene sia con un'ampia cultura, sia con un'elegante formazione classica e tutto questo fardello scolastico che non esercita nessun'influenza sul nostro comportamento morale, noi lo dimentichiamo spesso; tanto più facilmente in quanto non ci serve a nulla. Ci si scrolla via la polvere della scuola non appena la si lascia. Perché? Perché l'educazione consiste unicamente nella forma o nel contenuto, al massimo in una mescolanza di entrambi, ma nient'affatto nella verità, nella formazione dell'uomo vero. Come certi altri campi, il campo pedagogico fa parte di quegli ambiti in cui ci si sforza di non lasciare  passare la libertà, di non tollerare il dissenso: quello che si vuole ottenere è la sottomissione. Non si mira ad altro che a un addestramento puramente formale e materiale. Dalle formazioni degli umanisti non escono che dei sapienti, da quelle dei materialisti che dei «cittadini utili». Il nostro buon vecchio carattere  fondamentale di «cattiveria» è represso con molta energia e perciò avviene il rinnegamento della cultura in una volontà libera. In tal modo la vita scolastica forma essa stessa dei filistei. Nella stessa misura in cui da bambini ci veniva insegnato ad accettare tutto quello che ci veniva imposto, noi più tardi ci siamo accomodati in una vita positiva; noi ci pieghiamo, a nostra volta, noi ne diventiamo i servi, e i pretesi «buoni cittadini».


NON CHIEDERCI LA PAROLA – Eugenio Montale

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato

l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco

lo dichiari e risplenda come un croco

Perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l’uomo che se ne va sicuro,

agli altri ed a se stesso amico,

e l’ombra sua non cura che la canicola

stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti

sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.

Codesto solo oggi possiamo dirti,

ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.


“I dirigenti rivoluzionari”

Dal momento in cui il popolo in rivolta rinuncia alla sua volontà per seguire quella dei suoi consiglieri, perde l'impiego della sua libertà e incorona, con l'ambiguo titolo di dirigenti rivoluzionari, i suoi oppressori di domani. In ciò consiste, in qualche sorta, l'astuzia del potere parcellare: esso genera delle rivoluzioni parcellari, scisse dal rovesciamento di prospettiva, separate dalla totalità; paradossalmente dissociate dal proletariato che le fa. Come potrebbe la totalità delle libertà rivendicate accontentarsi di qualche briciola delle libertà conquistate senza fare subito le spese di un regime totalitario? Si è creduto di vedervi una maledizione: la rivoluzione che divora i suoi figli: come se la sconfitta di Makhno, l'annientamento di Kronstadt, l'assassinio di Durruti non fossero già stati implicati dalla struttura dei nuclei bolscevichi iniziali, forse anche dai modi autoritari di Marx nella Prima Internazionale. Necessità storica e ragione di stato non sono che necessità e ragione dei dirigenti chiamati ad avallare il loro abbandono del progetto rivoluzionario, il loro abbandono della radicalità. La nuova ondata insurrezionale riunisce oggi dei giovani che si sono tenuti lontani dalla politica specializzata, che sia di sinistra o di destra, o che vi sono passati rapidamente, il tempo di un errore di giudizio o di un'ignoranza scusabili. Nel maremoto nichilista, tutti i fiumi si confondono. Ciò che importa è solo l'al di là di questa confusione. La rivoluzione della vita quotidiana sarà la rivoluzione di quelli che, ritrovando con maggiore o minore facilità i germi di realizzazione totale conservati, contrastati, nascosti nelle ideologie di ogni genere, avranno per ciò stesso cessato di essere mistificati e mistificatori.


giovedì 6 maggio 2021

Max Stirner in birreria

Max Stirner era il suo nome di battaglia, in realtà il suo vero nome era Johann Kaspar Schmidt, nato il  25 ottobre 1806 a Bayreuth. Il suo pseudonimo di Stirner è un soprannome dovuto alla sua fronte pronunciata  (Stirn in tedesco). Nome conservato per L’unico e la sua proprietà e le sue altre  produzioni. Max amava frequentare il  famoso gruppo del circolo berlinese  dei « Liberati ». Un particolare gruppo davvero questo circolo o federazione che teneva le sue riunioni  presso un certo Hippel, barista famoso per la buona qualità delle bevande ch'egli preparava e la cui casa era situata in una delle vie più frequentate della Berlino di  allora. Senza statuto, senza presidente si disprezzavano tutte le correnti critiche e ci si faceva beffe di ogni tipo di censura. Qui si svolgevano discussioni molto appassionate in mezzo al fumo che emanavano le lunghe pipe di maiolica ben conosciute da coloro che hanno frequentato le birrerie al di là del Reno; si discuteva vuotando molti gotti di birra. Qui s'incontravano e si affiancavano svariati tipi umani, i frequentatori fissi e il circolo intimo, fedeli al loro posto per degli  anni, infine c'erano degli ospiti saltuari che venivano, se ne andavano, tornavano, sparivano. Per comprendere bene la storia di questo gruppo, che è fino a un certo punto anche il  luogo di nascita de L’Unico e la sua proprietà, bisognerebbe mettersi nei panni del  mondo intellettuale  tedesco dal 1830 al  1850. La Germania era allora sconvolta da cima a fondo, sia dalla critica della religione — la Vita di Gesù di Strauss è di questo periodo — sia dalle aspirazioni verso la libertà politica che dovevano concludersi con la rivoluzione tedesca del 1848. Presso i «Liberati» si  discuteva  di tutto e  su tutto: su la politica, sul socialismo (nella sua forma comunista), sull'antisemitismo (che cominciava ad affermarsi), sulla teologia, sul concetto di autorità. Dei teologi come Bruno Bauer si frequentavano con dei giornalisti liberali, dei poeti, degli scrittori, degli studenti felici di sfuggire all'insegnamento accademico e persino  qualche ufficiale capace  di parlare di  altri argomenti oltre che di cavalli e di donne e dotato d'abbastanza tatto per lasciare arroganza e frustino sulla porta. Si scorgeva anche qualche donna del bel mondo. Marx ed Engels lo frequentarono, ma non vi si trattennero. Scioperati e iconoclasti  com'erano, i «Liberati» non ebbero mai buona stampa, né buona fama. Si è insinuato  che presso Hippel  si svolgessero sempre delle vere e proprie  orge alla tedesca. Uno dei loro visitatori occasionali, Arnold Ruge gridò loro un giorno: «voi volete essere dei liberati e non notate nemmeno la melma puzzolente dove vi siete tuffati.  Non è  con delle sconcezze che si liberano gli uomini e i popoli. Purificate voi stessi  prima di accingervi  a un tale compito». Max Stirner frequentò per dieci anni i « Liberati ». Egli vi portava il suo sorriso ironico, lo sguardo  sognatore  e  penetrante che emettevano, dietro gli occhiali d'acciaio, i suoi  occhi blu.  



IL LAUREATO – Mike Nichols

Protagonista della storia è Benjamin Braddock (Dustin Hoffman), un giovane di buona famiglia che fa ritorno a casa dopo aver terminato con successo i propri studi. Spaesato e incerto sulla strada da prendere nella vita, il ragazzo viene coinvolto in festeggiamenti forzati e sgraditi, che non fanno che accentuare il suo senso di smarrimento. Durante la festa incontra Mrs. Robinson (Anne Bancroft), piacente e conturbante signora amica di famiglia che gli chiede di accompagnarla a casa, per poi flirtare decisamente con quello che potrebbe essere suo figlio. Sconvolto dalla situazione, Benjamin insiste per andarsene. Pochi giorni dopo, il ragazzo, mosso dalla curiosità e dal desiderio, decide di contattare la signora Robinson, dandole appuntamento in un discreto ed elegante hotel. Nonostante i due siano profondamente diversi per carattere e mentalità, cominciano una relazione clandestina basata esclusivamente sul sesso e sul comune desiderio di fuga da un’esistenza che non li soddisfa. La loro storia viene però scombussolata nel momento in cui, sotto pressione dei genitori, Benjamin invita per un’uscita Elaine (Katharine Ross), la dolce e inconsapevole figlia di Mrs. Robinson.  L’incontro del giovane con la figlia della sua compagna di letto risveglia i suoi sentimenti più nobili, portandolo a riassaporare la gioia delle piccole cose, come un panino mangiato in macchina o uno sfuggente bacio sul portone di casa. Emblematica in tal senso la scena al night club, feroce e tenera allo stesso tempo, con una lacrima di imbarazzo di Elaine che ridesta
Benjamin dalla sua apatia riportandolo su una strada più nobile e appassionata. Quei diecimila metri di pellicola, apparsi improvvisamente sugli schermi degli Stati Uniti nel dicembre del 1967  rappresentarono veramente uno shock. Il laureato esplose Come una bomba nel mondo sonnolento e inerte degli anni sessanta. L'universo anchilosato della cinematografia hollywoodiana  fu preso completamente alla sprovvista e gridò allo scandalo. Pochi capirono che II laureato avrebbe aperto un nuovo modo di 'fare cinema' negli Stati Uniti .I fotogrammi del film costituiscono spietati colpi piccone a una struttura (quella della società americana) che sembrava assolutamente inespugnabile. Con  questo film si demoliscono i miti che erano sempre stati sacri e intoccabili per la ricca borghesia statunitense: la sicurezza  economica, il benessere, carriera, il falso liberalismo, il dio denaro comunque e dovunque  esaltato. lmprovvisamente, qualcuno con un linguaggio cinematografico spoglio un dialogo quanto mai semplice  e disarmante  viene a dire: — Non  è così. Qui si vive nella menzogna più sciocca  e banale. Si accetta un certo tipo di società dando automaticamente per scontato che è l'unica, che non esistono  alternative. Ma la verità è diversa e io ve lo dimostro. Il laureato rappresentò la miccia a lunga combustione che avrebbe innescato l'esplosione avvenuta
clamorosamente l'anno dopo, nel 1968, nei campus universitari e avrebbe avuto come obiettivo non soltanto il modo d'essere della società americana ma, soprattutto, la guerra in Vietnam, l'assurdità di un conflitto che portava la gioventù americana a morire per una causa  che nessuno capiva, in una guerra "non  guerra"  perché mai dichiarata. Le chiavi di lettura de II laureato sono complesse e diverse, come sempre accade per opere di questo genere: ne esiste una immediata, epidermica, più grossolana che è poi quella accettata dalla maggioranza del pubblico meno avvertito ed è la chiave ironica, umoristica, talvolta grottesca. La chiave più percepibile che identifica solamente l'esperienza sessuale, anzi, l'iniziazione sessuale di un ragazzo apparentemente insignificante che viene, in un certo senso, 'educato' e sedotto dalla matura e scaltra moglie del socio del padre. Se il film si fosse fermato a questo livello saremmo rimasti alla solita pochade di cui il cinema ha dato  innumerevoli trame esistenziali e sociali della vita americana; Benjamin, il protagonista, è, nella sua essenza  più profonda, uno stretto parente di molti personaggi della letteratura europea  che vivono nelle opere di  Kierkegaard, Sartre, Camus: il suo non 'ritrovarsi' nell'ambiente in cui è sempre vissuto e in cui dovrà vivere tutta la sua vita è una denuncia  che  non  interessa solamente  l'individuo, ma l'intera società. Il laureato letto in questo modo diviene una irriverente  trasgressione al perbenismo, a tutti i tabù, ai formalismi e al fariseismo imperanti nella società americana degli anni sessanta.  Una società in cui un puritanesimo bigotto e una sfrenata volontà di godimento finivano con il formare un tessuto solido e impenetrabile, tale da respingere chiunque  la pensasse  in  modo differente.



Democrazia locale e autogestionaria

Il nostro sogno è che il prossimo futuro sia l'alba di un altro comunismo che consideri la democrazia locale il punto di partenza di ogni azione. Il mondo ha bisogno di essere amato e accudito, prima di essere pianificato o portato chissà dove. Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, significa rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, al buio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza. Più che un agonismo su un'equità solo declamata, abbiamo bisogno di regole semplici, di accordi morali. Dobbiamo accordarci dopo aver esplicitato i conflitti, dopo aver compreso che il mondo non è solo nostro e quello che facciamo pensando solo a noi stessi è una forma di suicidio. Una democrazia radicalmente locale, costruita da comunità provvisorie che si formano in ogni luogo e che in ogni luogo discutono sulla forma da dare alle cose: può essere una piazza, può essere il modo di pagare le tasse o di produrre, può essere un'idea di scuola e un'idea di sanità. Una capillare manutenzione dal basso in cui le persone sono chiamate a discutere, a esprimere le proprie emozioni. La società si decide spezzando l'autismo corale, aggredendolo e costruendo luoghi in cui ci si mette in cerchio e si fa democrazia. Si sta insieme e si decide, si passa il tempo e si decide come passare il tempo.