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giovedì 25 ottobre 2018

Il ’68 … Champagne Molotov (Capitolo XLIII)

La molotov, il simbolo delle rivolte di piazza per eccellenza, l’equivalente nel XX secolo delle barricate ottocentesche. Nata come arma di guerra, ma poi adottata in tutti i paesi del mondo negli scontri con la polizia. Nell’Italia del ’68, la bottiglia molotov era ancora poco usata. Non compare quasi nei primi incidenti, almeno fino agli scontri in Campo de’ Fiori, alla fine di maggio, anche grazie alle suggestioni di Parigi. Anche se poco adoperata, la molotov comunque era già finita in tribunale. Nell’ultimo numero mensile della rivista trotskista La sinistra, del novembre – dicembre 1967, diretta da Lucio Colletti, un’illustrazione, tratta dalla rivista New York review of books, che accompagnava un lungo articolo sul black power, conteneva le indicazioni per la costruzione di una bottiglia incendiaria, famigliarmente chiamata molotov, dal nome del braccio destro di Stalin. Il fatto passò inosservato fino al marzo del 1968, quando la stessa rivista, divenuta settimanale e diretta da Silverio Corvisieri, pubblicò la stessa immagine della bottiglia incendiaria in prima pagina, di spalla, con i componenti tradotti in italiano. Sotto il titolo: Così in piazza; e accanto l’invito alla mobilitazione studentesca, dopo gli scontri tra movimento studentesco e polizia a Valle Giulia e in vista dell’annunciato ritorno dei fascisti del Fuan nell’università di Roma.
La molotov fu usata ampiamente dai russi nella seconda guerra mondiale per fermare i nazisti. Era un arma di disturbo rudimentale, poco efficiente, ma circondata dal mito sovietico di aver fermato in molte occasioni i potenti carri armati tigre. Da allora era stata presente in molte azioni di guerriglia urbana. Era stata ampiamente usata dagli algerini nella guerra di liberazione contro i francesi; come dai militanti neri americani negli scontri razziali del 1967.
La pubblicazione del disegno della molotov in prima pagina fu spiegata come un contributo al dibattito all’interno dei coordinamenti studenteschi sull’uso della violenza per la difesa delle manifestazioni del movimento, dopo che molti cortei erano stati attaccati di sorpresa dalla polizia. Infatti, nel paginone centrale de La sinistra erano illustrati i vari mezzi  di autodifesa che il movimento degli studenti nel caso poteva usare. Accanto alle pietre, ai bastoni, alle barricate, c’è in piccolo pezzo di storia delle molotov, descritto come “la regina della difesa violenta”.
Nello stesso giorno di uscita della rivista, a Roma ci furono violenti scontri nella città universitaria tra il movimento studentesco e i fascisti del Fuan che avevano occupato la facoltà di Giurisprudenza. Il giorno dopo, nell’editoriale del quotidiano romano Il Messaggero, La sinistra fu citata, con un invito alla magistratura a prenderne visione in quanto si sarebbe trattato di una esortazione di violenza; mentre nelle pagine interne di cronaca un corsivo parlava di “scuola di terrorismo”. Il direttore della rivista, Silverio Corvisieri, fu denunciato dalla magistratura.
Tra il ’69 e ’70 le “bocce” cominciarono comunque a essere usate sempre più frequentemente. Non il modello classico, quello illustrato nel numero incriminato di La sinistra, poco sicuro, ma un tipo più sofisticato, congegnato in modo da non basarsi sullo scoppio ma sull’inserimento di acidi nella miscela.
(Il nome "Bomba Molotov" deriva da Vjaceslav Michajlovic Molotov che era ministro degli Esteri e segretario alla Guerra dell'Unione Sovietica.
Il 28 ottobre 1936, i franchisti impiegarono per la prima volta le bottiglie incendiarie contro i carri armati di fabbricazione sovietica T-26 in dotazione all’esercito repubblicano nei dintorni di Toledo. E vista la sua efficacia contro i carri leggeri, l’uso di un tale ordigno si andò generalizzando rapidamente presso entrambi i contendenti.
Ma Il nome di "Molotov" venne utilizzato per la prima volta dai soldati finlandesi per indicare il bersaglio delle bombe incendiarie durante la guerra d’inverno nota anche come guerra russo-finlandese, è un conflitto che fu combattuto tra il 30 novembre 1939 e il 12 marzo 1940 dalla Finlandia e dalla Unione Sovietica (URSS).)

STELLE SPENTE Einsturzende Neubauten

Noi siamo stelle spente
puoi vedere come scintilliamo 
dopo di noi non c'è più nulla
Batteri
ogni cellula un batterio, per il tuo cervello, per la tua anima, per il tuo cuore 
Mai più
dopo di noi più nulla
noi siamo stelle spente
puoi vedere come scintilliamo 
mai più
stelle spente
Noi siamo tutte le lune di questo mondo
tutte le stelle di questo mondo
ma dopo di noi non c'è più nulla
stelle spente
guarda come scintilliamo 
noi siamo stelle spente
dopo di noi non v'è nulla
noi siamo stelle spente 
tutte le lune
tutti i soli
giù
verso il sole
come stelle spente
Batteri per la vostra anima
stelle spente stelle spente stelle spente


Mapuche vs Benetton

Un’ondata repressiva che non riconosce la libertà di protesta e l’inalienabile diritto alla vita, ma, al contrario, condanna e criminalizza la resistenza dei popoli.
Il governo Argentino, ha ripristinato termini e metodologie di azione dei tempi bui, identificando come estremisti, guerriglieri e terroristi i/le Mapuche.
Un documento funzionale a legittimare, agli occhi dell’opinione pubblica, la protezione offerta alla multinazionale Benetton puntualmente supportata dalle forze dell’ordine locali nell’opera di accaparramento delle terre ancestrali nella Patagonia argentina e la detenzione di Facundo Jones Huala (guida della Resistenza Ancestrale Mapuche e, per questo, prigioniero politico dal giugno 2017), oltre a giustificare le uccisioni di Santiago Maldonado e Rafael Nahuel per mano del governo argentino.
Una repressione retro-attiva che in questi giorni si sta abbattendo su chi ha offerto supporto alla resistenza Mapuche fin dalle prime incursioni della polizia nella comunità Pu Lof di Cushamen: teatro di numerosi scontri tra cui quello che nell’agosto del 2017 costò la vita a Santiago. Dopo essere stati rapitt e torturati dalla polizia e dagli impiegati Benetton nel gennaio 2017, le persone che all’epoca erano accorse nel Pu Lof per offrire supporto alla resistenza Mapuche si vedono ora a causa del suddetto documento criminalizzate e accusate di terrorismo dal ministro degli interni, come racconta Ivana Huenelaf, una delle numerose persone ad aver subito la violenza delle forze dell’ordine: gendarmi e dipendenti Benetton inseguivano i/le Mapuche e le persone solidali, colpite, picchiate, rapite, torturate e arrestate. Nel corso degli anni la presenza di dipendenti Benetton, spesso armati, durante le azioni di polizia si è fatta sempre più presente, non solo per l’accaparramento delle terre, ma anche per requisire i cavalli presenti nelle comunità Mapuche.
La multinazionale italiana, infatti, dal 1991 ha colonizzato le terre ancestrali della Patagonia argentina non solo per l’allevamento delle pecore schiavizzate per la produzione di lana, ma anche per quello di bovini e cavalli.
Nel gennaio 2017, oltre ai rapimenti e alle torture combinate ai danni di diversi Mapuche e solidali, vennero sequestrati numerosi cavalli, come nel corso dell’azione di polizia del 2 febbraio 2018, quando gli appartenenti alla comunità Pu Lof vennero accerchiati e isolati fin dalle prime ore dell’alba e numerosi animali caricati e portati via da camion appartenenti alla Compagnia Tierra del Sud (ex The Argentine Southern Land Co) di proprietà della famiglia Benetton.
L’operazione di polizia del 10 gennaio 2017 ha portato alla demolizione di case, violenze su donne e ragazze e l’arresto di tre uomini oltre a quello di Ivana e alle altre 7 persone accorse sul posto per offrire supporto e cibo ai/alle resistenti. 
Il governo Macri adesso accusa di aver condotto sabotaggi, aggredito la polizia con armi e molotov mai apparse, e di aver rubato e tentato l’affogamento di 360 animali di proprietà della Benetton.
Siamo andati a caccia di Mapuche, questo è ciò che dichiarò un poliziotto davanti al pubblico ministero quando fu ascoltato nell’ambito degli scontri del gennaio 2017, ricordando la presenza numerosa di dipendenti Benetton provenienti da Chubut (provincia argentina che si estende nella Patagonia) dove si registrano almeno 140 casi di Mapuche scomparsi nel nulla.
"Avevo 5 anni quando ho subito il primo sgombero, mio nonno mi diceva: siamo tutti Mapuche, siamo persone della terra, siamo tutti popoli della terra e per questo dobbiamo resistere."

giovedì 18 ottobre 2018

Il ’68 … settembre 1968 cinquant’anni fa (Capitolo XLII)

01 – Contrasti tra vecchia guardia italiana e giovani contestatori, soprattutto francesi, al congresso anarchico di Carrara. Cohn Bendit accusa il congresso di burocratismo e rifiuta ogni divisione tra anarchici e marxisti.
02- Si apre il convegno nazionale del movimento studentesco a Venezia, Ca’ Foscari. Spaccatura al congresso anarchico, i gruppi giovanili abbandonano i lavori.
04 – Il convegno del movimento in Ca’ Foscari si interroga su come sviluppare le lotte nel nuovo anno. I temi all’ordine del giorno sono i rapporti con gli operai, la creazione di strutture organizzative nazionali, il rifiuto del parlamentarismo e del sindacato.
07 – Il giornale “L’Unità” dà notizia di un vertice segreto tra polizia, carabinieri e militari in cui sarebbe stato messo a punto un progetto per la prevenzione e repressione dei Moti Studenteschi. Tra le proposte approvate l’uso di bulldozer per la rimozione delle barricate e l’uso dell’Esercito.
10 – Denunciata dalla questura di Roma “L’Unità” per le notizie sul piano per la repressione dei moti studenteschi. La questura non smentisce però né il vertice né la messa a punto di un progetto per l’intervento.
13 – Alla Cattolica di Milano imposta alle matricole la firma di una dichiarazione in cui si impegna a non aderire a “movimenti contrari alla gerarchia” e a non impegnarsi in nessuna forma di contestazione.
14 – Occupato da un gruppo di cattolici dissidenti il Duomo di Parma. Tra gli occupanti la professoressa Lidia Menapace, uscita dalla DC dopo essersi schierata dalla parte del movimento. In nottata la polizia sgombra la chiesa.
15 – Anche il rettorato di Roma protetto da sbarre che dovrebbero impedirne l’occupazione.
16 – Manifestazioni a Rimini e Riccione contro la presenza di alcuni colonnelli greci in occasione di una cerimonia funebre per i militari greci seppelliti a Rimini. La polizia carica una manifestazione di braccianti a Caserta. 
20 – In cassa integrazione 300 operai della Saint Gobain di Pisa. Proclamato lo sciopero. Alla Saint Gobain interviene da un anno il gruppo “il potere operaio”. Molto forte anche nel movimento studentesco. Questa lotta rappresenterà una delle principali esperienze di autonomia operaia nel ’68.
21 – Proclamato per il 26 lo sciopero generale a Pisa. Intanto gli operai della Saint Gobain manifestano per le strade.
25 – Ingenti forze di polizia si concentrano a Pisa in vista dello sciopero del 26. Gli operai della Saint Gobain continuano le manifestazioni cittadine.
26 – Comincia a Roma alla facoltà di Magistero, il convegno nazionale degli studenti medi. Previsti tre giorni di lavori. Sciopero generale a Pisa e Viterbo.
27 – Durissime cariche della polizia a Vibo Valentia contro gli operai di un cementificio in sciopero. Alla manifestazione aderisce il movimento studentesco. Fermati 4 studenti.
28 – Convegno nazionale dei cattolici a Reggio Emilia, aperto a tutti i gruppi che si battono contro il neocapitalismo. Termina il convegno degli studenti medi, nel quale si sono scontrati riformisti e rivoluzionari.
29 – Molti militanti del movimento partecipano al convegno dei cattolici del dissenso, che però rifiutano questa etichetta. La provenienza cattolica, sostengono, è un dato sociologico non politico.
30 – Nuovo sciopero alla Saint Gobain di Pisa.



VERSI PER UNA CAMICIA DA NOTTE ROSSA di Anne Sexton

No, non proprio rossa,
ma del colore di una rosa che sanguina.
E’ un fenicottero sperduto,
da qualche parte detto Rosa Schiaparelli
e non direi rosa, ma color sangue
caramella cuoricini di cannella.
Ondeggia come mantelli negli impeccabili
villaggi di Spagna. Direi una falda
di fuoco e disotto, come un petalo,
una guaina rosa, tersa come pietra.
Direi una camicia da notte di due colori
e di due falde che fluttuano dalle
spalle le membra fasciando.
Per anni la tarma li ha bramati
ma questi colori sono cinti da silenzio
e animali larvati ma brucanti.
Si potrebbe immaginare piume e
non averne cognizione. Si potrebbe
pensare alle puttane e non figurarsi
le movenze di un cigno. Si potrebbe
immaginare il tessuto di un’ape,
toccarne i peluzzi e avvicinarsi all’idea.
Il letto è devastato da tali
dolci visioni. La ragazza è.
La ragazza spicca aleggiando
dalla camicia da notte e dal suo colore.
Ha le ali legate sulle
spalle come bendaggi.
Adesso la farfalla la possiede,
copre lei e le sue ferite.
Non l’atterriscono
begonie o telegrammi ma
certo questa camicia da notte ragazza,
questa mirabile creatura alata, non si avvede
di come la luna l’attraversi
fra due falde galleggiando.


Uomo naturale e uomo economico

Tutto lascia supporre che un essere che viva secondo natura e non conosca altre frontiere se non i limiti della sua erranza, non si comporti affatto come un coltivatore, trasformato in produttore di ricchezze materiali e spirituali, condannato a restare al di qua del segnale, di un campo, di un villaggio, di una città, di uno Stato.
Il raccoglitore di piante e di selvaggina. che disponeva gratuitamente delle risorse naturali, non per un profitto calcolato, ma per il suo semplice godimento, presentava senza dubbio nelle sue abitudini, la sua mentalità o la sua composizione psico somatica pochi tratti comuni con il contadino obbligato a sfruttare una terra altrettanto ostile verso di lui di coloro che ne traevano profitto e titolo di proprietà. Eppure da questo contadino produttore, sfruttatore e sfruttato, hanno estratto l'essenza dell'uomo; a tal punto che al parossismo della libertà immaginativa, nelle loro utopie, opera poetiche romanzi , scienze chimeriche, non hanno mai - eccettuati La Boétie , Holderlin e Fourier - concepito una società che non sia incatenata alla guerra, al denaro, al potere.

giovedì 11 ottobre 2018

Il ’68 … Messico ottobre 1968 (Capitolo XLI)

La mattina del 3 ottobre 1968, la piazza Tlateloco, a Città del Messico, era ricoperta di centinaia di morti. Studenti quasi tutti, ma anche donne, bambini. Accerchiati e abbattuti come piccioni con le mitragliatrici pesanti dalle truppe del presidente Gustavo Diaz Ortaz, che tiravano dai tetti del ministero degli esteri e dagli elicotteri. “C’era molto, molto sangue” racconta la madre di uno studente che stava fra le centinaia di migliaia intrappolati nella piazza, “a tal punto che sentivo le mani vischiose di sangue. C’era anche sangue sulle pareti. Credo che i muri di Tlateloco fossero intrisi di sangue. Tutta Tlateloco trasudava sangue. I cadaveri giacevano sul selciato di cemento aspettando che li portassero via. Io ne ho contati molto dalla finestra, almeno sessantotto. Li ammonticchiavano sotto la pioggia …
La strage degli studenti di piazza delle Tre Culture fu il momento più alto e più tragico del ’68 messicano. Oggi la si ricorda come “la noche triste”.
La scintilla che fece esplodere il ’68 a Città del Messico fu come sovente accade per i grandi incendi, minore. Il 22 luglio scoppia una bagarre fra studenti di due licei rivali che si contendevano una ragazza.  Intervennero i granaderos, il corrispettivo dei carabinieri, con la solita selvaggia brutalità. Una settimana dopo Messico era in fiamme. Era stato fra l’altro violato uno dei sacri principi della “democrazia” messicana; l’autonomia della università e delle scuole, da sempre considerati luoghi franchi dove polizia ed esercito non potevano intervenire. Il 30 luglio l’esercito, nel frattempo chiamato a sistemare le cose dal presidente Diaz Ortaz, investì a colpi di bazooka
l’Università nazionale autonoma. Si costituirono comitati di lotta, poi un Comitato Nazionale di sciopero formato prima da studenti poi da studenti e professori. Caddero i primi morti. Dalla fine di luglio tutte le scuole e università della capitale erano chiuse, occupate, in sciopero. Il Comitato presentò una lista di sei richieste al governo: liberazione di tutti i detenuti politici, scioglimento dei granaderos, dimissioni del capo della polizia, risarcimento alle famiglie delle vittime della repressione, inchiesta e punizione per i responsabili dell’aggressione, abrogazione dei due articoli del codice penale che prevedevano il delitto di “pubblico disordine”. 
Il 18 settembre l’esercito espugna il campus dell’Università autonoma, il rettore Javier Barros Sierra, protesta e si dimette. Gli arresti fra studenti e professori si contano a centinaia sulla base dell’accusa di “attività antisociali e probabilmente criminali”. L’inglese Daily Telegraph  scrive che essi hanno ormai tutte le apparenze di una guerra civile in piena regola.
Nella notte fra il 2 e 3 ottobre gli studenti convergono verso piazza delle Tre Culture per chiedere il ritiro dei soldati dal Politecnico, anch’esso occupato manu militari. “A Tlateloco piazza che fu la tomba di indios e conquistadores, si chiude la trappola. L’esercito blocca tutte le uscite con carri e mitragliatrici. Sullo spiazzo, pronti al sacrificio si accalcano gli studenti. Chiude la morsa un muro compatto di fucili con la baionetta innestata. Le luci di bengala, uno verde e uno rosso, danno il segnale”.
Il ministro della difesa parlerà di “franchi tiratori” che hanno cominciato a sparare dalle finestre del ministero degli esteri e dell’opera di “agitatori professionali” che hanno costretto l’esercito a reagire. Ma l’inviato del New York Times scriverà che le truppe hanno preso a sparare su quella che era stata una pacifica manifestazione degli studenti nella piazza.   
(Non si conosce il numero esatto delle vittime. Nonostante le cifre fornite da fonti al momento della strage, il governo parlò di 34 morti, ma le stime più attendibili indicano oltre 300 le vittime. Nel secolo XVI Tlatelolco era già stato luogo di un massacro compiuto dai conquistadores spagnoli e i loro alleati indigeni contro gli aztechi il 13 agosto 1521, durante il quale vennero uccise circa 40.000 persone, decretando de facto la fine della civiltà azteca e il termine della guerra di conquista spagnola).

Giocare un ruolo

Nella vita quotidiana, come sui palcoscenici più in vista, gli esseri umani si comportano quasi sempre come mistificatori, che gongolano la loro importanza e pervengono, in questo modo, appunto, a «giocare un ruolo». Il gioco è a volte grossolano, a volte di un'estrema finezza; e d'altronde un tale gioco impegna, compromette; è serio. I ruoli debbono essere conservati sino alla fine; non sono ruoli puri, che l'attore può abbandonare quando ne è stanco o quando avverte di recitare male. Il ruolo prolunga la realtà, ed è pertanto reale; il giuoco esplora il possibile; la commedia non esclude, in astratto, la sincerità; di più, la suppone e le aggiunge anche qualcosa; qualcosa di reale: la coscienza d'una situazione, di un'azione, d'un effetto da ottenere.
E' precisamente così che la vita quotidiana somiglia a un teatro, e che il teatro può riassumere, condensare, «rappresentare» la vita per degli spettatori reali.  (Henri Lefebvre)

Che s'infranga la Legge di Henry David Thoreau

Se l'ingiustizia appartiene al necessario attrito della macchina di governo, sia pure, sia pure: può darsi che esso si attenuerà - certamente la macchina si logorerà. Se l'ingiustizia possiede in se la sua molla, o una puleggia, o una corda, o una manovella esclusivamente per se, allora si può forse considerare se il rimedio non sia peggiore del male; se però è di natura tale da richiedervi di essere di un agente dell'ingiustizia nei confronti di un altro, allora, io dico, che si infranga la legge. Agite in modo che la vostra vita faccia da controattrito per arrestare la macchina. Ciò che devo fare è accertarmi, in tutti i casi, che non sto prestando al male che condanno. 
Quanto all'adottare i sistemi che lo Stato ha predisposto per rimediare al male, io no ne conosco. Essi richiedono troppo tempo, e la vita intera di un un uomo se ne andrà nel frattempo. Ho altre faccende di cui occuparmi. Non sono venuto a questo mondo innanzi tutto per farne un buon posto nel quale vivere, ma per viverci, buono o cattivo che sia. Un un uomo non deve fare tutto, ma qualcosa; e poiché non può fare tutto, non è necessario che debba fare qualcosa di male. Non è affar mio presentare petizioni al governatore o alla Assemblea Legislativa, non più di quanto sia affar loro rivolgere petizioni nei miei confronti; e se non ascoltassero la mia petizione, cosa dovrei fare allora? In questo caso lo Stato non ha previsto nessuna soluzione: la sua stessa Costituzione è il male. Questo potrebbe sembrare sgradevole e ostinato e tutt'altro che conciliante, ma in realtà è trattare con la massima gentilezza e considerazione l'unico  spirito che possa apprezzarlo o che possa meritarlo. Allo stesso modo avviene ogni cambiamento in meglio, come la nascita la morte che sconvolgono il corpo.

giovedì 4 ottobre 2018

Il '68 ... CONTESSA di Paolo Pietrangeli (capitolo XL)


“Che roba Contessa, 
all'industria di Aldo 
han fatto uno sciopero quei quattro ignoranti; 
volevano avere i salari aumentati, 
gridavano, pensi, di esser sfruttati. 
E quando è arrivata la polizia 
quei pazzi straccioni han gridato più forte, 
di sangue han sporcato il cortile e le porte, 
chissà quanto tempo ci vorrà per pulire...". 
Compagni, dai campi e dalle officine prendete la falce, 
portate il martello, 
scendete giù in piazza, picchiate con quello, 
scendete giù in piazza, affossate il sistema. 
Voi gente per bene che pace cercate, 
la pace per far quello che voi volete, 
ma se questo è il prezzo vogliamo la guerra, 
vogliamo vedervi finir sotto terra, 
ma se questo è il prezzo lo abbiamo pagato, 
nessuno più al mondo deve essere sfruttato. 
"Sapesse, mia cara che cosa mi ha detto
un caro parente, dell'occupazione 
che quella gentaglia rinchiusa lì dentro 
di libero amore faceva professione... 
Del resto, mia cara, di che si stupisce? 
anche l'operaio vuole il figlio dottore 
e pensi che ambiente che può venir fuori: 
non c'è più morale, contessa..." 
Se il vento fischiava ora fischia più forte 
le idee di rivolta non sono mai morte; 
se c'è chi lo afferma non state a sentire, 
è uno che vuole soltanto tradire; 
se c'è chi lo afferma sputategli addosso, 
la bandiera rossa ha gettato in un fosso. 
Voi gente per bene che pace cercate, 
la pace per far quello che voi volete, 
ma se questo è il prezzo vogliamo la guerra, 
vogliamo vedervi finir sotto terra, 
ma se questo è il prezzo lo abbiamo pagato, 
nessuno più al mondo deve essere sfruttato.

Scritta in occasione della prima occupazione studentesca dell'università a Roma, in seguito all'assassinio da parte fascista di Paolo Rossi, la canzone divenne tra le più eseguite durante il Maggio del '68.
(Contessa è uno dei canti del movimento che si cantava in corteo. Non fosse che per la parola "sistema", la canzone di Pietrangeli pareva mimare nella forma il canto rivoluzionario, anarchico della tradizione ottocentesca.) 


LA VALLÈE di Barbet Schroeder

«Il cervello umano è come una mappa dell’Africa, in gran parte inesplorato, ed è in questi luoghi vuoti [della mappa] che le più alte funzioni della ragione e della creatività si svolgono». 

Una commerciante di artigianato, mentre sta contrattando presso un venditore locale alcune piume rare di uccello preso nelle foreste vergini della Nuova Guinea, si imbatte in una gruppo di hippie che la convince ad intraprendere un viaggio avventuroso alla ricerca di se stessi e di una valle fantasmagorica che si dice non sia mai stata esplorata dall'uomo bianco. Lasciata la jeep, poi pure i cavalli, rifocillati presso una accogliente tribù di selvaggi locali che sacrificano il loro bestiame migliore per i loro ospiti, il gruppo intraprende un difficile e faticoso ultimo sforzo per raggiungere l'Eden promesso, affrontando a mente aperta e libera situazioni e stati d'animo che li coinvolgeranno nel difficile tragitto, senza tuttavia riuscire a rinunciare completamente ad irremovibili sentimenti tipici della società moderna che essi vogliono lasciare: amore libero va bene, ma poi la gelosia li prende e
ne limita a teoria le enunciazioni alla base del loro nuovo indirizzo di vita.,Barbet Schroeder negli anni sessanta aveva esordito nel cinema dirigendo un film che ebbe grande successo, More, anche per la colonna sonora realizzata dai Pink Floyd. Qualche anno dopo il regista e il gruppo rock incrociarono nuovamente le proprie strade con un film che racconta la fuga di alcuni occidentali alla ricerca di un luogo mitico dove si vive lontani da condizionamenti e dalle regole imposti dalla società dei consumi. Il film è interpretato da Bulle Ogier, una delle attrici più amate dai registi della Nouvelle Vague francese, che di Schoreder era moglie. La colonna sonora fu poi raccolta dai Pink Floyd in un loro album, Obscure by
Clouds, che fa esplicito riferimento alla storia raccontata nel film. Le riprese furono realizzate in Nuova Guinea, coinvolgendo anche una tribù locale che viveva in modo primitivo, e la lavorazione del film fu per questo molto complessa e attraversata da mille difficoltà. Un film tutto incentrato sul tema del viaggio e del rifiuto di tutti i valori proposti dalla società dei consumi: la protagonista, infatti, inizia la sua avventura cercando piume esotiche da vendere nel suo negozio parigino per poi abbandonarsi
completamente al sogno di una vita libera dai condizionamenti della modernità e del consumismo. Il film è stato scritto da Schroeder assieme a Paul Geagaulf, attore e sceneggiatore per molti registi della Nouvelle Vague, morto per le ferite di coltello che la moglie gli ha inferito il giorno di Natale del 1983. 

Nel 1971, anno delle riprese del film, l’epopea hippy volge al termine, il Vietnam sta spazzando via una generazione intera, mentre il ’68 non ha appagato quel desiderio di rivoluzione che si riproporrà, con accresciuta crudezza, verso la fine degli anni ’70. E’ in questo contesto che molti hippie superstiti, un po’ ovunque in Europa e Usa, scelgono di abbandonare l’Occidente per andare in tutto il mondo alla ricerca di mete sperdute – e spesso improbabili – elette a paradisi iniziatici. «La Vallée» non è solo il racconto di questa fuga; è un autentico viaggio-ricerca personale dello stesso regista che, pur lucido e disincantato, ripropone ugualmente e con più forza i temi della liberazione sessuale, dell’uso rituale delle droghe come espansione della coscienza.

Il rispetto della differenza culturale è solo un postulato demagogico

Non c'è commentatore della Scuola che non sia d'accordo sul fatto che, tradizionalmente, a questa istituzione sia stata  assegnata una funzione di omogenizzazione sociale e culturale nello Stato moderno: moralizzare e civilizzare le classi pericolose e i popoli barbari. Diffondere i principi e i valori della "nostra" cultura; è questo il suo incarico. Ma anche qualcosa altro e più precisamente: diffondere una determinata selezione e ri-trascrizione dei materiali culturali disponibili - di per se eterogenei, ambivalenti, contraddittori. La cultura non è un tutto uniforme, compatto, indipendente dalle relazioni sociali  e politiche, che deve essere "trasferito" in quanto conoscenza, nella coscienza dei giovani; al contrario, è un insieme impari, eteroclito, polimorfo e problematico di formulazioni molto spesso antagoniste che, sovrapponendosi, specificandosi, contaminandosi, sezionandosi, emergono e circolano dentro ordini sociali diversi e che di frequente si scontrano. La Scuola seleziona tra questi materiali, tra queste molteplici  elaborazioni culturali, quelle componenti, di solito vincolate alle classi privilegiate, dominanti a livello economico e politico, che possono essere maggiormente utili al suo compito di favorire un integrazione non conflittuale della gioventù nell'ordine socio-politico vigente. Quella che circola nelle aule e impregna le menti degli studenti non è la Cultura, ma il risultato di una selezione, di una discriminazione, di un'inclusione e di un'esclusione e, ancor più, di una successiva rielaborazione pedagogica fino a una deformazione operata sul crogiolo variopinto delle conoscenze, delle esperienze e delle idee di un'epoca. Il criterio di questa selezione, di questa trasformazione della materia prima culturale in discorso scolastico, non è altro che quello di favorire l'adattamento della gioventù alle ingiunzioni dell'apparato produttivo e politico stabilito; cosa che esige la loro omogenizzazione psicologica e culturale.
La scuola tende a stroncare, smantellare, delegittimare e sgomberare come, ad esempio, quello del popolo gitano, o del sottoproletariato delle città, o quello che deve fronteggiare a causa dell'immigrazione mussulmana. Quindi la funzione principale del sistema di insegnamento è quella di imporre la legittimità di una determinata cultura e implicitamente di dichiarare il resto delle culture illegittime, inferiori, artificiali, indegne. Perciò il rispetto della "differenza culturale" è solo un postulato demagogico che nasconde lo sterminio dell'alterità ed l'uniformizzazione psichico-culturale delle popolazioni.