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giovedì 6 novembre 2025

Alexander Atabekian - Un anarchico sulle strade della libertà (I°)

Alexander Movsesi Atabekian nacque il 2 febbraio 1868 a Shusha, in una famiglia aristocratica armena (principesca - melik), da un medico. Atabekian studiò inizialmente in un college della sua città natale, laureandosi nel 1886, e poi proseguì gli studi in medicina all'Università di Ginevra (1889-1896) e a Lione. Dal 1888 al 1890,

Nell'ultimo quarto del 19° secolo, Alexander Atabekian è stato una figura attiva dell'anarchismo europeo, specialmente nel movimento anarchico russo e nei movimenti rivoluzionari in Armenia. Ha pubblicato in lingua armena ed in russo parecchi opuscoli, compresi i saggi su Bakunin, Kropotkin ed Errico Malatesta per i tipi della Biblioteca Anarchica che aveva fondato a Ginevra.

Max Nettlau rileva come sia stato grazie agli sforzi ed ai sacrifici di Alexander Atabekian, il quale studiava medicina a Ginevra, che fu possibile disporre delle pubblicazioni anarchiche in armeno tra il 1891 ed il 1894. (Max Nettlau, Anarchisten und Syndikalisten Band V).

Nei primi anni della sua formazione (1888-1890) Alexander Atabekian contribuì all'impaginazione di "Hinchak" ("Il suono della campanal") che era il periodico del Hinchakian Social Democratic Party, pubblicato da un socialista armeno, Avetis Nazarbekian. Gli articoli ed i saggi su "Hinchak" vertevano soprattutto sul genocidio degli Armeni compiuto dagli Ottomani, sulla resistenza armena e sui pogrom di cui furono vittime gli Armeni sia in Georgia che in Azerbaijan.

Lasciò il partito e divenne anarchico nel 1890 leggendo "Parole di un ribelle" , una serie di saggi scritti da Pëtr Kropotkin nel 1879 per il giornale "Le Révolt" , poi raccolti e pubblicati nel 1885 da Élisée Reclus.

Atabekian continuò la sua attività di propaganda anarchica verso i villaggi armeni ed ottomani e stabilì rapporti con i i militanti anarchici della Federazione Rivoluzionaria Armena (ARF) dopo che ebbe aderito al movimento anarchico in Europa (1890). I  suoi studi universitari ostacolarono la pubblicazione di propaganda rivoluzionaria; nel 1893 gli venne l'idea di trasferire la sua attrezzatura tipografica alla Free Russian Press di Londra, che stampava e distribuiva letteratura proibita in Russia, sia rivoluzionaria che liberale. Insieme all'anarchico bulgaro Paraskev Stoyanov, Atabekian incontrò Kropotkin, che gli chiese di tenere la sua attrezzatura tipografica, piuttosto che darla a persone le cui idee erano molto lontane dall'anarchismo. Il gruppo utilizzò invece la macchina da stampa di Atabekian per pubblicare quattro opuscoli in russo, tra cui l'inizio di " Parole di un ribelle" di Kropotkin . Nel 1894 diresse " Community" , l'unico periodico anarchico armeno, che uscì per cinque numeri.

Durante la Rivoluzione ottomana, Atabekian nutriva sentimenti contrastanti, sostenendo la lotta armena per la liberazione, soprattutto quando i resoconti dall'Anatolia, che filtravano al grande pubblico, rivelavano le sofferenze della popolazione cristiana armena per mano dei musulmani ottomani. Allo stesso tempo, criticò duramente il coinvolgimento della Russia, ma sapeva che senza di essa la Rivoluzione sarebbe stata una causa persa. Ciò non fermò le sue feroci critiche all'evento, che arrivarono al punto da essere emarginato dai partiti Hunchakian e Dashnak.

Dopo la laurea nel 1896, Atabekyan si stabilì in Bulgaria (poiché gli era stato proibito di entrare in Russia) e abbandonò gradualmente l'attività politica. Tra il 1896 e il 1917 lavorò come medico nella Persia settentrionale; dal 1914 al 1917 nell'esercito imperiale russo come capo di un ospedale da campo sul fronte caucasico. Dopo lo scioglimento dell'esercito imperiale in seguito alla Rivoluzione di febbraio, incontrò nuovamente Kropotkin e divenne un anarchico attivo a Mosca. Fu direttore del periodico anarchico Pocin dal 1919 al 1923, rappresentando la tendenza anarco-cooperativa del movimento libertario.



L’ULTIMO SPETTACOLO – Peter Bogdanovich

Ambientato tra il 1950 e il 1951 in una cittadina del Texas, Anarene, descrive  l'inarrestabile decadenza delle  cittadine del Far West, travolte  dalle  nuove  avventure imperialistiche americane. L'attrattiva della grande città, l'evoluzione dei costumi sessuali, l'avvento della televisione, la guerra in Corea, tutto contribuisce  a  disgregare la vita di Anarene  e questa viene attentamente analizzata in quelli che sono i punti d'incontro caratteristici di ogni   paese: il cinema e il bar con il suo biliardo. La cittadina entra in crisi, una crisi totale di sfiducia in ogni  valore ideale  e morale, crollano tutti i miti, primo fra tutti quello della  Grande America. Ed è  proprio l'ultimo spettacolo del cinema, costretto  a chiudere dalla concorrenza della televisione, il simbolo di tutto il film: è una scena del   Fiume  rosso di Hawks in cui John Wayne urla l'ordine di partenza di una mandria. John  Wayne, il rappresentante della maggioranza  silenziosa», il difensore  dell'ordine costituito, l'anticomunista  ad oltranza alla testa di una mandria silenziosa. Il  duro epitaffio per  una  città  morta, il cinema per Bogdanovich è materiale d'accertamento della propria identità, è fuga dal tedio ma è soprattutto verifica dello scadimento irreparabile dell'invenzione fantastica  nell'atto stesso in  cui si consegna allo spettatore come immagine,

Sullo sfondo di una nazione che sta cambiando faccia, (così come il mondo che appare totalmente stravolto nel secondo dopoguerra), Bogdanovich racconta un equilibrio sociale che sta lentamente lasciando il posto ad una società sempre più industriale e meno agricola. Anche il cinema, non sarà più lo stesso: i temi stanno cambiando, le esigenze della popolazione si trasformano e così pure le storie che vengono raccontate sul grande schermo. L’ultimo spettacolo fa proprio questo, mette in mostra i cambiamenti epocali che l’America sta attraversando. Il film, non a caso, si svolge nel 1951, l’anno del Fair Deal del presidente Truman, è l’anno del conflitto in Corea, le truppe nordcoreane invadono Seul, la capitale della Corea del Sud. La Guerra Fredda caratterizza l’ordine bipolare sotto cui volgere lo sguardo e, di conseguenza, la protezione dei clientes europei. Il governo americano accelera la corsa agli armamenti, mentre molti americani si abituano ai nuovi consumi (specialmente la televisione, che sarà causa del fallimento del cinema Royal); tutti questi cambiamenti, Bogdanovich sceglie di raccontarli da dentro, facendoli risuonare come un eco lontano di cui si percepisce il sibilo e, soprattutto, fanno da substrato agli eventi di “provincia” che sembrano essere apparentemente insignificanti.

Peter Bogdanovich  ha  32  anni ed è stato  critico cinematografico di molte riviste:  New York Times,  Variety, Cahiers du Cinema, Film  Culture, Film Quarterly, Vogue e Saturday Evening Post. Iniziò, ad interessarsi attivamente di cinema nel 1966 come aiuto regista e scrittore di «The Wild Angels», una produzione Roger Corman. Nel 1968 diresse «Targets» per la Paramount presentato al Festival di  Pesaro.  Nel 1971 diresse un documentario su John Ford, presentato al Festival di Venezia, e nello stesso anno realizzò «L'ultimo spettacolo».  Il suo ultimo film è «Ma papa ti manda sola?» realizzato nel 1972 dalla sua stessa casa di produzione, la Saticoy Production  e interpretato da Barbra Streisand e Ryan  O'Neal. 

Splendido, struggente, finissimo film.., dimostra come si possa descrivere  il  tedio  senza  essere  tediosi, con franchezza di tocco, verità di particolari, una  giusta dose di umorismo e un'ammirevole direzione di attori. (Morando Morandini) Ecco un film  curioso e controcorrente... così grondante amarezza da poter molto piacere alle  anime umbratili che vestono  il mondo di grigio.., film d'epoca pensato come un omaggio al cinema del tempo perduto esprime con accoratezza sincera quel bisogno di autentici affetti, quell'ansia di vero, quella fame di futuro in cui si traduce lo scoramento di molti  americani.(Giovanni Grazzini) 


Otto lettere: ANARCHIA

E' sorprendente come certe parole abbiano in se la caratteristica di spaventare gli animi, proprio mentre l'idea alla quale corrispondono se ne va per il mondo e, purché si nasconda sotto un altro nome, è tranquillamente accolta. Una di queste è la parola anarchia.  (César De Paepe)

Gli anarchici intendono vivere senza dio e senza padrone; senza principali e senza direttori; a-legali, senza leggi così come senza pregiudizi; a-morali, senza obblighi così come senza morale collettiva; vogliono vivere liberamente. Nel loro intimo sono sempre degli a-sociali, refrattari, al-di-fuori, marginali, fiancheggiatori, disadattati. E se saranno obbligati a vivere in una società la cui costituzione ripugna al loro carattere, vi si stabiliranno come forestieri. (Emile Armand) 

Si può essere cattolici, liberali, radicali, socialisti, sindacalisti persino, senza nulla cambiare nella propria esistenza... L'anarchia invece obbligava innanzitutto a conciliare perfettamente parole e azioni, esigeva un totale cambiamento del proprio modo di essere. (Victor Serge)


giovedì 30 ottobre 2025

Alle origini dell'anarcosindacalismo – parte quinta

I limiti del sindacalismo

L'autonomia del movimento operaio, unico soggetto rivoluzionario, è riflessa nella autonomia teorica dell'anarcosindacalismo, come schema strategico-tattico di resistenza e di attacco allo sfruttamento, come mezzo originale capace di sorreggere l'intero impianto della società libertaria, come formulazione autenticamente proletaria perché nata dalle esperienze della lotta quotidiana. Questa proclamata e praticata autosufficienza si presenta attraverso due presupposti fondamentali implicantisi l'uno con l'altro: i loro limiti assumono rilievo qualora siano confrontati e visti rispetto allo scopo implicito della loro azione, l'abolizione delle classi, l'abolizione dello Stato, la realizzazione della società anarchica.

Il primo presupposto è dato dalla identificazione del soggetto rivoluzionario che nello schema sindacalista viene ridotto alla classe operaia, anche se gli statuti delle Borse del lavoro prevedevano l'inserimento, nelle loro organizzazioni, delle masse contadine. La complessità dello scontro sociale, la trasformazione dei suoi rapporti di forza continuamente in evoluzione, l'imprevedibilità e la variabilità di altri fattori, ecc., sono ricondotti all'interno di un quadro riduttivo. La lotta sociale si riduce alla lotta economica tra classe capitalista e movimento operaio, nel senso che l'abolizione dello sfruttamento passa automaticamente attraverso l'abolizione della classe capitalista.

Così il secondo presupposto è dato implicitamente: la realizzazione della società libertaria non passa con lo sviluppo di un programma positivo dato e immesso forzatamente nel corso della storia. Programma e ideologia rivoluzionaria sono, per gli anarcosindacalisti, una conseguenza automatica derivante dall'eliminazione del nemico, il capitalismo. La dimensione rivoluzionaria e l'autenticità libertaria assumono valore solo alla luce di questa lotta, in modo tale che la garanzia e la positività dell'azione liberatrice vengono ricavate negativamente.

In questo modo i limiti dell'azione solamente economica risultano chiari: gli sfruttati sviluppando solo l'aspetto negativo, come lotta contro lo sfruttamento, rimandavano al dopo l'aspetto positivo, come lotta per il comunismo anarchico. Oltre a scindere i due momenti dell'interazione rivoluzionaria, cioè i mezzi e i fini, gli anarcosindacalisti non passavano dallo sviluppo della "coscienza di classe" a quello della coscienza rivoluzionaria. La loro azione rimaneva irrimediabilmente corporativa.

La società autoritaria e sfruttattrice, semplificata nell'immagine teorica dell'anarcosindacalismo, portava i suoi esponenti alla convinzione di aver scoperto il punto vulnerabile del sistema (la paralisi del lavoro) e la leva potente dell'azione rivoluzionaria (lo sciopero generale). Questo schema riduttivo, proprio delle analisi anarcosindacaliste, è ben riassunto nella rappresentazione meccanica dello scontro sociale, presente nel pensiero di Paul Delesalle riguardo allo sciopero generale tentato il 1° maggio 1906; a) sciopero generale ad opera di sindacati che paragoneremo a manovre di guarnigioni; b) cessazione del lavoro dovunque e a data fissa, che sarebbero le nostre grandi manovre; c) arresto generale completo, che metta il proletario in guerra aperta contro la società capitalistica; d) sciopero generale-Rivoluzione.

La "lettura" tutta economica della società portava l'anarcosindacalismo a sottovalutare altre forme di lotta, o a renderle strumentali rispetto a quella economica. Scrive Cristian de Goustine, riguardo all'evoluzione del pensiero di Pouget dall'anarchismo all'anarcosindacalismo "Contro lo Stato, Pouget preconizza l'apoliticismo l'antimilitarismo e lo sciopero generale rivoluzionario. Infine, egli definisce il ruolo del sindacato della società futura. L'apoliticismo e l'antimilitarismo e l'idea della rivoluzione sociale sono dei contributi anarchici al sindacalismo. Ma essi ora cambiano di senso. L'apoliticismo non è più l'affermazione della lotta contro il governo come manifestazione dell'Autorità, ma la presa di coscienza della solidarietà degli interessi della classe operaia... Noi abbiamo visto che l'antimilitarismo è uno degli interessi della classe operaia... Nella dottrina sindacalista, l'antimilitarismo si fonda sul principio della lotta contro l'esercito, per quel tanto che rappresenta e difende gli interessi della classe borghese contro la classe operaia".

Quando nell'agosto del 1914, dopo una serie sfortunata di scioperi falliti, si tentò senza successo lo sciopero generale contro la guerra, l'anarcosindacalismo francese evidenziò tutti i suoi limiti, ma più dei suoi limiti le sue velleità. Con la concessione di alcuni miglioramenti economici, i sindacati si trovarono in difficoltà nell'agitazione quotidiana, e furono costretti a ripiegare su una azione più moderata. Quest'ultima fu il frutto anche dell'uscita e del ritiro di molti militanti anarchici dal sindacalismo francese, il quale si configurava ora come sindacalismo "puro".

L'azione rivoluzionaria dell'anarcosindacalismo trovava prima il suo referente nella classe operaia e nel rifiuto della funzione positiva dell'ideologia. Ora, l'azione rivoluzionaria, non era più impersonificata e portata avanti dalla classe operaia. Liberatasi di quest'ultima, senza più nessuna identificazione ideologica, essa si era resa autonoma e libera, arrivando all'attivismo "puro" di stampo fascista e soreliano. L'azione, di per sé stessa, dava la dimensione rivoluzionaria e non più lo scopo: questa era l'inevitabile parabola dell'interpretazione negativa della lotta, unita al rifiuto della funzione positiva della ideologia.

Nulla di nuovo se oggi, al posto dell'azione "pura", alcuni gruppi "rivoluzionari" scoprano e teorizzino la "situazione" rivoluzionaria, svincolata da ogni identificazione ideologica.

Se oggi risulta estremamente importante l'esperienza storica dell'anarcosindacalismo, ciò è dovuto all'innesto teorico dell'anarchismo nel movimento operaio. Quest'ultimo, praticando l'azione diretta, sviluppò la dimensione rivoluzionaria della sua forza, proprio in virtù della pratica anarchica adottata. Il soggetto rivoluzionario, però, rimane l'anarchismo e il suo movimento storico.



 

APACHES

In lingua  zufri,  Apache vuol dire  "Nemico" e questo dice tutto sul modo nel  quale questo popolo era visto dai propri vicini.  Gli Hopi, però, preferivano chiamarli  "Gente  dei Cactus",  per contrapporre il proprio modo di vivere alloro, errante e nomade. Gli Apache infatti non coltivavano la terra né allevavano bestiame, e l'asprezza del territorio nel quale vivevano non consentiva loro di accumulare troppe provviste  per l'inverno: dunque, le razzie costituivano  l'unico mezzo attraverso  il quale procurarsi il necessario. La Loro economia, in sostanza, si basava sulla rapina. Apache è un  nome affascinante, che suggerisce un'affinità tra queste  coriacee piante  spinose  e il  modo  nel quale gli Apache affrontavano la vita in ogni suo aspetto. Guerra compresa. La guerra della "Gente dei Cactus" era, infatti, "pungente" proprio come le spine di  queste piante:  gli Apache rifuggivano  lo scontro  in campo aperto ogni  qualvolta ne avevano l'occasione e preferivano affidarsi a fulminee  incursioni, dopo le quali sparivano nel nulla come fantasmi. Il  loro era un modo di combattere rapido e brutale, dunque, ma anche insidioso, fatto di agguati  e ingegnose imboscate. Gli  Apaches  normalmente utilizzano tre tipologie di imboscate da loro.La prima, divenuta in seguito talmente nota  da non  ingannare quasi più nessuno, consisteva nel mandare uno sparuto gruppo di guerrieri  contro il  nemico, fingendo casualità nel contatto, e di farli poi ripiegare velocemente in modo da attirare gli inseguitori in trappola; per la riuscita erano necessari cavalli freschi e veloci, guerrieri coraggiosi disposti a fungere da  esca e un nemico poco accorto che si facesse prendere dall'entusiasmo di una facile vittoria. Meno conosciuto era il trucco di fingere una fuga dopo le prime scaramucce e di riparare con apparente panico all'interno di una zona di folta vegetazione, dove quindi la visibilità fosse scarsa, per poi uscirne in due gruppi separati che, manovrando a semicerchio, sorprendevano il nemico da entrambi i fianchi. Ma lo stratagemma più usato era quello più semplice: osservare con invisibili esploratori la marcia del nemico per poi  organizzare una letale imboscata in un luogo favorevole lungo il tragitto, in genere angusti canyon o gole dalle pareti a picco. In alcuni casi, ci si poteva permettere il lusso di risparmiare le preziose munizioni e bersagliare dall'alto  i nemici con massi e grosse pietre. 

La rivoluzione come frattura

La rivoluzione come frattura, come rottura di un ordine è, ormai un concetto stabilito. Ed il problema, oggi, è ancora una volta sapere se vi sia necessariamente identità tra rivoluzione e violenza: le ideologie costituiscono l’indispensabile strumento di analisi di un tale problema. Senza di esse il rischio di una violenza senza rivoluzione diventa immenso. Così nel sottile rapporto tra ideologia e  rivoluzione i  grandi  termini del combattimento  erano  stati essenzialmente «libertà» ed «eguaglianza», per il trionfo delle quali la  rivoluzione  si  presentava come l'arma necessaria. Ma la rivoluzione - la  parola impiegata da uomini di grande spirito liberale: da Mazzini a Lamartine, da Danton a Marat – veniva assorbita anche da quanti lottavano contro quella stessa libertà: è in tal senso significativo che sia il fascismo che il nazismo, per esempio, si siano presentati come rivoluzioni senza averne nessuna delle caratteristiche ed essendo carenti di ogni ideologia. In sostituzione di questa intervenivano concetti quali la purezza della razza, la rievocazione dei motivi o la riscoperta di passati mitologici. Proprio questo far ricorso non già a concetti, ma a sentimenti (di dubbia natura, per di più) mostrava l'intrinseca debolezza di quelle che si pretendevano «rivoluzioni» pur presentandosi come il rimedio unico contro tutte le rivoluzioni.


giovedì 23 ottobre 2025

Alle origini dell'anarcosindacalismo – parte quinta

I mezzi di lotta

Anche i mezzi di lotta contro lo sfruttamento capitalistico, per la liberazione degli sfruttati dal giogo del salariato, si sviluppano rigorosamente sul terreno della lotta economica attraverso l'uso rivoluzionario delle associazioni operaie.

Gli scioperi di resistenza allo sfruttamento padronale, il boicottaggio del lavoro e il sabotaggio delle merci, l'azione diretta sfociante nello sciopero generale, ecco i mezzi propugnati e praticati in quegli anni dall'anarcosindacalismo francese.

Questi mezzi sono gli unici, secondo gli anarcosindacalisti, che permettono agli sfruttati di lottare sul proprio terreno, essi implicano, di conseguenza, una pratica di solidarietà attiva e concreta. Inoltre essi, nel momento della lotta, si ricompongono uniti come classe che sta interamente unita in contrapposizione rispetto alla classe borghese. Lo sciopero generale abitua gli sfruttati non solo "alla solidarietà e all'iniziativa"; esso è una rappresentazione collettiva della inconciliabilità degli interessi, presenti nella società borghese, tra il movimento operaio e la classe capitalista. Nello schema strategico dell'anarcosindacalismo, lo sciopero generale sostituisce l'insurrezione rivoluzionaria.

La lotta economica è la sole efficace anche per un'altra ragione teorica. Se infatti gli sfruttati lottano sul proprio terreno, essi non hanno bisogno di una minoranza guida che animi e organizzi la lotta. In questo modo l'anarcosindacalismo francese era convinto di aver risolto il problema del rapporto tra minoranze rivoluzionarie masse sfruttate. Era questa però una grossa velleità: gli stessi esponenti riconoscevano esplicitamente il ruolo insopprimibile di esse (9) e la stessa pratica lo confermava (negli "anni eroici" del sindacalismo anarchico, 1895-1906, gli operai organizzati non superarono mai il 20% dell'intera loro classe e tra gli organizzati solo una minoranza era nelle Borse del lavoro, l'organizzazione più combattiva).