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giovedì 30 ottobre 2025

Alle origini dell'anarcosindacalismo – parte quinta

I limiti del sindacalismo

L'autonomia del movimento operaio, unico soggetto rivoluzionario, è riflessa nella autonomia teorica dell'anarcosindacalismo, come schema strategico-tattico di resistenza e di attacco allo sfruttamento, come mezzo originale capace di sorreggere l'intero impianto della società libertaria, come formulazione autenticamente proletaria perché nata dalle esperienze della lotta quotidiana. Questa proclamata e praticata autosufficienza si presenta attraverso due presupposti fondamentali implicantisi l'uno con l'altro: i loro limiti assumono rilievo qualora siano confrontati e visti rispetto allo scopo implicito della loro azione, l'abolizione delle classi, l'abolizione dello Stato, la realizzazione della società anarchica.

Il primo presupposto è dato dalla identificazione del soggetto rivoluzionario che nello schema sindacalista viene ridotto alla classe operaia, anche se gli statuti delle Borse del lavoro prevedevano l'inserimento, nelle loro organizzazioni, delle masse contadine. La complessità dello scontro sociale, la trasformazione dei suoi rapporti di forza continuamente in evoluzione, l'imprevedibilità e la variabilità di altri fattori, ecc., sono ricondotti all'interno di un quadro riduttivo. La lotta sociale si riduce alla lotta economica tra classe capitalista e movimento operaio, nel senso che l'abolizione dello sfruttamento passa automaticamente attraverso l'abolizione della classe capitalista.

Così il secondo presupposto è dato implicitamente: la realizzazione della società libertaria non passa con lo sviluppo di un programma positivo dato e immesso forzatamente nel corso della storia. Programma e ideologia rivoluzionaria sono, per gli anarcosindacalisti, una conseguenza automatica derivante dall'eliminazione del nemico, il capitalismo. La dimensione rivoluzionaria e l'autenticità libertaria assumono valore solo alla luce di questa lotta, in modo tale che la garanzia e la positività dell'azione liberatrice vengono ricavate negativamente.

In questo modo i limiti dell'azione solamente economica risultano chiari: gli sfruttati sviluppando solo l'aspetto negativo, come lotta contro lo sfruttamento, rimandavano al dopo l'aspetto positivo, come lotta per il comunismo anarchico. Oltre a scindere i due momenti dell'interazione rivoluzionaria, cioè i mezzi e i fini, gli anarcosindacalisti non passavano dallo sviluppo della "coscienza di classe" a quello della coscienza rivoluzionaria. La loro azione rimaneva irrimediabilmente corporativa.

La società autoritaria e sfruttattrice, semplificata nell'immagine teorica dell'anarcosindacalismo, portava i suoi esponenti alla convinzione di aver scoperto il punto vulnerabile del sistema (la paralisi del lavoro) e la leva potente dell'azione rivoluzionaria (lo sciopero generale). Questo schema riduttivo, proprio delle analisi anarcosindacaliste, è ben riassunto nella rappresentazione meccanica dello scontro sociale, presente nel pensiero di Paul Delesalle riguardo allo sciopero generale tentato il 1° maggio 1906; a) sciopero generale ad opera di sindacati che paragoneremo a manovre di guarnigioni; b) cessazione del lavoro dovunque e a data fissa, che sarebbero le nostre grandi manovre; c) arresto generale completo, che metta il proletario in guerra aperta contro la società capitalistica; d) sciopero generale-Rivoluzione.

La "lettura" tutta economica della società portava l'anarcosindacalismo a sottovalutare altre forme di lotta, o a renderle strumentali rispetto a quella economica. Scrive Cristian de Goustine, riguardo all'evoluzione del pensiero di Pouget dall'anarchismo all'anarcosindacalismo "Contro lo Stato, Pouget preconizza l'apoliticismo l'antimilitarismo e lo sciopero generale rivoluzionario. Infine, egli definisce il ruolo del sindacato della società futura. L'apoliticismo e l'antimilitarismo e l'idea della rivoluzione sociale sono dei contributi anarchici al sindacalismo. Ma essi ora cambiano di senso. L'apoliticismo non è più l'affermazione della lotta contro il governo come manifestazione dell'Autorità, ma la presa di coscienza della solidarietà degli interessi della classe operaia... Noi abbiamo visto che l'antimilitarismo è uno degli interessi della classe operaia... Nella dottrina sindacalista, l'antimilitarismo si fonda sul principio della lotta contro l'esercito, per quel tanto che rappresenta e difende gli interessi della classe borghese contro la classe operaia".

Quando nell'agosto del 1914, dopo una serie sfortunata di scioperi falliti, si tentò senza successo lo sciopero generale contro la guerra, l'anarcosindacalismo francese evidenziò tutti i suoi limiti, ma più dei suoi limiti le sue velleità. Con la concessione di alcuni miglioramenti economici, i sindacati si trovarono in difficoltà nell'agitazione quotidiana, e furono costretti a ripiegare su una azione più moderata. Quest'ultima fu il frutto anche dell'uscita e del ritiro di molti militanti anarchici dal sindacalismo francese, il quale si configurava ora come sindacalismo "puro".

L'azione rivoluzionaria dell'anarcosindacalismo trovava prima il suo referente nella classe operaia e nel rifiuto della funzione positiva dell'ideologia. Ora, l'azione rivoluzionaria, non era più impersonificata e portata avanti dalla classe operaia. Liberatasi di quest'ultima, senza più nessuna identificazione ideologica, essa si era resa autonoma e libera, arrivando all'attivismo "puro" di stampo fascista e soreliano. L'azione, di per sé stessa, dava la dimensione rivoluzionaria e non più lo scopo: questa era l'inevitabile parabola dell'interpretazione negativa della lotta, unita al rifiuto della funzione positiva della ideologia.

Nulla di nuovo se oggi, al posto dell'azione "pura", alcuni gruppi "rivoluzionari" scoprano e teorizzino la "situazione" rivoluzionaria, svincolata da ogni identificazione ideologica.

Se oggi risulta estremamente importante l'esperienza storica dell'anarcosindacalismo, ciò è dovuto all'innesto teorico dell'anarchismo nel movimento operaio. Quest'ultimo, praticando l'azione diretta, sviluppò la dimensione rivoluzionaria della sua forza, proprio in virtù della pratica anarchica adottata. Il soggetto rivoluzionario, però, rimane l'anarchismo e il suo movimento storico.



 

APACHES

In lingua  zufri,  Apache vuol dire  "Nemico" e questo dice tutto sul modo nel  quale questo popolo era visto dai propri vicini.  Gli Hopi, però, preferivano chiamarli  "Gente  dei Cactus",  per contrapporre il proprio modo di vivere alloro, errante e nomade. Gli Apache infatti non coltivavano la terra né allevavano bestiame, e l'asprezza del territorio nel quale vivevano non consentiva loro di accumulare troppe provviste  per l'inverno: dunque, le razzie costituivano  l'unico mezzo attraverso  il quale procurarsi il necessario. La Loro economia, in sostanza, si basava sulla rapina. Apache è un  nome affascinante, che suggerisce un'affinità tra queste  coriacee piante  spinose  e il  modo  nel quale gli Apache affrontavano la vita in ogni suo aspetto. Guerra compresa. La guerra della "Gente dei Cactus" era, infatti, "pungente" proprio come le spine di  queste piante:  gli Apache rifuggivano  lo scontro  in campo aperto ogni  qualvolta ne avevano l'occasione e preferivano affidarsi a fulminee  incursioni, dopo le quali sparivano nel nulla come fantasmi. Il  loro era un modo di combattere rapido e brutale, dunque, ma anche insidioso, fatto di agguati  e ingegnose imboscate. Gli  Apaches  normalmente utilizzano tre tipologie di imboscate da loro.La prima, divenuta in seguito talmente nota  da non  ingannare quasi più nessuno, consisteva nel mandare uno sparuto gruppo di guerrieri  contro il  nemico, fingendo casualità nel contatto, e di farli poi ripiegare velocemente in modo da attirare gli inseguitori in trappola; per la riuscita erano necessari cavalli freschi e veloci, guerrieri coraggiosi disposti a fungere da  esca e un nemico poco accorto che si facesse prendere dall'entusiasmo di una facile vittoria. Meno conosciuto era il trucco di fingere una fuga dopo le prime scaramucce e di riparare con apparente panico all'interno di una zona di folta vegetazione, dove quindi la visibilità fosse scarsa, per poi uscirne in due gruppi separati che, manovrando a semicerchio, sorprendevano il nemico da entrambi i fianchi. Ma lo stratagemma più usato era quello più semplice: osservare con invisibili esploratori la marcia del nemico per poi  organizzare una letale imboscata in un luogo favorevole lungo il tragitto, in genere angusti canyon o gole dalle pareti a picco. In alcuni casi, ci si poteva permettere il lusso di risparmiare le preziose munizioni e bersagliare dall'alto  i nemici con massi e grosse pietre. 

La rivoluzione come frattura

La rivoluzione come frattura, come rottura di un ordine è, ormai un concetto stabilito. Ed il problema, oggi, è ancora una volta sapere se vi sia necessariamente identità tra rivoluzione e violenza: le ideologie costituiscono l’indispensabile strumento di analisi di un tale problema. Senza di esse il rischio di una violenza senza rivoluzione diventa immenso. Così nel sottile rapporto tra ideologia e  rivoluzione i  grandi  termini del combattimento  erano  stati essenzialmente «libertà» ed «eguaglianza», per il trionfo delle quali la  rivoluzione  si  presentava come l'arma necessaria. Ma la rivoluzione - la  parola impiegata da uomini di grande spirito liberale: da Mazzini a Lamartine, da Danton a Marat – veniva assorbita anche da quanti lottavano contro quella stessa libertà: è in tal senso significativo che sia il fascismo che il nazismo, per esempio, si siano presentati come rivoluzioni senza averne nessuna delle caratteristiche ed essendo carenti di ogni ideologia. In sostituzione di questa intervenivano concetti quali la purezza della razza, la rievocazione dei motivi o la riscoperta di passati mitologici. Proprio questo far ricorso non già a concetti, ma a sentimenti (di dubbia natura, per di più) mostrava l'intrinseca debolezza di quelle che si pretendevano «rivoluzioni» pur presentandosi come il rimedio unico contro tutte le rivoluzioni.


giovedì 23 ottobre 2025

Alle origini dell'anarcosindacalismo – parte quinta

I mezzi di lotta

Anche i mezzi di lotta contro lo sfruttamento capitalistico, per la liberazione degli sfruttati dal giogo del salariato, si sviluppano rigorosamente sul terreno della lotta economica attraverso l'uso rivoluzionario delle associazioni operaie.

Gli scioperi di resistenza allo sfruttamento padronale, il boicottaggio del lavoro e il sabotaggio delle merci, l'azione diretta sfociante nello sciopero generale, ecco i mezzi propugnati e praticati in quegli anni dall'anarcosindacalismo francese.

Questi mezzi sono gli unici, secondo gli anarcosindacalisti, che permettono agli sfruttati di lottare sul proprio terreno, essi implicano, di conseguenza, una pratica di solidarietà attiva e concreta. Inoltre essi, nel momento della lotta, si ricompongono uniti come classe che sta interamente unita in contrapposizione rispetto alla classe borghese. Lo sciopero generale abitua gli sfruttati non solo "alla solidarietà e all'iniziativa"; esso è una rappresentazione collettiva della inconciliabilità degli interessi, presenti nella società borghese, tra il movimento operaio e la classe capitalista. Nello schema strategico dell'anarcosindacalismo, lo sciopero generale sostituisce l'insurrezione rivoluzionaria.

La lotta economica è la sole efficace anche per un'altra ragione teorica. Se infatti gli sfruttati lottano sul proprio terreno, essi non hanno bisogno di una minoranza guida che animi e organizzi la lotta. In questo modo l'anarcosindacalismo francese era convinto di aver risolto il problema del rapporto tra minoranze rivoluzionarie masse sfruttate. Era questa però una grossa velleità: gli stessi esponenti riconoscevano esplicitamente il ruolo insopprimibile di esse (9) e la stessa pratica lo confermava (negli "anni eroici" del sindacalismo anarchico, 1895-1906, gli operai organizzati non superarono mai il 20% dell'intera loro classe e tra gli organizzati solo una minoranza era nelle Borse del lavoro, l'organizzazione più combattiva).


Le origini del discorso e del dialogo

La “nascita del pupazzetto” secondo Kellogg e Morris, ripresa da D. Morris, riguarda in realtà solo la progressiva differenziazione della figura umana per parte dell'infante e — per le fasi da a a f — di uno  scimpanzé di età comparabile. Ma la serie progressiva secondo lo schema riportato può testimoniare altrettanto bene per la graduale codificazione linguistica del disegno a contorni in conformità alla teoria dell'informazione. Scimmia  o  infante, l'operatore inizia in effetti marcando segni a caso sul bianco del foglio; ed ha manovrato, dapprima  solo per  gioco, il mezzo tracciante che gli è stato messo in mano. A un certo punto l'operatore regolarizza il groviglio (c) nella matassa (d) e la matassa nel circolo (e) . Ha staccato così un disco dal campo operatorio e distinto in tal punto  un  corpo dallo spazio  che lo  racchiude. Il circolo, appena  tracciato, diventa cossi il segno di quel corpo. È in fondo la vecchia distinzione di figura e sfondo cara alla Gestaltpsychologie. Ma non è che  il primo passo. Una  e una sola disgiunzione binaria (pari a un bit — un'unità cioè — di informazione): ed è chiaro fin d'ora che ogni ulteriore determinazione  potrà essere di qui  in avanti analogamente indicata mediante l'aggiunta di analoghe disgiunzioni. Nella fase immediatamente successiva (f) riprende infatti (all'interno del cerchio) la marcatura disordinata della prima fase (a). E quando le marche visibili saranno almeno quattro (meglio se più di quattro), verrà spontaneo (k) di selezionarne  quattro sole (soppresse idealmente le ridondanti o crescenti): da leggere intanto come occhi-naso-bocca; da riproporre, subito dopo (l),  come tratti anzi emergenti e decisivi per l'allestimento del rudimentale ritratto. È un procedimento  praticamente identico al modello  proposto a suo tempo da Vitruvio per l'origine del linguaggio parlato. Gli uomini primitivi — dice in sostanza Vitruvio  — erravano da prima come fiere nei boschi, privi del linguaggio e di qualsiasi  barlume di vita associata. Scoperto per caso il fuoco,   cominciarono a radunarsi attorno ad esso per goderne i vantaggi; e a cooperare al fine di custodirlo e alimentarlo. «In quelle radunanze  di uomini — la traduzione procede di qui in avanti parola per parola — capitava loro di emettere suoni (voces) diversi a seconda del tirar del fiato; in un  secondo tempo, divenuta [ormai tale pratica] un'abitudine quotidiana, costituirono così come capitava anche certi aggregati di suoni (vocabula) e infine, significando [con il loro mezzo] le cose con cui più spesso gli avveniva di aver a che fare, cominciarono per caso a parlare a proposito. E questa fu l'origine dei discorsi e del dialogo». Il disegno nasce, come il parlato, per caso. Ma ciò che conta è il processo finalizzante che presiede alla selezione e alla fissazione delle mutazioni casuali. Sempre meno automatico, sempre più storicamente determinato, sarà quindi lo strumento principe per l'elaborazione consapevole del pensiero visivo nel corso delle grandi civiltà storiche.


NOI VOGLIAMO

Noi vogliamo dunque abolire radicalmente la dominazione e lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, noi vogliamo che gli uomini affratellati da una solidarietà cosciente e voluta cooperino tutti volontariamente al benessere di tutti; noi vogliamo che la società sia costituita allo scopo di fornire a tutti gli essere umani i mezzi per raggiungere il massimo benessere possibile, il massimo possibile sviluppo morale e materiale; noi vogliamo per tutti pane, libertà, amore, scienza.

E per raggiungere questo scopo supremo noi crediamo necessario che i mezzi di produzione siano a disposizione di tutti, e che nessun uomo, o gruppi di uomini possa obbligare gli altri a sottostare alla sua volontà né esercitare la sua influenza altrimenti che con la forza della ragione e dell'esempio.

Dunque espropriazione dei detentori del suolo e del capitale a vantaggio di tutti, abolizione del governo.

Ed aspettando che questo si possa fare: propaganda dell'ideale; organizzazione delle forze popolari; lotta continua, pacifica o violenta secondo le circostanze, contro il governo e contro i proprietari per conquistare quanto più si può di libertà e di benessere per tutti.



giovedì 16 ottobre 2025

Alle origini dell'anarcosindacalismo – parte quarta

La carta d'Amiens

Il riferimento teorico fondamentale della teoria anarcosindacalista è dato dall'autonomia del movimento operaio. Esso rappresenta il vero e unico soggetto rivoluzionario, il solo in grado di sviluppare l'azione liberatrice in virtù della sua funzione produttrice dell'intera ricchezza sociale. Per riappropriarsi di essa, perché l'autonomia del movimento operaio diventi feconda di pratica rivoluzionaria, l'intera classe degli sfruttati deve trovare la sua unità sulla base del vero denominatore comune: l'eguale condizione sociale dovuta allo sfruttamento economico. La realizzazione di questa unità, condizione fondamentale della forza del movimento operaio, si ottiene solo escludendo, all'interno delle associazioni operaie, ogni "scuola politica" perché fonte di possibile discordia e divisione.

"La Confederazione del lavoro non può divenire una potenza che a immagine del comitato federale delle Borse, che conta il più gran numero di rappresentanti delle diverse scuole socialiste, elemento stesso della sua vitalità perché i delegati che partecipano e prendono posto, abdicano alle loro preferenze politiche limitandosi alle loro discussioni corporative". Così Fernand Pelloutier riassume il pensiero che anima le Borse del lavoro, pochi giorni prima che egli ne diventi segretario, in una riunione a Nîmes organizzata per decidere se entrare nella Confederazione Generale del Lavoro che verrà fondata nel settembre 1895 a Limoges. Questa tendenza verrà accentuata l'interno della C.G.T. dopo il 1902, quando al congresso di Montpellier, la federazione delle Borse e la C.G.T. formeranno una unica organizzazione. Pouget, che sarà per alcuni anni segretario aggiunto riconferma questo punto di vista in un opuscolo dal titolo "Il partito del lavoro". Scriveva Pouget "Il partito del lavoro coordina degli interessi e non delle opinioni. Questa potenza d'assorbimento delle divergenze individuali è la ragione dell'accordo che lega forzatamente la comunità di interessi, e dà, al Partito del Lavoro, una superiorità di vitalità e di azione mettendolo al riparo dai torti presenti nei partiti politici".

Il rifiuto della componente politica altro non è che il rifiuto dell'ingerenza dei "dottori del socialismo" nell'elaborazione di una autentica teoria proletaria. Quest'ultima si sviluppa sulla negazione stessa della funzione dell'ideologia, prodotto della cultura appartenente alle classi dominanti. Anche l'ideologia rivoluzionaria altro non è che una dimensione astratta e alienante, poiché i valori su cui è costruita, poggiano su un progetto positivo avulso dalla lotta sociale; il movimento operaio pertanto deve, anche nel campo teorico, elaborare per proprio conto i valori che sono alla base della sua azione di lotta quotidiana. "Nei militanti, desiderosi di dare il primo posto all'azione sindacale, vi è un sentimento di opposizione brutale alla borghesia, non vi è nessuna preoccupazione che si riattacchi ad un piano preconcetto e ad una teoria dell'insieme.Gli uni si sforzano di riallacciare le origini del movimento operaio attuale ai principi enunciati dalla concezione anarchica; gli altri si studiano al contrario di trovarli nella concezione socialista... Secondo me, il movimento operaio non risale a nessuna di queste due sorgenti". Questa precisa affermazione di Victor Griffuelhes segretario generale per tanti anni della C.G.T. conferma lo spirito e le idee che animavano l'anarcosindacalismo di quegli anni.

Esse troveranno compiutezza teorica nella famosa carta d'Amiens votata dal congresso confederale il 13 ottobre 1906 con 830 voti favorevoli contro 9 contrari. Questa riafferma la assoluta autonomia del movimento operaio rispetto ad ogni movimento politico e rivoluzionario, compreso quello anarchico per "rafforzare il più possibile i sindacati, l'razione economica va condotta direttamente contro il padronato; le organizzazioni confederate, in quanto gruppi sindacali, non devono occuparsi di sètte di partiti, che sono liberi al di fuori, e, indipendentemente dai sindacati, di lavorare per la trasformazione sociale che ritengono più appropriata". Inoltre l'anarcosindacalismo passa dalla fase di resistenza alla fase costruttiva, esso non è più un mezzo di opposizione allo sfruttamento capitalistico, ma l'organizzazione stessa su cui poggerà la società futura. "I sindacati raccomandano lo sciopero generale come mezzo per l'attuazione di questo fine, e affermano che il sindacato, attualmente un gruppo di resistenza, sarà in futuro il gruppo responsabile della produzione e della distribuzione, cioè la base dell'organizzazione sociale". Questa affermazione di assoluta autonomia non solo nel momento della lotta, ma anche in quello più complesso della ricostruzione sociale, pone una divisione abbastanza profonda con il movimento anarchico specifico: la negazione di efficacia di altri mezzi rivoluzionari sarà infatti combattuta e discussa al congresso internazionale anarchico di Amsterdam del 1907.