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giovedì 6 novembre 2025

L’ULTIMO SPETTACOLO – Peter Bogdanovich

Ambientato tra il 1950 e il 1951 in una cittadina del Texas, Anarene, descrive  l'inarrestabile decadenza delle  cittadine del Far West, travolte  dalle  nuove  avventure imperialistiche americane. L'attrattiva della grande città, l'evoluzione dei costumi sessuali, l'avvento della televisione, la guerra in Corea, tutto contribuisce  a  disgregare la vita di Anarene  e questa viene attentamente analizzata in quelli che sono i punti d'incontro caratteristici di ogni   paese: il cinema e il bar con il suo biliardo. La cittadina entra in crisi, una crisi totale di sfiducia in ogni  valore ideale  e morale, crollano tutti i miti, primo fra tutti quello della  Grande America. Ed è  proprio l'ultimo spettacolo del cinema, costretto  a chiudere dalla concorrenza della televisione, il simbolo di tutto il film: è una scena del   Fiume  rosso di Hawks in cui John Wayne urla l'ordine di partenza di una mandria. John  Wayne, il rappresentante della maggioranza  silenziosa», il difensore  dell'ordine costituito, l'anticomunista  ad oltranza alla testa di una mandria silenziosa. Il  duro epitaffio per  una  città  morta, il cinema per Bogdanovich è materiale d'accertamento della propria identità, è fuga dal tedio ma è soprattutto verifica dello scadimento irreparabile dell'invenzione fantastica  nell'atto stesso in  cui si consegna allo spettatore come immagine,

Sullo sfondo di una nazione che sta cambiando faccia, (così come il mondo che appare totalmente stravolto nel secondo dopoguerra), Bogdanovich racconta un equilibrio sociale che sta lentamente lasciando il posto ad una società sempre più industriale e meno agricola. Anche il cinema, non sarà più lo stesso: i temi stanno cambiando, le esigenze della popolazione si trasformano e così pure le storie che vengono raccontate sul grande schermo. L’ultimo spettacolo fa proprio questo, mette in mostra i cambiamenti epocali che l’America sta attraversando. Il film, non a caso, si svolge nel 1951, l’anno del Fair Deal del presidente Truman, è l’anno del conflitto in Corea, le truppe nordcoreane invadono Seul, la capitale della Corea del Sud. La Guerra Fredda caratterizza l’ordine bipolare sotto cui volgere lo sguardo e, di conseguenza, la protezione dei clientes europei. Il governo americano accelera la corsa agli armamenti, mentre molti americani si abituano ai nuovi consumi (specialmente la televisione, che sarà causa del fallimento del cinema Royal); tutti questi cambiamenti, Bogdanovich sceglie di raccontarli da dentro, facendoli risuonare come un eco lontano di cui si percepisce il sibilo e, soprattutto, fanno da substrato agli eventi di “provincia” che sembrano essere apparentemente insignificanti.

Peter Bogdanovich  ha  32  anni ed è stato  critico cinematografico di molte riviste:  New York Times,  Variety, Cahiers du Cinema, Film  Culture, Film Quarterly, Vogue e Saturday Evening Post. Iniziò, ad interessarsi attivamente di cinema nel 1966 come aiuto regista e scrittore di «The Wild Angels», una produzione Roger Corman. Nel 1968 diresse «Targets» per la Paramount presentato al Festival di  Pesaro.  Nel 1971 diresse un documentario su John Ford, presentato al Festival di Venezia, e nello stesso anno realizzò «L'ultimo spettacolo».  Il suo ultimo film è «Ma papa ti manda sola?» realizzato nel 1972 dalla sua stessa casa di produzione, la Saticoy Production  e interpretato da Barbra Streisand e Ryan  O'Neal. 

Splendido, struggente, finissimo film.., dimostra come si possa descrivere  il  tedio  senza  essere  tediosi, con franchezza di tocco, verità di particolari, una  giusta dose di umorismo e un'ammirevole direzione di attori. (Morando Morandini) Ecco un film  curioso e controcorrente... così grondante amarezza da poter molto piacere alle  anime umbratili che vestono  il mondo di grigio.., film d'epoca pensato come un omaggio al cinema del tempo perduto esprime con accoratezza sincera quel bisogno di autentici affetti, quell'ansia di vero, quella fame di futuro in cui si traduce lo scoramento di molti  americani.(Giovanni Grazzini) 


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