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martedì 15 marzo 2011

ZERO DE CONDUITE di Jean Vigò

Zero de conduite (1933), è un sofferto inno alla ribellione, in cui l’infanzia è vista come portatrice di un messaggio politico ed ideologico intrinseco, come metafora della lotta rivoluzionaria nel suo spirito libertario e profondamente sincero, libero dai condizionamenti sociali ed economici, sostanzialmente anarchico.
Non si può non riconoscere All’opera di Vigo una precisa volontà di denuncia della repressione esercitata dalla classe dominante sull’individuo e la collettività: il microcosmo del collegio è metafora della società borghese, la lotta tra convittori e sorveglianti/professori è metafora della lotta tra oppressi ed oppressori.  Il regista manifesta con chiarezza il proprio giudizio sulla realtà umana che è oggetto del suo interesse, prende apertamente posizione a fianco dei ragazzi e del sorvegliante Huguet, l’unico adulto che possiede sentimenti umani ed è pieno di vita e di immaginazione come un fanciullo; osserva il mondo del collegio con gli occhi dei bambini, fa sue le loro fantasie, comprende le loro esigenze ed i loro sentimenti perché riproduce fedelmente, senza filtarle, la sensibilità e la razionalità infantili, le quali gli appaiono come gli unici valori esistenziali.
 Il processo attraverso cui la comunità oppressa organizza una resistenza collettiva e si libera dei suoi oppressori, si sviluppa secondo la precisazione di un rapporto dialettico tra le persone dotate di umanità che pretendono il rispetto della loro dignità e dei loro diritti e gli inumani mostruosi esecutori di una censura generalizzata. Gli adulti non vengono rappresentati come persone, ma come burattini grotteschi; la deformità fisica li rende bersagli di una satira aspra ma non priva di notazioni sottili e ironiche. La dimensione satirica giustifica dal punto di vista estetico ogni metafora contenuta nel film; viene dunque evitato il pericolo di cadere nel rigido schematismo manicheo di una visione del mondo fra ragazzi buoni e adulti cattivi, tanto più che gli strali di Vigo non sono tanto diretti contro precisi personaggi, quanto piuttosto contro i miti e le convenzioni della società del suo tempo. La processione dei ragazzi durante la rivolta nel dormitorio e la beffa della crocifissione sono efficaci dissacrazioni della fede e dei riti religiosi; la sequenza della festa a cui prendono parte boriosi e ridicoli rappresentanti  dell’alta società, dell’esercito, del clero (fra costoro non a caso sono sistemati alcuni manichini) opera la distruzione dei concetti borghesi di perbenismo e di rispettabilità. Cinematograficamente parlando, fortemente antinaturalistici sono la scenografia, l’illuminazione, l’uso degli espedienti tecnici; gli elementi figurativi ed il gusto per certe deformazioni e per certe visioni fantastiche rimandano a modi tipici dell’Espressionismo, inseriti tuttavia in una struttura narrativa originale, mutuata dall’avanguardia surrealista. Così ad esempio, l’uso “ rallentato” durante la rivolta nel dormitorio, mentre sublima le azioni dei ragazzi ed incita lo spettatore a scoprire la rivolta, spezza il ritmo ed il filo continuo della narrazione, impedendo sia il compiacimento estetico fine a se stesso, sia la fruizione gastronomica del racconto. Allo stesso modo, l’osservazione dell’evolversi degli eventi è continuamente rotta dal rifiuto, da parte di Vigo, di accettare passivamente la realtà fenomenica come un dato reale in sé, la realtà può essere letta e compresa soltanto attraverso la contrapposizione stridente delle immagini. La musica di Maurice Jaubert conferisce al film una gioiosa pratica della libertà immediata.   

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