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giovedì 20 giugno 2019

BARBIERI FRANCESCO anarchico

Francesco Barbieri nasce a Briatico il 14 dicembre 1895. Di famiglia benestante, frequenta regolarmente le scuole elementari e poi si iscrive in un Istituto agrario conseguendo la qualifica di "agrimensore". Nel 1914 emigra in Argentina alla ricerca di lavoro. Il suo progetto è di recarsi in Patagonia presso una fattoria e lavorare come tecnico agrario. Difficoltà burocratiche e ritardi nella concessione delle autorizzazioni gliene impediscono la realizzazione. Partecipa come volontario alla prima guerra mondiale ricevendo anche una onorificenza al valor militare. Rientra in Calabria e si sistema a Zambrone, comune vicino Briatico; professa idee socialiste e anarchiche. Approfittando delle disposizioni a favore dei riservisti, ritorna, nell'aprile del 1922, in Argentina con l'intenzione di partire per la Patagonia. Si avvicina ai circoli politici italiani ed entra in contatto prima con i gruppi socialisti e poi con gli anarchici, in particolare con il Gruppo "L'Impulso" guidato da Nicola Recchi e Aldo Aguzzi. Grazie all'aiuto di questi connazionali riesce a trovare lavoro come manovale, poi come scaricatore al porto e infine in una tipografia come apprendista. Nel 1924 è tra gli organizzatori della contestazione contro la crociera della motonave Italia, che, attraccata nel porto di Buenos Aires, svolge aperta  propaganda a favore del regime fascista. La polizia argentina esegue numerosi arresti; Barbieri riesce a sfuggire alla cattura e inizia una vita da clandestino. Nello stesso anno conosce Severino Di Giovanni, i fratelli Alejandro e Paulino Scarfò, oriundi calabresi di Tropea, Silvio Astolfi, Umberto Lanciotti e il cileno Miguel Arcangel Roscigna, insieme ai quali forma un gruppo deciso a condurre con ogni mezzo la lotta contro il fascismo. Le prime azioni sono di natura dimostrativa, come la protesta inscenata al teatro Colon in occasione dei festeggiamenti per i 25 anni di regno di Vittorio Emanuele III; poi, durante la campagna a favore di Sacco e Vanzetti, si passa ad attentati dinamitardi contro obiettivi americani. Francesco, mettendo a frutto le conoscenze acquisite durante la guerra, si incarica di confezionare le bombe per gli attentati. Nel 1926, insieme al Di Giovanni collaborano attivamente con Buenaventura Durruti e
Francisco Ascaso, con i quali compiono una serie di rapine ai danni di banche e industrie anglo-argentine per finanziare l'attività del movimento. Quando il tre maggio del 1928 Di
Giovanni “piazza” una bomba presso il Consolato Italiano, provocando la morte di nove persone e più di trenta feriti, il movimento libertario argentino si spacca sull’accaduto.
Durissime sono le accuse del periodico “La Protesta”, organo ufficiale della F.O.R.A., nei confronti degli esecutori dell’attentato, accusati di fare il gioco della polizia. Anche il giornale “Antorcha”, tradizionalmente vicino alle tesi degli “espropriatori”, prende le distanze da un gesto di simili dimensioni.

Il gruppo di Di Giovanni si disperde per evitare ovvie ritorsioni poliziesche. Barbieri ripara prima in Uruguay poi in Brasile. Per caso la polizia scopre il laboratorio in cui “Chico” aveva preparato gli esplosivi e per questa ragione non può più rientrare a Buenos Aires. Grazie all’intervento di un avvocato vicino agli anarchici riesce a non essere estradato in Argentina e rientra in Calabria.
Da qui espatria clandestinamente a Marsiglia e raggiunge poi Tolone, dove prende subito contatto con i fuorusciti italiani. Nel marzo del 1931 viene condannato in contumacia dal pretore di Tropea a un anno e sei mesi per emigrazione clandestina e diramato un ordine di arresto come "pericoloso sovversivo" e "anarchico avvezzo all'uso di esplosivi". Nel febbraio del 1932 sconta una condanna a otto mesi inflittagli dal Tribunale di Tolone per uso di passaporto falso e false generalità; uscito dal carcere si reca a Ginevra dove conosce Fosca Corsinovi, con la quale intreccia una relazione. La polizia fascista, che lo segue molto da vicino, gli attribuisce la partecipazione a una serie di attentati in Costa Azzurra e a Lione. Si sposta continuamente tra Ginevra e il sud della Francia, ma tutto questo continuo andirivieni è attentamente controllato dai fascisti, che lo segnalano alla polizia elvetica. Nel 1932 conosce Camillo Berneri che lo reputa un compagno coraggioso, indispensabile nella lotta armata. In una nota del giugno 1935, indirizzata ai Consolati italiani di Francia, Svizzera, Belgio, Spagna, Olanda e Germania, il direttore della polizia politica, sospetta che Barbieri sia una sorta di "consulente militare" degli anarchici e che nei suoi continui spostamenti assista i suoi compagni nella preparazione di esplosivi. Le continue pressioni sulla polizia svizzera sortiscono l'effetto desiderato: nell'ottobre del 1935 Barbieri viene espulso dal paese e si reca a Parigi da Berneri in cerca di appoggi. Ha così modo di partecipare, sia pure di sfuggita, alla Conferenza d'Intesa degli anarchici italiani, preparata da Berneri, Giglioli, Fantozzi e altri allo scopo di elaborare un programma insurrezionale. Per evitare di bruciarsi, Berneri gli consiglia di rifugiarsi in Spagna dove può contare sull'aiuto del gruppo italiano dell'Ufficio di Corrispondenza Libertario e sulle sue amicizie del periodo argentino. Si sistema a Palma di Maiorca con l'obiettivo di avviare un'attività di import/export di frutta e verdura. Durante uno dei suoi frequenti viaggi a Barcellona, su segnalazione degli agenti fascisti, nel febbraio del 1936, viene arrestato e incarcerato. Il Ministero degli Esteri italiano ne chiede subito l'estradizione o, in alternativa, l'espulsione verso il Portogallo da dove sarà più facile estradarlo in Italia. Dopo oltre due mesi di carcere duro, grazie a un'amnistia del Presidente Azafia, viene liberato e rientra clandestinamente in Svizzera. A fine luglio parte per la Spagna insieme con un gruppo di anarchici svizzeri e a Barcellona ritrova Berneri e tutti i compagni italiani esuli in Francia. Entra a far parte della
Sezione Italiana della Colonna  "Ascaso" alle dirette dipendenze di Berneri, che è il Commissario politico, il quale, completamente digiuno di tecniche militari, ne fa il suo "aiutante di campo". Dopo la battaglia di Monte Pelato, si trasferisce a Barcellona con Berneri e mentre questi con il giornale «Guerra di classe» diventa la voce degli anarchici italiani, Barbieri costruisce la rete di sussistenza per i miliziani. Procura fondi, armi, medicinali, ambulanze; tiene i contatti con i dirigenti spagnoli; fa il portaordini e l'ufficiale di collegamento. Allorquando  il Comitato Anarchico di Difesa, presieduto da Virgilio Gozzoli, decide di ripartire gli incarichi al suo interno, Barbieri, diviene un "battitore libero" senza compiti specifici. Secondo una serie di rapporti di polizia egli sarebbe una sorta di capo di una polizia politica anarchica, il corrispondente della CEKA dei comunisti sovietici, mentre, in altri documenti, è indicato come il capo della polizia di Barcellona, senza però altre precisazioni. Nelle giornate di maggio 1937 l'appartamento abitato da Berneri, Barbieri, Tosca Tantini e Fosca Corsinovi viene, più volte, visitato e perquisito da miliziani comunisti e della UGT. Nel pomeriggio del 5 maggio, verso l'imbrunire, un manipolo, formato da una quindicina di persone, fa irruzione, pistola in pugno, nell'appartamento e, dopo un alterco abbastanza violento, preleva gli anarchici sotto gli occhi atterriti delle due donne, e li conduce verso la centralissima plaza de Cataluna. L'indomani il corpo di Barbieri, che presenta ferite da arma da fuoco, viene trovato sulle Ramblas. 
I funerali si svolgono l’11 maggio in una Barcellona tetra e impietrita dal dolore. Cinque carri trasportano i feretri di Camillo Berneri, Adriano Ferrari, Lorenzo di Peretti, Pietro Macon e Francesco Barbieri: tutti italiani e tutti anarchici. È l’ultima grande, solenne e tragica manifestazione pubblica dell’Anarchia.

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