La produzione di guerra, intesa come la produzione di tecnologie di distruzione, in senso materiale e psicologico da parte dei complessi militari-industriali non potrà mai avere come conseguenza la totale distruzione del pianeta e quindi l'autodistruzione degli stessi complessi produttori militari-industriali.
Per il conflitto attuale fra le potenze non si può utilizzare il termine di guerra, poiché esso ne rappresenta la degenerazione. La guerra totale si trova nell'impossibilità di esprimersi per il suo carattere di "assoluto". Alle grandi invasioni di un tempo, alle guerre di conquista, subentra l'impercettibile estensione della guerra parziale indefinita nel tempo. Il multi/stato del terrore afferma se stesso nella sua espressione di terrorismo diffuso, continuato, contro l'umanità. L'unica guerra, la guerra reale che si sta svolgendo é quella del potere nei confronti della gente, dello stato nei confronti dell’individuo. Lo scontro armato fra le potenze si consuma e si esaurisce nelle terre di confine, ai margini degli imperi, nel terzo mondo. E' uno scontro, un conflitto molto più apparente che reale poiché non ha come fondamento una reale volontà di modificare i rapporti di potere fra le potenze, ma bensì di stabilizzare, di cristallizzare i rapporti comuni ad essi; quelli fra potere ed individuo, prevenendo la reale emancipazione degli stessi attraverso il controllo degli stati emotivi con la diffusione del terrore e dell'angoscia.
Dalla coscienza di queste cose deve partire la rivendicazione del mondo intero attraverso la contrapposizione radicale alla logica cibernetica democratizzata; in questo senso diviene centrale ritrovare un rapporto con la terra inteso nel suo senso più ampio (non già come ritorno bucolico) ma come ambiente naturale della specie. E' necessario ritrovare tutte le potenzialità, i nostri. sensi, il linguaggio complessivo della vita: la radicalità della nostra critica.
Non si tratta tanto di liberarsi del nucleare in se stesso, o dalla paura che esso genera, ma di emanciparsi da queste parzialità; riappropriandosi della nostra critica di individui antagonisti.
Definire e limitare la categoria nucleare come obiettivo dell’antagonismo vuol dire rinchiudersi ancora nel labirinto di prigioni senza uscita, ma interpretarlo come un momento (probabilmente anche marginale) di una continuità che il potere realizza al fine del controllo totale sulla nostra energia vitale, imprigionandola attraverso il mito della catastrofe con il relativo trionfo dell'angoscia, può offrirci l'opportunità di una reale liberazione da categorie a noi estranee. La guerra reale é tra il potere e l'individuo, non già, quella nucleare probabile o presunta. Il nostro impegno non può essere contro il nucleare in sé, bensì contro ogni schema autoritario operato ora dalla nuova democrazia/cibernetica, contro ogni sua espressione, forma o effetto; é quindi anche contro il nucleare, ma anche contro la sua paura il suo mito, le accezioni spettacolari che esso genera. Contro il culto del disastro e chi ne usa i termini e le mode per cavalcare il nuovo spettacolo, chiunque esso sia; lasciamo ad altri la catastrofe ed il nulla delle loro parole.
Giacché “NOI PORTIAMO UN MONDO NUOVO DENTRO DI NOI”
archivio BODOS 1986