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giovedì 12 maggio 2016

Il carattere secondo Wilhelm Reich

Sulla scia della lotta pratica e teorica contro le resistenze in analisi, Reich giunse con una totale consequenzialità a concepire il carattere (la nevrosi caratteriale) come la forza stessa di queste resistenze. Contrariamente al sintomo, che si deve considerare come un prodotto ed una concentrazione del carattere e che viene avvertito come un corpo estraneo che provoca una sensazione di malattia, il tratto caratteriale è una componente organica della personalità. Il fatto che manchi la coscienza della malattia è un segno fondamentale della nevrosi caratteriale. Ciò spiega perché questa degradazione dell’individualità poteva apparire solo all’interno di un tentativo di comunicazione, la tecnica analitica stessa, che, per quanto unilaterale, doveva ben presto rivelare il carattere per quello che è: una difesa contro la comunicazione, una deficienza della facoltà di incontro. Questo è il prezzo pagato alla funzione primaria del carattere: la difesa contro l’angoscia. Non c’è bisogno di soffermarsi sull’origine dell’angoscia, sulle sue cause e sulla permanenza di queste. Diciamo semplicemente che la forma particolare del carattere è una piega che si prende prima del decimo anno di età, cosa che non sorprenderà nessuno.
La discrezione di questa disposizione spiega la sua sottovalutazione in quanto flagello sociale, così come la sua durevole efficacia. La disposizione in oggetto produce individui degradati, spossessati al massimo grado di intelligenza, socievolezza e sessualità, e di conseguenza davvero indipendenti gli uni dagli altri, il che è l’ideale per il funzionamento ottimale del sistema automatico della circolazione delle merci. L’energia che l’individuo può impiegare per riconoscere ed essere riconosciuto è legata nel carattere, cioè impiegata a neutralizzare sé stessa.
In tutte le società in cui regnano le condizioni moderne di produzione, l’impossibilità di vivere prende individualmente la forma della morte, della follia o del carattere. Con l’intrepido dottor Reich, e contro i suoi recuperatori e detrattori atterriti, postuliamo la natura patologica di ogni tratto caratteriale, cioè di ogni cronicità nel comportamento umano. Ciò che ci interessa non è la struttura individuale del nostro carattere, né la spiegazione della sua formazione, ma l’impossibilità della sua applicazione alla costruzione di situazioni. Il carattere non è dunque una semplice escrescenza maligna che si potrebbe trattare separatamente, ma anche un rimedio individuale in una società globalmente malata, rimedio che consente di sopportare il male aggravandolo. La gente è in gran parte complice dello spettacolo imperante. Il carattere è la forma di questa complicità.
Noi sosteniamo che la gente può dissolvere il proprio carattere solo contestando la società nella sua interezza; essendo la funzione del carattere quella di adattarsi allo status quo, la sua dissoluzione è preliminare alla critica globale della società. Bisogna rompere con questo circolo vizioso.
La contestazione globale inizia con la critica in atti del lavoro salariato secondo un principio fondamentale indiscutibile: «non lavorate mai». Le qualità di avventura assolutamente necessarie per una tale impresa sono esclusive del carattere. Il carattere è la rovina di queste qualità. Il problema della contestazione della società intera è dunque anche il problema della dissoluzione del carattere.

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