Sweet Movie è composto di due storie intarsiate. Nella prima, che ha per bersaglio, la società capitalistica, assistiamo alla bizzarra odissea di una ragazza americana eletta, tra altre vergini, Miss Mondo 1984, la cui virtù, come quella della Justine di De Sade, è esemplarmente punita dalla società consumistica, tanto che la poverina finisce col soccombere dentro a una colata di cioccolata fusa.
Nella seconda storia, non meno grottesca, l'allegoria è più spiccatamente politica: il comunista eterodosso Makavejev vi critica il comunismo ortodosso, in quanto incapace di prospettare l'uomo. Qui abbiamo un marinaio zarista, taumaturgicamente sopravvissuto alla rivolta della nave , che in un canale olandese viene raccolto da un vascello che ha per polena l'effigie di Marx e per pilota una giovane rivoluzionaria. Tra Il marinaio puro di cuore (non per nulla si chiama Bakunin e ha la bianca maschera di Pier Clementi) e la ragazza s'intrecciano spudorate effusioni erotiche, finché la virago, dopo averlo castrato, non lo uccide nella stiva carica di zucchero.
Il senso sembra questo: che le rivoluzioni, dapprima melliflue, finiscono poi col sacrificare ,i figli migliori..
Sweet Movie ha una forza irrecusabile, e si pone tra quei film demoniaci e solitari, balenanti nel buio di felici intuizioni, che vogliono essere rigorosamente veduti da quanti riconoscono al cinema una funzione dissacratrice e stimolante.
Il ritorno all'infanzia carnale come strumento per abbattere ogni sovrastruttura ideologica e quindi ogni repressione politica, per spogliare ,l'umanità del suoi tabù e dei suoi miti, salvarla, e condurla cosi al godimento e alla felicità.
Dusan Makavejev, anni 43, ritiene che il comunismo abbia senso soltanto se prospetta una liberazione totale dell'uomo.
Due sono i temi maggiori del film, cioè il consumismo capitalistico e il comunismo oppressivo dell'individuo nella sfera della negatività. Opera estremistica, “Sweet Movie” rifiuta la moderazione e il limite del buongusto. Al suo apparire nel 1974, Sweet Movie consegnò immediatamente il suo regista, lo jugoslavo Dusan Makavejev al ristretto olimpo dei registi cult dell'epoca, accanto a Jodorowsky, Arrabal, Ken Russell e a quella piccola ma attivissima cerchia di autori impegnati in una personale lotta contro censura e istituzioni per creare una forma cinematografica del tutto slegata da mode, costrizioni e messaggi edificanti. Un cinema in cui potessero andare a braccetto la denuncia sociale e la follia ginsberghianamente liberata, la psicanalisi e l'occultismo, il sogno sfrenato e la realtà più agghiacciante.
Montaggio dialettico che mischia documentaristica, narrazione lineare, simbologie e musica, in una forma che vorrebbe essere di rottura con i modelli narrativi classici. L'anarchia visiva di Makavejev è un'arma puntata contemporaneamente sia contro il comunismo che il capitalismo, il primo intollerante alla creatività se non quella approvata dal regime e l'altro per il consumismo che educa visivamente i suoi spettatori persino in materia erotica.
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