Lo stato quando vuole iniziare una azione poco popolare crea preventivamente l'opinione pubblica adeguata. Opera in modo che si dissenta contro ciò che il potere ha preventivamente deciso di destrutturare, affinché il dissenso riconfermi l'ordine dominante e le sue strategie.
Un'immagine tragica di questa situazione di integrale subalternità, in cui il dissenso è amministrato in vista del consenso universale, sia ha ogni qual volta la religione della merce immette nei circuiti della produzione un nuovo sfavillante prodotto. I nuovi schiavi si mettono placidamente in coda all'ingresso dei templi della merce per acquistare a rate la novità, il meglio che la civiltà dei consumi possa vendere loro. Essi non hanno contezza né del perverso incantesimo di alienazione e feticismo di cui sono parte, né delle tracce a cui quelle merci rimandano; tracce che, troppo spesso, finiscono nel sangue in paesi eufemisticamente detti in via di sviluppo.
Cultori del godimento acefalo e disinibito, ripetitori ossessivi del loro motto - "noi abbiamo inventato la felicità" -, gli ultimi uomini sono gli abitatori ideali del tempo del legame sociale interrotto e della morte dell'Ideale: non sperano in nulla di più grande, né si mobilitano in vista di futuri migliori. Hanno venduto testa e cuore al capitale, ricevendone in cambio sfruttamento e reificazione.
Schiavi che non sanno di esserlo, ignari cultori del rito del consumo e della mercificazione dei corpi e delle anime sui cui esso si regge, sono dominati sia materialmente, sia simbolicamente.
E, intanto, sotto il cielo domina graniticamente il pensiero unico del consenso di massa. Oltre a garantire permanentemente la cattività simbolica del gregge degli ultimi uomini, esso predica in maniera compulsiva l'intrasformabilità del mondo, con il solo obbiettivo di renderlo tale, secondo lo schema della profezia che si autoadempie.
Bodo’s Project è un progetto di comunicazione “altra” per la creazione e la circolazione di scritti, foto e di video geneticamente sovversivi. La critica radicale per azzerare la società della merce; la decrescita, il primitivismo, la solidarietà per contrastare ogni forma di privatizzazione iniziando dall’acqua. Il piacere e la gioia di costruire una società dove tutti siano liberi ed uguali.
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giovedì 23 febbraio 2017
Alle origini della rivolta
Dichiarazione dell’avvocato Giuseppe Sotgiu nell’arringa difensiva per Giuseppe Battaglia al processo di appello della banda 22 ottobre:
L’azione di questi uomini non è permeata di quel tatticismo che invece è proprio dei partiti tradizionali, ma da quel bisogno che il giovane ha di vedere le cose più limpide e più chiare anche se per avventura sono eccessive, ecco la spiegazione di questi gruppi, gruppetti, gruppuscoli, una realtà della vita d’oggi che dobbiamo vedere però non nella luce del 416, dell’associazione a delinquere, ma attraverso la luce della nostra società in un periodo storico che indubbiamente è un periodo di passaggio da una civiltà a un’altra; comunque la si pensi, bisogna non guardare davanti a sé o intorno a sé per non comprendere che ci sono delle cose vecchie che devono finire e di fronte alle cose vecchie non possono esserci che le cose nuove che devono nascere e che stanno già nascendo. Questi giovani sono degli anticipatori forse, badate che sempre così è stato nella storia e che il confine fra l’ideale e colui che poi viene definito per l’efficienza della repressione “delinquente politico”, è un margine molto da poco e i delinquenti politici di oggi possono essere i governanti di domani e possono essere gli uomini che danno il loro nome alle statue e anche alle lapidi nelle carceri, non lo dimentichiamo, che questa è la realtà e voi giudici non mettetevi contro la realtà perché siete portatori di una luce e di una pace che è per il progresso degli uomini, e non già invece per la repressione e per ostacolare questa marcia in avanti. Ebbene se questo è il caso che ci occupa, è cioè la nascita di un gruppo, gruppetto, gruppuscolo in dissenso con le pratiche dei partiti ufficiali, o signori, cosa dobbiamo dire, che questa è associazione a delinquere?
(Tratto da: Controprocesso Rossi. Comitato di difesa dei compagni della 22 ottobre, ciclostilato marzo 1974)
L’azione di questi uomini non è permeata di quel tatticismo che invece è proprio dei partiti tradizionali, ma da quel bisogno che il giovane ha di vedere le cose più limpide e più chiare anche se per avventura sono eccessive, ecco la spiegazione di questi gruppi, gruppetti, gruppuscoli, una realtà della vita d’oggi che dobbiamo vedere però non nella luce del 416, dell’associazione a delinquere, ma attraverso la luce della nostra società in un periodo storico che indubbiamente è un periodo di passaggio da una civiltà a un’altra; comunque la si pensi, bisogna non guardare davanti a sé o intorno a sé per non comprendere che ci sono delle cose vecchie che devono finire e di fronte alle cose vecchie non possono esserci che le cose nuove che devono nascere e che stanno già nascendo. Questi giovani sono degli anticipatori forse, badate che sempre così è stato nella storia e che il confine fra l’ideale e colui che poi viene definito per l’efficienza della repressione “delinquente politico”, è un margine molto da poco e i delinquenti politici di oggi possono essere i governanti di domani e possono essere gli uomini che danno il loro nome alle statue e anche alle lapidi nelle carceri, non lo dimentichiamo, che questa è la realtà e voi giudici non mettetevi contro la realtà perché siete portatori di una luce e di una pace che è per il progresso degli uomini, e non già invece per la repressione e per ostacolare questa marcia in avanti. Ebbene se questo è il caso che ci occupa, è cioè la nascita di un gruppo, gruppetto, gruppuscolo in dissenso con le pratiche dei partiti ufficiali, o signori, cosa dobbiamo dire, che questa è associazione a delinquere?
(Tratto da: Controprocesso Rossi. Comitato di difesa dei compagni della 22 ottobre, ciclostilato marzo 1974)
UMANESIMO di Camillo Berneri
Umanesimo, va intesa in modo più largo del significato, che le è generalmente attribuito, di ritorno, filosofico e letterario, all'antico. Umanesimo è parola che riassume lo spirito del Rinascimento e significa, ancora e sopratutto, il culto dell'Uomo preso come base di ogni concezione estetica, etica e sociologica. L'umanesimo è, sostanzialmente, definito nella celebre formula di Terenzio “Homo sum: humani nihil a me alienum puto”, ossia «Sono uomo, e penso che niente di quel che è umano mi sia estraneo». Soltanto chi veda in ogni uomo l'uomo, soltanto costui è umanista. L'industriale cupido che nell'operaio non vede che l'operaio, l'economista che nel produttore non vede che il produttore, il politico che nel cittadino non vede che l'elettore: ecco dei tipi umani che sono lontani da una concezione umanista della vita sociale. Egualmente lontani da quella concezione sono quei rivoluzionari che sul piano classista riproducono le generalizzazioni arbitrarie che nel campo nazionalista hanno nome xenofobia.
Il rivoluzionario umanista è consapevole della funzione evolutiva del proletariato, è con il proletariato perché questa classe è oppressa, sfruttata e avvilita, ma non cade nell'ingenuità populista di attribuire al proletariato tutte le virtù e alla borghesia tutti i vizi, e la stessa borghesia egli comprende nel suo sogno di umana emancipazione. Pëtr Kropotkin diceva: «Lavorando ad abolire la divisione fra padroni e schiavi, noi lavoriamo alla felicità degli uni e degli altri, alla felicità dell'umanità». L'emancipazione sociale strappa il bambino povero alla strada e strappa il bambino benestante alla sua vita di fiore di serra, strappa il giovane proletario all'abbrutimento del lavoro eccessivo e strappa il giovane signore alle oziose mollezze e alle noie corruttrici, strappa la donna del popolo alla precoce vecchiaia e alla conigliesca fecondità e strappa la dama alle fantasticherie ossessionanti che nell'ozio hanno il loro vivaio e sboccano nell'adulterio o nel suicidio. Ogni classe ha una propria patologia perché ogni ambiente sociale ha propri germi corruttori. Vittima delle mancate cure materne è il paria precocemente caduto nella delinquenza, e vittima dell'untuoso servilismo e dei comodi eccessivi è il figlio di papà che si crede tutto lecito: dalla seduzione della sartina allo chèque falso. Il ladruncolo e il bancarottiere, la prostituta e la signora strangolata dal danseur mondain non sono che aspetti di un unico male, non sono che diverse dissonanze di un'unica disarmonia sociale.
L'umanesimo si è affermato nell'anarchismo come preoccupazione individualista di garantire lo sviluppo delle personalità e come comprensione, nel sogno di emancipazione sociale, di tutte le classi, di tutti i ceti, ossia di tutta l'umanità. Tutti gli uomini hanno bisogno di essere redenti da altri e da se stessi. Il proletariato è stato, è e sarà più che mai il fattore storico di questa universale emancipazione. Ma lo sarà tanto più quanto meno sarà fuorviato dalla demagogia che lo indora e ne diffida, che lo dice Dio per trattarlo da pecora, che gli pone sul capo una corona di cartapesta e lo lusinga perfidiosamente per conservare, o per conquistare, su di lui il dominio.
Il problema sociale, da classista, si farà problema umano. Allora la libertà sarà in marcia e la giustizia sarà già concretata nelle sue principali categorie. La rivoluzione sociale, classista nella sua genesi, è umanista nei suoi processi evolutivi. Chi non capisce questa verità è un idiota. Chi la nega è un aspirante dittatore.
Il rivoluzionario umanista è consapevole della funzione evolutiva del proletariato, è con il proletariato perché questa classe è oppressa, sfruttata e avvilita, ma non cade nell'ingenuità populista di attribuire al proletariato tutte le virtù e alla borghesia tutti i vizi, e la stessa borghesia egli comprende nel suo sogno di umana emancipazione. Pëtr Kropotkin diceva: «Lavorando ad abolire la divisione fra padroni e schiavi, noi lavoriamo alla felicità degli uni e degli altri, alla felicità dell'umanità». L'emancipazione sociale strappa il bambino povero alla strada e strappa il bambino benestante alla sua vita di fiore di serra, strappa il giovane proletario all'abbrutimento del lavoro eccessivo e strappa il giovane signore alle oziose mollezze e alle noie corruttrici, strappa la donna del popolo alla precoce vecchiaia e alla conigliesca fecondità e strappa la dama alle fantasticherie ossessionanti che nell'ozio hanno il loro vivaio e sboccano nell'adulterio o nel suicidio. Ogni classe ha una propria patologia perché ogni ambiente sociale ha propri germi corruttori. Vittima delle mancate cure materne è il paria precocemente caduto nella delinquenza, e vittima dell'untuoso servilismo e dei comodi eccessivi è il figlio di papà che si crede tutto lecito: dalla seduzione della sartina allo chèque falso. Il ladruncolo e il bancarottiere, la prostituta e la signora strangolata dal danseur mondain non sono che aspetti di un unico male, non sono che diverse dissonanze di un'unica disarmonia sociale.
L'umanesimo si è affermato nell'anarchismo come preoccupazione individualista di garantire lo sviluppo delle personalità e come comprensione, nel sogno di emancipazione sociale, di tutte le classi, di tutti i ceti, ossia di tutta l'umanità. Tutti gli uomini hanno bisogno di essere redenti da altri e da se stessi. Il proletariato è stato, è e sarà più che mai il fattore storico di questa universale emancipazione. Ma lo sarà tanto più quanto meno sarà fuorviato dalla demagogia che lo indora e ne diffida, che lo dice Dio per trattarlo da pecora, che gli pone sul capo una corona di cartapesta e lo lusinga perfidiosamente per conservare, o per conquistare, su di lui il dominio.
Il problema sociale, da classista, si farà problema umano. Allora la libertà sarà in marcia e la giustizia sarà già concretata nelle sue principali categorie. La rivoluzione sociale, classista nella sua genesi, è umanista nei suoi processi evolutivi. Chi non capisce questa verità è un idiota. Chi la nega è un aspirante dittatore.
giovedì 16 febbraio 2017
Il dissenso come rifiuto della autorità
Il gesto tipico del dissenso come figura del sentire altrimenti coincide con il quel dire-di-no che rivela la mancata adesione del soggetto all'ordine reale e simbolico e, perciò stesso, la sua potenziale contestazione. E', per sua essenza, interruzione individuale del consenso diffuso ed egemonico, messa in discussione di un ordinamento reale, ideale, valoriale che si pone come dominante, esclusivo o, comunque, maggioritario.
Questo non significa, tuttavia, che il gesto del dissentire si esaurisca nella figura del rifiuto e dell'opposizione: esso, al contrario, nega per affermare e destituisce per ricostruire.
Il rifiuto è il primo momento della dialettica del dissenso, il cui ulteriore sviluppo, in positivo, consiste nell'affermazione del negato, dell'ostacolato, del represso, del disatteso e dell'ignorato, proposti come correttivo o come alternativa rispetto a ciò che c'è.
A differenza del consenso, che può essere passivo e strutturarsi nella forma dell'inerte accettazione, ricevendo più propriamente il nome di assenso, il dissenso si dà solo come attivo e affermativo. Ed è quanto più manca nel nostro tempo del consenso di massa e dell'omologazione generalizzata, ove tutti pensano e sentono il medesimo.
Una considerazione storico-filosofica della figura del dissenso non può non comportare, in pari tempo, un'esplorazione critica dell'uniformazione globale delle coscienze che si sta oggi registrando nell'orizzonte del nuovo pensiero unico e del falso pluralismo democratico della civiltà occidentale.
Quest'ultimo moltiplica e frammenta il messaggio, affinché sia occultata quella sua natura intimamente totalitaria che nega in partenza ogni diritto a dissentire e a pensare altrimenti.
Questo non significa, tuttavia, che il gesto del dissentire si esaurisca nella figura del rifiuto e dell'opposizione: esso, al contrario, nega per affermare e destituisce per ricostruire.
Il rifiuto è il primo momento della dialettica del dissenso, il cui ulteriore sviluppo, in positivo, consiste nell'affermazione del negato, dell'ostacolato, del represso, del disatteso e dell'ignorato, proposti come correttivo o come alternativa rispetto a ciò che c'è.
A differenza del consenso, che può essere passivo e strutturarsi nella forma dell'inerte accettazione, ricevendo più propriamente il nome di assenso, il dissenso si dà solo come attivo e affermativo. Ed è quanto più manca nel nostro tempo del consenso di massa e dell'omologazione generalizzata, ove tutti pensano e sentono il medesimo.
Una considerazione storico-filosofica della figura del dissenso non può non comportare, in pari tempo, un'esplorazione critica dell'uniformazione globale delle coscienze che si sta oggi registrando nell'orizzonte del nuovo pensiero unico e del falso pluralismo democratico della civiltà occidentale.
Quest'ultimo moltiplica e frammenta il messaggio, affinché sia occultata quella sua natura intimamente totalitaria che nega in partenza ogni diritto a dissentire e a pensare altrimenti.
SEARCH AND DESTROY The Stooges
col cuore gonfio di Napalm.
Sono il figlio vagabondo della bomba atomica.
Sono il bambino dimenticato del mondo,
quello che cerca e distrugge
Amore ti prego , mi devi aiutare,
qualcuno deve salvare la mia anima.
Bambina, entra nel mio cervello
ma fai attenzione cara,
io uso la tecnologia.
Ti manca il tempo per chiedere scusa,
il cuore della notte è fatto di radiazioni solari.
Amore nel fuoco della battaglia
Amore, devo essere diventato cieco.
Qualcuno deve salvarmi l’anima,
cara, prova a entrare nel mio cervello!
Sono il bambino dimenticato del mondo,
l’unico che cerca soltanto di distruggere.
Cerca e distrugge…
Alexandre Jacob l’anarchico francese
Nell’immaginario della società contemporanea la figura del ladro è stata associata quasi esclusivamente al crimine e più specificamente al reato di appropriazione indebita. Il ladro è l’usurpatore di beni che non gli appartengono, colui che contro la legge sottrae un bene mobile in danno del suo legittimo proprietario. Ma non è stato sempre o necessariamente così, almeno non per Alexandre Jacob, l’anarchico francese che ha fatto del furto uno strumento per dare dignità a tutti coloro che la società dell’opulenza aveva negato, mettendoli al margine e privandoli dei mezzi per il semplice sostentamento, riducendoli alla miseria e derubandoli secondo Jacob stesso.
Alexandre Marius Jacob nasce a Marsiglia nel settembre del 1879 da una famiglia umile, il padre marinaio di professione li trasmette da subito la passione per i viaggi e le avventure, a 11 anni si imbarca come mozzo sul bastimento Thibet, a 13 si ritrova in Australia dove impara l’inglese e per fame anche a rubare. Qualche anno dopo parte da Sidney con una baleniera che subito dopo si rivela una nave pirata, il cui equipaggio assalta mercantili uccidendo chi oppone resistenza. Al primo scalo scappa e rientra a Marsiglia. Jacob ancora giovane comincia ad interessarsi al pensiero anarchico, legge Proudhon, Kropotkin, Reclus, Malatesta, avvicinandosi così ai circoli anarchici e operai francesi. A 20 anni convinto definitivamente dell’ingiustizia del mondo dichiara la sua personale guerra alla società borghese, e con alcuni suoi compagni fonda il gruppo Les travailleurs de la nuit (I lavoratori della notte). In soli tre anni, dal 1900 al 1903 Jacob e la sua banda mettono a segno oltre 150 colpi, tra furti e rapine. La banda colpisce in particolar modo baroni, industriali, banchieri, sfruttatori delle classi meno abbienti e i proventi vengono utilizzati per finanziare i circoli anarchici e operai, i disoccupati, gli emarginati. Jacob era un ladro con le sue illusioni egualitarie. Un anarchico con i suoi sogni, ma con una particolarità: "quest’uomo, insieme ai suoi compagni apriva veramente le casseforti dei ricchi e con questo semplice fatto dimostrava realizzabile un attacco, sia pure parziale, alla ricchezza sociale”. Jacob oltre ad essere un vero artista del furto, sperimentando nuove tecniche, nuovi travestimenti e compiendo azioni a dir poco spettacolari, proponeva sottraendo ai ricchi una nuovo modello di lotta politica. Un’azione diretta contro l’avidità umana e le ingiustizie sociali da essa generate, un’azione però che risparmiava chi avesse una qualche utilità sociale. Non è un caso che tra le sue vittime non comparissero mai medici, insegnanti o scrittori: le persone utili alla società non devono essere derubate, ripeteva ai suoi, i nostri obbiettivi sono immancabilmente i pasciuti parassiti che questa società dissanguano e depredano.
Dopo centinaia di imprese rocambolesche e furti leggendari, - togliere ai ricchi per dare ai poveri - nel 1903 Jacob e la sua banda vengono arrestati.
Alexandre Marius Jacob nasce a Marsiglia nel settembre del 1879 da una famiglia umile, il padre marinaio di professione li trasmette da subito la passione per i viaggi e le avventure, a 11 anni si imbarca come mozzo sul bastimento Thibet, a 13 si ritrova in Australia dove impara l’inglese e per fame anche a rubare. Qualche anno dopo parte da Sidney con una baleniera che subito dopo si rivela una nave pirata, il cui equipaggio assalta mercantili uccidendo chi oppone resistenza. Al primo scalo scappa e rientra a Marsiglia. Jacob ancora giovane comincia ad interessarsi al pensiero anarchico, legge Proudhon, Kropotkin, Reclus, Malatesta, avvicinandosi così ai circoli anarchici e operai francesi. A 20 anni convinto definitivamente dell’ingiustizia del mondo dichiara la sua personale guerra alla società borghese, e con alcuni suoi compagni fonda il gruppo Les travailleurs de la nuit (I lavoratori della notte). In soli tre anni, dal 1900 al 1903 Jacob e la sua banda mettono a segno oltre 150 colpi, tra furti e rapine. La banda colpisce in particolar modo baroni, industriali, banchieri, sfruttatori delle classi meno abbienti e i proventi vengono utilizzati per finanziare i circoli anarchici e operai, i disoccupati, gli emarginati. Jacob era un ladro con le sue illusioni egualitarie. Un anarchico con i suoi sogni, ma con una particolarità: "quest’uomo, insieme ai suoi compagni apriva veramente le casseforti dei ricchi e con questo semplice fatto dimostrava realizzabile un attacco, sia pure parziale, alla ricchezza sociale”. Jacob oltre ad essere un vero artista del furto, sperimentando nuove tecniche, nuovi travestimenti e compiendo azioni a dir poco spettacolari, proponeva sottraendo ai ricchi una nuovo modello di lotta politica. Un’azione diretta contro l’avidità umana e le ingiustizie sociali da essa generate, un’azione però che risparmiava chi avesse una qualche utilità sociale. Non è un caso che tra le sue vittime non comparissero mai medici, insegnanti o scrittori: le persone utili alla società non devono essere derubate, ripeteva ai suoi, i nostri obbiettivi sono immancabilmente i pasciuti parassiti che questa società dissanguano e depredano.
Dopo centinaia di imprese rocambolesche e furti leggendari, - togliere ai ricchi per dare ai poveri - nel 1903 Jacob e la sua banda vengono arrestati.
giovedì 9 febbraio 2017
JEAN BAUDRILLARD e la scena integrale del potere
Il potere ha ormai preso le sembianze di una scena integrale alla quale nessuno può assistere senza partecipare. Lo spettatore è anzi il figurante di uno show per cui non si staccano biglietti né si prenota la poltrona, essendo spettacolo la forma attuale del mondo. Sia che prevalga in noi il rifiuto della politica oppure la lotta e l’indignazione civile, gravitiamo intorno allo stesso nodo: l’esibizione sfrenata del potere come messa-in-scena. Ma se ciò è avvenuto, forse qualcosa era già attivo in noi all’alba della spettacolarizzazione della politica; forse v’è un fatto antecedente che riguarda la natura medesima degli spettatori. Il problema attuale della classe politica consiste nel fatto che non si tratta più di governare, ma di mantenere l’allucinazione del potere e ciò esige dei talenti del tutto particolari. Produrre il potere come illusione è come manovrare capitali circolanti, come danzare davanti a uno specchio. E se accade che non c’è più il potere, la ragione è nel fatto che tutta la società è passata alla servitù volontaria. Ma ciò è avvenuto in una strana maniera: non più come volontà di essere servi, bensì come ciascuno divenuto servo della propria volontà. In una somma di volere, di potere, di sapere, d’agire, di riuscire, ognuno si è piegato a tutto questo, e il colpo sul potere è perfettamente riuscito: ognuno di noi è divenuto un sistema asservito, auto-asservito, poiché ha investito tutta la sua libertà nella volontà folle di trarre il massimo dallo sfruttamento di se stesso.
Nella distesa della modernità costellata di individui servi-potenti l’assassinio ininterrotto del potere insiste sul sorpasso della sua dimensione verticale e ascetica; è questo uno degli effetti collaterali della fine delle gerarchie politiche e della trascendenza teologica. La spettacolarizzazione della politica ne è il frutto maturo, necessario per convocare la rappresentazione iterata del potere nel vuoto della propria manifestazione. Se di questo si tratta, allora il potere è ormai una funzione rappresentativa “vuota”, una casella che solo il servo volontario più ambizioso può coprire e modellare a suo piacimento: «A partire dal momento in cui il potere non è più l’ipostasi, la trasfigurazione della servitù, e che questa è integralmente diffusa nella società, allora non gli resta che crepare come una funzione inutile».
Così l’uomo politico più brillante, il supremo maestro della servitù volontaria, ci supera per auto-agonismo; questi ci porta con sé nello schianto eclatante del potere i cui bagliori sono oggi il nostro unico “spettacolo”.
Nella distesa della modernità costellata di individui servi-potenti l’assassinio ininterrotto del potere insiste sul sorpasso della sua dimensione verticale e ascetica; è questo uno degli effetti collaterali della fine delle gerarchie politiche e della trascendenza teologica. La spettacolarizzazione della politica ne è il frutto maturo, necessario per convocare la rappresentazione iterata del potere nel vuoto della propria manifestazione. Se di questo si tratta, allora il potere è ormai una funzione rappresentativa “vuota”, una casella che solo il servo volontario più ambizioso può coprire e modellare a suo piacimento: «A partire dal momento in cui il potere non è più l’ipostasi, la trasfigurazione della servitù, e che questa è integralmente diffusa nella società, allora non gli resta che crepare come una funzione inutile».
Così l’uomo politico più brillante, il supremo maestro della servitù volontaria, ci supera per auto-agonismo; questi ci porta con sé nello schianto eclatante del potere i cui bagliori sono oggi il nostro unico “spettacolo”.
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critica radicale,
Jean Baudrillard
NEVAI di Antonia Pozzi
Io fui nel giorno alto che vive
oltre gli abeti,
io camminai su campi e monti
di luce -
Traversai laghi morti - ed un segreto
canto mi sussurravano le onde
prigioniere -
passai su bianche rive, chiamando
a nome le genziane
sopite -
Io sognai nella neve di un'immensa
città di fiori
sepolta -
io fui sui monti
come un irto fiore -
e guardavo le rocce,
gli alti scogli
per i mari del vento -
e cantavo fra me di una remota
estate, che coi suoi amari
rododendri
m'avvampava nel sangue -
oltre gli abeti,
io camminai su campi e monti
di luce -
Traversai laghi morti - ed un segreto
canto mi sussurravano le onde
prigioniere -
passai su bianche rive, chiamando
a nome le genziane
sopite -
Io sognai nella neve di un'immensa
città di fiori
sepolta -
io fui sui monti
come un irto fiore -
e guardavo le rocce,
gli alti scogli
per i mari del vento -
e cantavo fra me di una remota
estate, che coi suoi amari
rododendri
m'avvampava nel sangue -
Sesso e Armonia di Charles Fourier
La civiltà alimenta l'opposizione tra il corpo e l'anima, lo spirito e la carne e la maggior parte delle persone sono tormentate dalla contraddizione fra il desiderio e il piacere, il sentimento e il sesso. Questa lacerazione scompare in Armonia, dove la sessualità, praticata in virtù dell'attrazione passionale e sulla base del principio panteista delle analogie, permette una comunione mistica con lo spirito di Dio. Il piacere degli uomini permea la totalità del corpo mistico del cosmo; il godimento umano nutre gli astri, i pianeti, le anime dei morti, il meccanismo del vivente, dai fiori agli animali.
In base al principio fourierista che nessuna passione è cattiva e che ci sono solo usi cattivi, il nuovo mondo amoroso permette la realizzazione di qualunque fantasia lubrica. La monogamia, il matrimonio, la fedeltà, la procreazione, la coabitazione, questi residui del vecchio mondo possono, ovviamente, continuare a esistere, perché niente è vietato in Armonia; ma non in maniera esclusiva, perché ognuno vivrà successivamente, simultaneamente, e in durate variabili, le esperienze che vorrà scegliere, nessuna delle quali è reprensibile o repressa.
Con Fourier, ciò che comunemente si chiama bordello, scambismo, orge, adulterio, scambi di coppie, lesbismo, esibizionismo, voyeurismo, feticismo, sadismo, masochismo, sadomasochismo, saffismo, incesto, gerontofilia, triolismo, tutti vizi in Civiltà, diventano virtù in Armonia. Questi vizi vengono ribattezzati: celadonismo, angelicato, comunità momentanea, amore potenziale, orge di esibizione o orge dell'indomani, fantasie lubriche, poligamia d'incesto, prova d'amore amicale, fedeltà composita potenziale, amore pivotale, passione farfallante, simpatie onigame, fedeltà trascendente, comaniaca, onniginia; tra le manie erotiche si trovano i gratta-talloni, gioco coi capelli, sculacciatori, vecchi pupu, flagellisti.
Tutto questo rappresenta il contorno di Armonia questo nuovo mondo amoroso - libero.
In base al principio fourierista che nessuna passione è cattiva e che ci sono solo usi cattivi, il nuovo mondo amoroso permette la realizzazione di qualunque fantasia lubrica. La monogamia, il matrimonio, la fedeltà, la procreazione, la coabitazione, questi residui del vecchio mondo possono, ovviamente, continuare a esistere, perché niente è vietato in Armonia; ma non in maniera esclusiva, perché ognuno vivrà successivamente, simultaneamente, e in durate variabili, le esperienze che vorrà scegliere, nessuna delle quali è reprensibile o repressa.
Con Fourier, ciò che comunemente si chiama bordello, scambismo, orge, adulterio, scambi di coppie, lesbismo, esibizionismo, voyeurismo, feticismo, sadismo, masochismo, sadomasochismo, saffismo, incesto, gerontofilia, triolismo, tutti vizi in Civiltà, diventano virtù in Armonia. Questi vizi vengono ribattezzati: celadonismo, angelicato, comunità momentanea, amore potenziale, orge di esibizione o orge dell'indomani, fantasie lubriche, poligamia d'incesto, prova d'amore amicale, fedeltà composita potenziale, amore pivotale, passione farfallante, simpatie onigame, fedeltà trascendente, comaniaca, onniginia; tra le manie erotiche si trovano i gratta-talloni, gioco coi capelli, sculacciatori, vecchi pupu, flagellisti.
Tutto questo rappresenta il contorno di Armonia questo nuovo mondo amoroso - libero.
giovedì 2 febbraio 2017
La fine del mercato e dello Stato
La crisi non è solamente economica. Quando non c'è più denaro, non funziona più niente. Nel corso del XX secolo, per estendere la schiera della valorizzazione del valore, il capitalismo ha inglobato settori sempre più ampi della vita: dall'educazione dei bambini alla custodia degli anziani, dalla cucina alla cultura, dal riscaldamento ai trasporti. Si è visto un progresso, in nome dell'efficacia o della libertà degli individui affrancati dai legami familiari e comunitari. Ora se ne vedono le conseguenze: tutto va a rotoli se non è finanziabile. E non è solo dal denaro che dipende tutto, ma peggio ancora: dal credito. Quando la riproduzione reale è al traino del capitale fittizio, quando le imprese, le istituzioni e perfino Stati interi sopravvivono solo grazie alle loro quotazioni in borsa, ogni crisi finanziaria - lungi dal riguardare solamente quelli che giocano in borsa - finisce per affliggere moltissimi uomini nella loro vita più intima e quotidiana.
Le diverse crisi - economica, ecologica, energetica - non sono semplicemente contemporanee o collegate: sono l'espressione di una crisi fondamentale, quella della forma-valore, della forma astratta, vuota, che si impone ad ogni contenuto in una società basata sul lavoro astratto e sulla rappresentazione nel valore di una merce. E' tutto un modo di vita, di produzione e pensiero, vecchio di almeno 250 anni, a non sembrare più capace di assicurare la sopravvivenza dell'umanità. Forse non ci sarà un venerdì nero come nel 1929, un giorno del giudizio. Ma ci sono buone ragioni per pensare che stiamo vivendo la fine di una lunga epoca storica: l'epoca in cui l'attività produttrice e i prodotti non servono a soddisfare i bisogni, ma ad alimentare il ciclo incessante del lavoro che valorizza il capitale e del capitale che impiega il lavoro. La merce e il lavoro, il denaro e la regolazione statale, La concorrenza e il mercato: dietro le crisi finanziarie che si ripetono da oltre 20 anni, ogni volta più gravi, si profila la crisi di tutte queste categorie. Che è sempre bene tenerlo a mente non fanno parte ovunque della esistenza umana. Ma la fine del lavoro, del vendere, del vendersi e del comprarlo, la fine del mercato e dello Stato - tutte categorie che non sono in alcun modo naturali e che un giorno scompariranno, nello stesso modo in cui esse hanno sostituito altre forme di vita sociale - è un processo di lunga durata. La crisi attuale non ne è né l'inizio né la conclusione. bensì una importante tappa.
IL SENSO DELLA VITA dei Monty Python
Premio speciale della giuria a Cannes, il migliore film dei Monty Python Il Senso della Vita è un insieme di sketch sulle varie età della vita. Il film è preceduto da un cortometraggio che racconta di un gruppo di vecchi impiegati di una compagnia finanziaria londinese, la CPA, che, spinti dalla voglia di liberarsi dal giogo della nuova tirannica direzione aziendale, si ribella ai nuovi giovani amministratori e assume il controllo della società in seguito ad una sommossa violenta. Una volta conquistata l’azienda, questi allegri e grintosi vecchietti si trasformano in pirati; tirano su l’ancora del palazzo e virano verso i flutti della finanza internazionale, a caccia di centri finanziari da assalire e saccheggiare. Così giungono a destinazione e arrembanti invadono i grattacieli delle grandi multinazionali, sparando archivi come se fossero palle di cannone, usando pale di ventilatori come sciabole, fermacarte come pugnali.
The Meaning of Life (Il senso della vita) raccoglie diversi sketch: su perché siamo qui e qual è il significato del nostro esistere. C'è assolutamente tutto quello che avreste sempre voluto vedere al cinema: una partoriente maltrattata da medici insensibili e idioti, taglienti sberleffi al protestantesimo, un coro di bimbi cattolici che intonano angelici: "I pagani spruzzano il loro sperma / sul suolo polveroso / Dio li punirà / per ogni sperma che viene sparato invano"… e ancora, la lezione pratica di educazione sessuale in cui gli studenti sono annoiatissimi, l'espianto di organi da donatore vivo, le frecciate contro l'Esercito Inglese, la morte bergmaniana che si trova alle prese con i mortali più idioti d'Inghilterra … fino alla sequenza più celebre, spettacolare e rivoltante del film: quella di Mr. Creosote, un volgare e irritante riccone dalla smisurata pancia che, in un ristorante chic di Londra, rigurgita l'inverosimile, e infine s'ingozza fino ad esplodere ricoprendo tutte le raffinate dame e i signorotti dell'alta società di budella e vomito.
La pellicola ironizza su tutto, in modo feroce e surreale. Prende di mira il mondo della finanza e delle multinazionali; le guerre coloniali europee, l’esercito e la vita di caserma; l’assistenza sanitaria e i medici; la Chiesa Cattolica, evidenziando l’assurdità di alcune sue fissazioni legate alla vita sessuale degli individui; quella Protestante; l’educazione sessuale a scuola, i professori e gli alunni; la gastronomia; i camerieri, i turisti, la donazione di organi e la pena capitale.
Si accanisce contro ogni istituzione, come la scuola, la televisione, la famiglia la Chiesa e lo Stato.
È un’opera di grande fantasia ed inventiva, che vive di paradossi, di umorismo e satira intelligente, graffiante, dissacrante, nonostante le gag demenziali. È un film trasgressivo, provocante, divertente e terribilmente attuale, girato con indubbia sapienza e critica in modo tremendamente pungente, affrontando molti tabù e tanti temi delicati che spesso vengono banalizzati o addirittura evitati, a causa della mentalità arcaica e chiusa, che ancora non è stata repressa.
“Il senso della vita“, di suo, è un excursus folle, creativo ed allergico alle regole sulla vita di un uomo dalla sua nascita fino alla morte, segnata da sacrifici, dolore e compromessi ai quali si fatica a trovare un senso; forse perché un senso non c’è mai stato, o forse perchè è più semplice di quanto si pensi.
È singolare che il termine “spam” (la posta elettronica non desiderata), prenda origine da uno sketch comico dei Monty Python. In un locale di ristorazione, ogni pietanza proposta dalla cameriera è a base di “spam” (carne in scatola piuttosto economica distribuita negli Stati Uniti e in Gran Bretagna). Man mano che lo sketch avanza, l’insistenza della cameriera nel proporre piatti con spam (“uova e spam, uova pancetta e spam, spam uova e spam”, e così via) si contrappone alla riluttanza del cliente; il tutto nel crescendo di un coro, inneggiante allo spam, da parte di alcuni vichinghi seduti nel locale.
The Meaning of Life (Il senso della vita) raccoglie diversi sketch: su perché siamo qui e qual è il significato del nostro esistere. C'è assolutamente tutto quello che avreste sempre voluto vedere al cinema: una partoriente maltrattata da medici insensibili e idioti, taglienti sberleffi al protestantesimo, un coro di bimbi cattolici che intonano angelici: "I pagani spruzzano il loro sperma / sul suolo polveroso / Dio li punirà / per ogni sperma che viene sparato invano"… e ancora, la lezione pratica di educazione sessuale in cui gli studenti sono annoiatissimi, l'espianto di organi da donatore vivo, le frecciate contro l'Esercito Inglese, la morte bergmaniana che si trova alle prese con i mortali più idioti d'Inghilterra … fino alla sequenza più celebre, spettacolare e rivoltante del film: quella di Mr. Creosote, un volgare e irritante riccone dalla smisurata pancia che, in un ristorante chic di Londra, rigurgita l'inverosimile, e infine s'ingozza fino ad esplodere ricoprendo tutte le raffinate dame e i signorotti dell'alta società di budella e vomito.
La pellicola ironizza su tutto, in modo feroce e surreale. Prende di mira il mondo della finanza e delle multinazionali; le guerre coloniali europee, l’esercito e la vita di caserma; l’assistenza sanitaria e i medici; la Chiesa Cattolica, evidenziando l’assurdità di alcune sue fissazioni legate alla vita sessuale degli individui; quella Protestante; l’educazione sessuale a scuola, i professori e gli alunni; la gastronomia; i camerieri, i turisti, la donazione di organi e la pena capitale.
Si accanisce contro ogni istituzione, come la scuola, la televisione, la famiglia la Chiesa e lo Stato.
È un’opera di grande fantasia ed inventiva, che vive di paradossi, di umorismo e satira intelligente, graffiante, dissacrante, nonostante le gag demenziali. È un film trasgressivo, provocante, divertente e terribilmente attuale, girato con indubbia sapienza e critica in modo tremendamente pungente, affrontando molti tabù e tanti temi delicati che spesso vengono banalizzati o addirittura evitati, a causa della mentalità arcaica e chiusa, che ancora non è stata repressa.
“Il senso della vita“, di suo, è un excursus folle, creativo ed allergico alle regole sulla vita di un uomo dalla sua nascita fino alla morte, segnata da sacrifici, dolore e compromessi ai quali si fatica a trovare un senso; forse perché un senso non c’è mai stato, o forse perchè è più semplice di quanto si pensi.
È singolare che il termine “spam” (la posta elettronica non desiderata), prenda origine da uno sketch comico dei Monty Python. In un locale di ristorazione, ogni pietanza proposta dalla cameriera è a base di “spam” (carne in scatola piuttosto economica distribuita negli Stati Uniti e in Gran Bretagna). Man mano che lo sketch avanza, l’insistenza della cameriera nel proporre piatti con spam (“uova e spam, uova pancetta e spam, spam uova e spam”, e così via) si contrappone alla riluttanza del cliente; il tutto nel crescendo di un coro, inneggiante allo spam, da parte di alcuni vichinghi seduti nel locale.
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Monthy Python il senso della vita
L’anarchia di Achille Vittorio Pini
“Lo Stato avrà ragione di esistere ed esisterà fintantoché rimarrà intatta la proprietà individuale, causa prima di tutti i mali che corrompono la società attuale, quindi i nostri sforzi saranno rivolti alla sua completa distruzione senza di cui riuscirà vano ogni nostro desiderio di miglioramento e rimarremo continuamente gli schiavi di un padrone, non importa se bianco, rosso o nero”. Così scrive Vittorio Pini su “Il Pugnale”, giornale che egli stampa a Parigi alla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento e che dura appena il tempo di due numeri. Con i capelli e gli occhi neri, il viso smunto, nasce a Reggio Emilia trenta anni prima da una famiglia poverissima, e ancora ragazzino vede morire di miseria sei fratelli e il padre garibaldino. Dodicenne lavora già in tipografia e lì – a contatto con giornali repubblicani e internazionalisti reggiani, come “La Minoranza” e “L’Iride” – comincia a interessarsi di politica e ad avvicinarsi alle idee democratiche-radicali. Si trasferisce prima a Milano, dove svolge vari lavori, dal tipografo al pompiere, dal commerciante di vini allo scrivano, poi, dal 1886, in Svizzera e, infine, in Francia. A Parigi le sue idee sono ormai assai chiare: alla fine di una riunione alla quale partecipano militanti anarchici da diverse parti d’Europa vengono raccolti, come è d’uso, fondi per la propaganda, ma con magri risultati. Pini, allora, ben sapendo che per fare attività rivoluzionaria sono necessari non pochi denari, esclama: «se noi non li abbiamo, li ruberemo!». Egli fa parte di quegli anarchici convinti che l’espropriazione – o «riappropriazione» – sia un diritto, se non un dovere, e che la rivoluzione sia l’addizione di atti individuali di ribellione che contribuiscono a demolire il sistema. Dà vita al gruppo de Gli Intransigenti di Parigi e Londra, che si confonde con altri raggruppamenti simili: Gli Introvabili, Gli straccioni di St. Denis, I Cosmopoliti di Montmartre, Gli Antipatrioti, La Pantera e altri. Nel n. 1 del bollettino rivoluzionario anarchico “Il Ciclone” del settembre 1887 Pini e i suoi si scagliano contro qualsiasi mediazione, in nome di tutte le sofferenze patite dal proletariato: «siamo esseri che tutti gl’insulti abbiamo sofferto: galera, prostituzione, fame, delitto». La sua battaglia alla borghesia è senza tregua: «Mezzi d’emancipazione: espropriazione, pugnale, dinamite, petrolio» questi per finire sono i sottotitoli di alcune delle sue pubblicazioni.
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