Una urbanizzazione veramente socialista – David Harvey
«Globalmente, abbiamo ceduto ai proprietari terrieri, ai padroni di casa, ai costruttori edili, ai capitalisti della finanza e allo Stato il nostro diritto individuale di creare una città conforme ai nostri desideri. Sono questi i principali attori che, prima di noi e al nostro posto, danno forma alle nostre città e, tramite queste, danno forma anche a noi stessi. Abbiamo rinunciato a questo diritto di darci forma da noi stessi, a vantaggio dei diritti del capitale a darci una forma.» Ora, sottolinea il geografo inglese con ironia, «i risultati non sono affatto soddisfacenti.» Ma secondo lui non basta più «capire dove e come siamo stati trasformati.» Pena lo sprofondare nella dilettazione morosa, antidoto irrisorio allo sconforto nato dall'impotenza, bisognerà anche cercare di «capire dove potremmo andare e ciò a cui potremmo aspirare collettivamente.» Tutto questo porta a riproporre ancora una volta l'eterna questione di cosa potrebbe essere «lo spazio urbano dopo il capitalismo». Domanda che era già stata posta, da Lefebvre. Tuttavia la risposta che dà quest'ultimo non soddisfa Harvey, che interpreta come una scappatoia il rifiuto di Lefebvre di «costruire un progetto utopico esplicitamente spazio-temporale», detto in altri termini di affrontare il problema della materializzazione di questo spazio alternativo, preferendo lasciare aperta la porta alla possibilità di sperimentare un'infinità di forme spaziali. Harvey sostiene che Lefebvre e quelli che l'hanno seguito hanno in tal modo «lasciato il concetto di utopia allo stadio di puro significato, privo di qualunque riferimento materiale al mondo reale.»; la risposta di Harvey è che «senza una visione dell'utopia, non c'è alcun modo di definire la destinazione verso cui ci vogliamo imbarcare.» Eppure neanche Harvey indica quale via seguire. Lungo tutti i suoi scritti ha ribadito che «un movimento che lotta per il socialismo senza porsi la questione dell'urbanizzazione del capitale è condannato fin dall'inizio al fallimento.» Giungerà a dire che «la costruzione di una forma di urbanizzazione veramente socialista è tanto necessaria a questa transizione verso il socialismo quanto lo fu la nascita della città capitalista per la sopravvivenza del capitalismo.» Ciononostante, non dice nulla circa cosa intenda concretamente e, se così si può dire, “sul terreno”, con questa “forma di urbanizzazione veramente socialista”. È logico che «pensare alle vie che conducono all'urbanizzazione socialista equivale a formulare le condizioni per l'alternativa socialista in sé.» Ma concludere che «è l'obiettivo che deve darsi la pratica rivoluzionaria» ci sembra nonostante tutto un po' poco. Assomiglia più a uno slogan che a un asse di ricerca. Forse è tempo di ripensare di nuovo, in ambito urbano come in quello della società nel suo insieme, a come potrebbe essere un'alternativa simile.
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