La rivoluzione sociale che il grado di decomposizione della società capitalista richiede, è possibile solo con la ricostituzione di un tessuto sociale costruito attorno alla centralità di un femminile totalmente da reinventare poiché la meccanica folle dell’economicismo l'ha completamente rimosso. Tra gli ultimi rantoli di una misoginia trionfante su cui è fondata la cultura patriarcale, il capitalismo chiude il ciclo delle civiltà dell'alienazione in quanto economia assoluta, dominio della merce sull'umano proletarizzato in cui la donna (di casa, in carriera o femminista) resta sempre il proletario del maschio poiché l'elemento femminile di ciascuno rimane prigioniero della supremazia accordata al soggetto virile. Anche di una donna che sa cavarsela si dice, del resto, che ha le palle, tesoro patetico messo fieramente in resta da chi porta i pantaloni e che consiste in una competitività senza limite e in un’ aggressività predatrice. Nel mondo gerarchico del dio denaro, un mitico fallo si erge sempre come lo scettro di un potere priapico orgasticamente impotente. L’autocostruzione di se, del proprio territorio psicogeografico di vita sfociante in un nuovo mondo, è l'unico giardino che ha senso coltivare, l'unica casa che vale la pena costruire, insieme ma ognuno a suo modo, come un dono per se stessi e per tutti quelli che si amano. Un uomo libero agisce per il piacere che attraverso la sua azione dona e riceve, incurante di ogni nuova morale che tenda a far rinascere le gerarchie sociali sulla base di un qualunque odioso senso di colpa, di una vergognosa debolezza, di un’intollerabile inferiorità, di un dover essere interiorizzato.
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