Fin dalle prime spedizioni capitalistiche occidentali la civilizzazione è stata rappresentata come una categoria purificante, una categoria che libera il culturalmente diverso dalle condizioni profane e immonde del vivere selvaggio e barbaro. Il processo inizia con il rimodellamento del territorio dell’altro attraverso i segni della civilizzazione: metodi di produzione, merci, gestione delle risorse e tutta la schiera di relazioni sociali che accompagnano questi processi e questi materiali sotto le insegne della provvidenza o del progresso. Il progresso assicura che l’avvento di questo ordine simbolico sia presentato come sommamente positivo e insindacabile nella sua generosità, mentre i segni dei regimi indigeni sono derisi, ridicolizzati, assimilati o distrutti. Si tende a classificare quelli che rifiutano l’assimilazione e/o resistono al proprio collocamento nel sistema appena introdotto come eccessi disfunzionali, pronti per essere eliminati. Che si usi il modello tradizionale dell’intervento militare o il più recente modello della richiesta di prodotti associata alle pressioni del mercato globale (sostituto dei moschetti e degli arieti), il risultato non cambia: la separazione tra primo e terzo mondo è mantenuta, la commistione culturale è strutturata per il vantaggio materiale e sociale del «civilizzato». Per quanto questa formula di imperialismo economico/culturale possa essere efficace e vincente, vi sono dei limiti che rendono ancora imperfetto il sistema. Innanzi tutto la frontiera terrestre è spazialmente limitata, e sta per esaurirsi. Al momento non c’è alcun luogo non soggetto all’invasione del capitalismo. Tutto quello che rimane sono, in verità, delle zone di contestazione (come nelle culture islamiche o maoiste). Il corpo invece non può essere adattato per riflettere i segni della civilizzazione, la carne in sé non è pienamente razionalizzata per approssimare al meglio le richieste ideali del capitale, in termini di adattabilità ed efficienza del mercato. Di conseguenza, relativamente a quest’ultima difficoltà, a partire dalla fine del XIX secolo il capitale ha posto una grande enfasi sul costruire un apparato che produca corpi congeniali ai suoi bisogni e alle sue priorità.
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