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giovedì 3 novembre 2022

THE BABY OF MACON – Peter Greenaway

The Baby of Macon, vita e morte d'un bambino divino, ambientato a meta del Seicento della Controriforma e del Barocco,  è costruito come    una  rappresentazione teatrale a cui assiste e partecipa un  pubblico aspro di gerarchie cattoliche, aristocratici, borghesi  e contadini: lo spettatore più importante  è un immaginario Cosimo de' Medici, giovinetto religiosissimo. Protagonista della rappresentazione è il bellissimo bambino nato miracolosamente da una vecchia durante un'epidemia di miseria, sterilità e disamore («la copulazione è una cosa seria che provoca soprattutto malattia e tristezza»). Adorato come simbolo della continuità della vita, 
il bambino viene sfruttato prima dalla famiglia, dalla sorella che vuol diventare attraverso di lui ricca e potente; poi viene sfruttato dalla Chiesa  cattolica, che  vuole accrescere attraverso di lui la propria potenza e ricchezza, che fa commercio persino dei fluidi corporali del bambino (saliva, lacrime, urine, muco, sangue); poi, una volta morto, viene
sfruttato dal popolo superstizioso, che a caccia di reliquie ne sbrana e smembra il piccolo corpo. La sorella che l'ha ucciso per gelosia morirà anche lei orribilmente, violentata da centinaia di soldati; sulla comunità, sterilità e fame torneranno a dominare come punizione. La composizione pittorica delle scene e l’uso prevalente dei colori rosso, oro e nero dona al film un aspetto affascinante e giustamente tenebroso. Come sempre, poi, Greenaway sviluppa il racconto attraverso lunghi e articolati piani sequenza e lunghi e apparentemente ingiustificati elenchi. Questo non va però a discapito dell’efficacia della narrazione, anche se di certo non rende il film adatto a tutti. Le due ore di durata si sentono senz’altro, ma la perfezione della messinscena è sorprendente e la commistione di linguaggi sul grande schermo di rado è arrivata a vette così alte. Un film oltraggioso, volgare, irriverente, blasfemo, disgustoso e senza dubbio folle e in alcuni momenti quasi esasperante, come nelle fasi iniziali con quel “He’s Coming” che quasi ti fa venire voglia di prendere a pugni lo schermo. La metafora sociale è spietata: la condanna, più che all'attuale sfruttamento dei bambini, è rivolta alla violenza ideologica e fisica dei poteri spirituali e temporali, ai modi mistificanti con cui quella violenza viene presentata e rappresentata.  



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