Tra il dicembre del 1893 ed i primi di gennaio del 1894, la polizia genovese spiccò numerosi mandati di cattura nei confronti di studenti, artisti, operai, etc., sotto l'imputazione di "associazione a delinquere", per essersi "in attuazione delle teorie anarchiche da essi professate, associati fra loro per commettere delitti contro la proprietà, le persone, la incolumità e l'amministrazione della giustizia". Gli imputati erano 35; Luigi Galleani ed Eugenio Pellaco erano imputati anche di essere i "capi" dell'associazione. Il processo si svolse presso il Tribunale di Genova dal 22 maggio sino all'8 giugno 1894. L'arringa del Gori (della quale riportiamo ampi stralci) fu pronunciata nell'udienza pomeridiana del 2 giugno; oltre alla sua, vi furono altre 20 arringhe in difesa dei numerosi imputati. Il Galleani fu condannato a 3 anni di reclusione, con un sesto di segregazione cellulare, oltre 2 anni di sorveglianza. Le altre condanne variarono dai 16 ai 6 mesi di reclusione. Soltanto 13 imputati vennero assolti.
Signori del Tribunale!
Dopo la fiammeggiante volata nel cielo della scienza e del sentimento di cotest'aquila del pensiero giuridico italiano, ch'è il mio amico e maestro Antonio Pellegrini, io sorgo commosso, e quasi sgomento, a parlare dal punto di vista sociale di cotesti uomini e di coteste idee, che la folla ingannata ed inconscia così poco osserva ed intende. Ma le mie povere parole, se pure trepidanti per la solennità del momento, zampilleranno dal cuore, ed avranno innanzi a voi il merito, unico forse, della schiettezza e della lealtà. E per dovere di lealtà permettetemi innanzitutto una constatazione ed una dichiarazione. Il comm. Siro Sironi, ex-questore di Genova ed oggi questore nella capitale, si compiacque denunziare me pure come associato a costoro per delinquere contro le persone, la proprietà, l'ordine pubblico, e per commettere tutte le birichinate di cui parla l'art.248 (1) del Codice Penale. La Camera di Consiglio presso il Tribunale di Genova, con un atto di relativa giustizia, mi prosciolse dall'accusa. Or bene, signori, io tengo a dichiararvi: che se il professare le nobili idee dell'anarchia è reato; - se il denunziare le iniquità sociali, analizzare le menzogne di una sedicente civiltà, flagellare ogni forma di tirannide e di sfruttamento, tenere gli occhi rivolti alle aurore dell'avvenire incorruttibile, portare tra le moltitudini dei miseri e degli oppressi la buona novella della liberazione e della giustizia è delitto - io pure di coteste colpe sono colpevole. Male faceste a prosciogliermi. E se le vostre leggi di rito ancora ve lo consentono, ebbene - io vi prego - schiudetemi i cancelli di quella gabbia, in quest'oggi onorata, e permettete a me pure di sedere tra codesti onestissimi malfattori, onde rispondere, come accusatore, alle strane accuse che oggi la società (per modo di dire) muove a costoro. Si è detto dall'accusa che questo non è processo alle idee. Io mantengo: sì! è processo alle idee. Anzi è qualcosa di più e di peggio: è processo alle intenzioni. Il Pubblico Ministero si è sbracciato a sostenere che oggi ognuno è libero di pensare come meglio crede. Ciò si dice, è vero; ma anche questa è null'altro che una di quelle tante menzogne convenzionali su cui si regge la vecchia e scricchiolante organizzazione sociale. Libero di pensare, come esso vuole, tra le impenetrabili pareti del suo cranio?.... Ma allora grazie tante della libertà delle vostre leggi, o accusatore pubblico. Il pensiero umano di cotesta concessione non ha bisogno. Esso esercita nel segreto d'ogni organismo ragionante i diritti imprescrittibili di un sovrano che non teme prepotenze di sospetti inquisitori o di pavide polizie. È adunque la libertà di propagarlo e di diffonderlo cotesto pensiero, che le leggi savie e libere (se possono esservi savie e libere leggi) devono consentire non solo, ma garantire. Ma voi, o egregio avversario, così non la intendete ed arrivate sino ad affermare che questo non è processo politico. Perché?.... Forse politica deve intendersi solo l'arte meschina di fare e disfare i ministeri? E non sentite, dagli infiniti regni del tempo, che tutta la questione politica è oggi questione essenzialmente sociale? Non vi accorgete che gli intelletti acuti e le anime assetate di idealità alte ed umane, mirando alla sostanza delle cose anziché all'arida forma, attendono alla grande opera di rinnovamento, attraverso le modeste e perenni constatazioni della ingiustizia economica che colpisce i lavoratori, i quali sono (piaccia o non piaccia al Pubblico Ministero) i soli produttori di tutta la ricchezza sociale. (segue)
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