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giovedì 17 novembre 2022

PIETRO GORI - Il cavalier errante

Nato a Messina (1865), Gori può tuttavia esser considerato un toscano a tutti gli effetti, dal momento che ancora in fasce si trasferì con la sua famiglia a Livorno - e qui compì gli studi liceali. Laureatosi in giurisprudenza a Pisa con una tesi su "La miseria ed il delitto", ricevette il 1° maggio 1890 il battesimo carcerario, arrestato quale principale organizzatore del giovane movimento operaio livornese. Processato, fu condannato ad un anno, sentenza poi revocata dalla Cassazione ma sufficiente per costringerlo a cambiare città. Trasferitosi a Milano, iniziò ad esercitare la professione di avvocato, continuamente ostacolato dall'Ordine degli Avvocati, che mal sopportava questo strano legale che non si limitava a difendere i malfattori, ma se ne faceva paladino nelle austere aule dei tribunali. Nel 1891 partecipò al congresso anarchico di Capolago, promosso da Malatesta e Cipriani per dare un impulso organizzativo al movimento rivoluzionario anarchico in Italia. Nell'agosto del 1892 partecipa al congresso di Genova, nel quale si opera la definitiva scissione tra socialisti riformisti ed anarchici: con Galleani, Gori sostiene un'aspra polemica con Prampolini e Turati sottolineando l'inconciliabilità delle rispettive posizioni. Nel '94, l'anno dei moti popolari in Sicilia e in Lunigiana repressi nel sangue dal governo, Gori si impegna tra l'altro a fondo nella difesa legale e politica dell'anarchico Sante Caserio, autore di un attentato mortale contro il presidente francese Sadi Carnot. Linciato da tutta la stampa moderata per la sua attività, Gori va in esilio a Lugano, quindi espulso anche dal Canton Ticino emigra altrove: in quest'occasione compone la sua poesia più nota, quell'Addio Lugano bella che è diventata un po' l'inno degli anarchici. Dopo periodi trascorsi in Germania, in Olanda, in Belgio e in Inghilterra (dove partecipò a molte manifestazioni con Malatesta), Gori si imbarcò come marinaio su un piroscafo diretto negli Stati Uniti: grazie alla sua buona conoscenza di varie lingue, iniziò un giro di conferenze dall'Atlantico al Pacifico, in italiano, inglese, francese. A Paterson, la cittadina dalla quale pochi anni dopo partirà Gaetano Bresci per giustiziare Umberto 1°, Gori contribuì alla fondazione del periodico anarchico La questione sociale. Nel '96 ritornò a Londra per partecipare, come rappresentante delle "trade unions" americane, al congresso internazionale operaio: qui subì il primo ricovero in ospedale, in seguito al manifestarsi di quella malattia - la tubercolosi - che ne indebolì progressivamente il fisico fino a portarlo, quindici anni più tardi, alla morte. Rientrato in Italia per curarsi, fu confinato all'isola d'Elba, da dove ebbe il permesso di trasferirsi a Milano alla sola condizione di non tenere comizi: ma alla prima occasione - l'inaugurazione del monumento per le "cinque giornate" - fu quasi costretto dalla folla a prendere la parola. Nel '98 difese sia gli imputati delle rivolte nel Carrarese sia Malatesta ed altri anarchici, ma nuovamente fu costretto all'esilio. Per il comizio improvvisato di Milano, fu condannato contumace a 12 anni. Ma Gori aveva riparato in Sud America, dove restò per quattro anni, svolgendovi sempre un'attività frenetica: conferenze politiche di propaganda, collaborazione a giornali e riviste argentine, lezioni di criminologia alle università di Buenos Aires, La Plata e Cordoba, partecipazione alle attività sindacali. Fondò e diresse per due anni la rivista scientifica Criminologia moderna, alla quale collaborarono i più famosi esperti del settore. Nel 1902, in seguito ad un'amnistia, potè far ritorno in Italia ove riprese subito le solite attività. L'anno successivo fondò con Luigi Fabbri la rivista Il pensiero, una delle più valide pubblicazioni anarchiche in senso assoluto, e vi collaborò fino alla morte. Nel 1904 si recò in Egitto e Palestina, sempre spinto dalla sete di nuove conoscenze: ma ormai le sue forze si riducevano sempre più, e gli ultimi cinque anni della sua vita furono segnati drammaticamente dalla sua malattia. Appena possibile, non mancò di tenere qualche conferenza, di scrivere qualche articolo. La morte, l'8 gennaio 1911, segnò la fine di una troppo lunga agonia. Il passaggio del suo feretro, da Portoferraio alla sua Rosignano, fu accompagnato dalla presenza di migliaia di persone, giunte anche da altre regioni, per render omaggio "al ribelle caduto, al veggente poeta che muor".



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