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giovedì 12 gennaio 2012

I Diavoli di Ken Russell

I Diavoli, una delle opere più sconvolgenti dell'ultimo cinema inglese: un impasto di sacrilegio e di oscenità, di orrori e di perfidie, servito caldo dal regista Ken Russell con una bravura spettacolare. Mai, infatti, il cinema aveva raggiunto come nei Diavoli, tratto dall'omonimo dramma di John Whiting e dal romanzo di Aldous Huxley, a loro volta ispirati a una larga tradizione storica e letteraria, una tale violenza nell'ordine della polemica contro la Chiesa; mai le infamie della caccia alle streghe erano state rievocate con tanta voluttà di sadismo; mai la nostra civiltà permissiva aveva condotto, in un film per le grandi platee, a tale profanazione dei simboli sacri.
Caso raro, persino il cronista si troverebbe in imbarazzo se dovesse scendere in particolari, e diffondersi sul tipo di torture cui sono sottoposte, nel Convento delle Orsoline, Madre Giovanna degli Angeli e le sue consorelle, possedute dai preti per essere spossessate dei demoni. Il rinvio più pertinente sarebbe a certe riviste pornografiche che alimentano le più sconce fantasie mescolando il diavolo e l'acqua santa.
Il film è ambientato nella Francia del Seicento, nel clima infuocato delle guerre di religione, quando Richelieu, perseguendo il suo disegno di una politica accentratrice, cerca di convincere il fatuo Luigi XIII a soffocare le velleità autonomiste delle piccole città di provincia. Fra queste c'è appunto Loudun, che ha valorosamente saputo conservare la propria indipendenza, ed ora, morto di peste il governatore, confida in un prete battagliero, padre Grandier, grandissimo peccatore nella carne ma anche gelosissimo custode della libertà municipale. L'uomo è un gigante del vizio, tormentato dal rimorso e tuttavia incapace di rifiutare le grazie di tutte le donne che, conquistate dalla sua virile prestanza, gli si vengono a offrire (e le monache di clausura, al solo vederlo passare, si struggono di desiderio). È questa fama di libertino, ribadita dalle nozze blasfeme celebrate con una Maddalena del luogo, che porta alla rovina padre Grandier (Oliver Reed) e la sua città. Quando infatti un inviato di Richelieu, il barone Laubardemont, viene ad eseguire l'ordine di demolire le fortificazioni col pretesto che Loudun può essere un buon riparo per gli Ugonotti, e Grandier fieramente gli si oppone, agli uomini del re e ai mariti traditi è facile montare una campagna di calunnie contro il prete, per staccarlo dal popolo e impadronirsi della città: basta che la superiora del convento lo accusi di stregoneria. Impresa tanto più agevole quanto più l'isterica madre Giovanna è a sua volta vittima di diaboliche visioni, dove il prete le appare come un Cristo osceno, cui si abbandona in un delirio di lascivia. Sicché l'operazione riesce. Sottoposte le monache a immondi esorcismi che scatenano le loro voglie represse, e trasformate chiese e conventi in un sabbah mostruoso, l'uomo innocente viene arrestato, sottoposto alle più crudeli torture, e finalmente condannato al rogo. Come vuole la regola, i vincitori pretendono che egli, prima di morire, confessi colpe non commesse, ma Grandier non cede, e invano ammonisce il popolo perché continui a difendere la propria autonomia: nella sua matta bestialità, la folla applaude al supplizio, soltanto Maddalena, abbattute da Laubardemont le mura, presidio di libertà, fugge da Loudun. La perfidia politica e il fanatismo religioso, alleati al gusto del sadico, ancora una volta hanno vinto. 
Sull'intelligenza e la maestria di Russell non sussistono dubbi: basti vedere con quante invenzioni scenografiche, mischiando il balletto alla tregenda, i profumi dell'altare ai miasmi delle fogne, il mistico all'ignobile, egli conferisca un crescendo spasmodico alla sua rappresentazione della perfidia e dell'empietà, sino a darci il disgusto insieme della carne e d'un certo cattolicesimo. I diavoli è un film affascinante, disturbante, dissacrante, provocatorio, delirante. Si possono usare tante iperboli per descrivere un’'opera assolutamente anticonvenzionale, che fa a pezzi luoghi comuni, che sbatte in prima pagina, per usare un gergo giornalistico, una serie di tematiche scomode, come quella che denuncia l'’abominevole legame tra potere politico e religioso, che si materializza nell'’uso indiscriminato della tortura, un sistema attraverso il quale l’uomo viene ridotto a rango di bestia, incapace di capire il valore della sua dignità e preda quindi dell’'istinto di sopravvivenza. Teatrale, eccessivo, visionario, il film scaraventa la sensibilità psichedelica e underground nel romanzo storico, deflagrando in un caleidoscopio immaginifico ma soprattutto concettualmente sconvolgente. Un vero trip nel quale eros, potere e rito, concetti chiave della controcultura moderna, trovano nell’'antichità un’esemplificazione potente, che Russell arricchisce con gusto eccentrico e provocatorio, fra la peste e le torture. 

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