Il film si sviluppa come un diario quotidiano di un progetto sovversivo, che, soprattutto all’inizio, pare vissuto più come un’abitudine, un’inclinazione mentale che come un sogno politico vero e proprio. La spinta ideale si spegne nelle discussioni sull’impostazione teorica, nei discorsi sui dettagli organizzativi e nelle chiacchiere sullo stato dell’arte. I dialoghi propongono una sorta di autoanalisi dello spirito sessantottino d’oltreoceano, che si tasta ripetutamente il polso per poi ritrovarsi, sostanzialmente, ogni volta al punto di partenza. La prima parte del film sembra pervasa dai fantasmi di Malcolm X e Pancho Villa, strappati ai poster e ai pamphlet, e tramutati in un fumo ideologico da circolo culturale giovanile, il fumo di un calderone che mescola avanguardia teatrale e sperimentazione cinematografica, emancipazione femminile e terzomondismo, movimento operaio, antirazzismo e rivoluzione messicana. L’utopia ha una forma indistinta, ed è più che altro un atteggiamento, che nasce come rifiuto del potere dello stato oppressore, e che, con le sue mille anime, stenta a trovare un identità. L’unità è raggiunta solo nella seconda parte, nella fase esecutiva, pur nella varietà di mezzi impiegati e nella molteplicità dei fronti di combattimento: l’attacco sfrutta diversi strumenti tecnologici ed è di fatto – come si direbbe oggi – di natura multimediale. Il momento dell’azione arriva all’improvviso, e il passaggio dalla teoria alla pratica è del tutto fluido e naturale, come se gli artefici della rivolta si lasciassero trascinare da una corrente invisibile, che, si può interpretare come una dimostrazione della necessità della rivoluzione.
Bodo’s Project è un progetto di comunicazione “altra” per la creazione e la circolazione di scritti, foto e di video geneticamente sovversivi. La critica radicale per azzerare la società della merce; la decrescita, il primitivismo, la solidarietà per contrastare ogni forma di privatizzazione iniziando dall’acqua. Il piacere e la gioia di costruire una società dove tutti siano liberi ed uguali.
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giovedì 3 settembre 2015
ICE di Robert Kramer
L'azione si svolge a New York in un futuro prossimo, che può essere di tre anni o di dieci, ad opera di un immaginario Comitato Nazionale delle Organizzazioni Rivoluzionarie Indipendenti mentre in Messico il Fronte di Liberazione combatte contro il dittatoriale governo spalleggiato da quello U.S.A. Il movimento ha una specie di vertice in Ted e si propone di allargare la lotta a livello nazionale, uscendo dalla clandestinità per mezzo di azioni guerrigliere regionali da fare scattare nella imminente primavera. I problemi tattici e strategici che Ted, Rich, Charlie, Babeuf, Amos, Janie, Diana, Leslie e Barbara, dibattono sono scottanti: collegare i rivoluzionari bianchi con i negri, i portoricani, i messicani, che hanno i medesimi obiettivi, ma nutrono una reciproca incomprensione; svolgere un'attività di base presso i vari quartieri per impedire alla popolazione e agli indecisi di schierarsi da parte degli avversari nel momento della lotta; reclutare nuovi militanti, istruirli militarmente e organizzarli; reperire armi e materiali sufficienti per la buona riuscita della rivoluzione. Quando scatta l'ora della sommossa, le emittenti televisive vengono occupate, le prigioni prese d'assalto e le strade sono invase di giornali ed opuscoli che inneggiano alla libertà e alla lotta contro il potere reazionario. Nonostante la polizia riesca ad eliminare il capo della rivolta, i giovani tornano ad organizzarsi decisi a dare nuovamente battaglia.
Il film si sviluppa come un diario quotidiano di un progetto sovversivo, che, soprattutto all’inizio, pare vissuto più come un’abitudine, un’inclinazione mentale che come un sogno politico vero e proprio. La spinta ideale si spegne nelle discussioni sull’impostazione teorica, nei discorsi sui dettagli organizzativi e nelle chiacchiere sullo stato dell’arte. I dialoghi propongono una sorta di autoanalisi dello spirito sessantottino d’oltreoceano, che si tasta ripetutamente il polso per poi ritrovarsi, sostanzialmente, ogni volta al punto di partenza. La prima parte del film sembra pervasa dai fantasmi di Malcolm X e Pancho Villa, strappati ai poster e ai pamphlet, e tramutati in un fumo ideologico da circolo culturale giovanile, il fumo di un calderone che mescola avanguardia teatrale e sperimentazione cinematografica, emancipazione femminile e terzomondismo, movimento operaio, antirazzismo e rivoluzione messicana. L’utopia ha una forma indistinta, ed è più che altro un atteggiamento, che nasce come rifiuto del potere dello stato oppressore, e che, con le sue mille anime, stenta a trovare un identità. L’unità è raggiunta solo nella seconda parte, nella fase esecutiva, pur nella varietà di mezzi impiegati e nella molteplicità dei fronti di combattimento: l’attacco sfrutta diversi strumenti tecnologici ed è di fatto – come si direbbe oggi – di natura multimediale. Il momento dell’azione arriva all’improvviso, e il passaggio dalla teoria alla pratica è del tutto fluido e naturale, come se gli artefici della rivolta si lasciassero trascinare da una corrente invisibile, che, si può interpretare come una dimostrazione della necessità della rivoluzione.
Singolare e provocatoria pellicola di impegno politico vicina alle ipotesi della fantapolitica, girata in 16 mm, nella quale gli ideali libertari si sposano alle utopie rivoluzionarie delle frange più estreme della contestazione giovanile.
Il film si sviluppa come un diario quotidiano di un progetto sovversivo, che, soprattutto all’inizio, pare vissuto più come un’abitudine, un’inclinazione mentale che come un sogno politico vero e proprio. La spinta ideale si spegne nelle discussioni sull’impostazione teorica, nei discorsi sui dettagli organizzativi e nelle chiacchiere sullo stato dell’arte. I dialoghi propongono una sorta di autoanalisi dello spirito sessantottino d’oltreoceano, che si tasta ripetutamente il polso per poi ritrovarsi, sostanzialmente, ogni volta al punto di partenza. La prima parte del film sembra pervasa dai fantasmi di Malcolm X e Pancho Villa, strappati ai poster e ai pamphlet, e tramutati in un fumo ideologico da circolo culturale giovanile, il fumo di un calderone che mescola avanguardia teatrale e sperimentazione cinematografica, emancipazione femminile e terzomondismo, movimento operaio, antirazzismo e rivoluzione messicana. L’utopia ha una forma indistinta, ed è più che altro un atteggiamento, che nasce come rifiuto del potere dello stato oppressore, e che, con le sue mille anime, stenta a trovare un identità. L’unità è raggiunta solo nella seconda parte, nella fase esecutiva, pur nella varietà di mezzi impiegati e nella molteplicità dei fronti di combattimento: l’attacco sfrutta diversi strumenti tecnologici ed è di fatto – come si direbbe oggi – di natura multimediale. Il momento dell’azione arriva all’improvviso, e il passaggio dalla teoria alla pratica è del tutto fluido e naturale, come se gli artefici della rivolta si lasciassero trascinare da una corrente invisibile, che, si può interpretare come una dimostrazione della necessità della rivoluzione.
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