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mercoledì 2 settembre 2015

La miseria esistenziale dell'intellettuale


La miseria esistenziale dell'intellettuale è il suo essere dilaniato dalla contraddizione tra l'universalità del suo sapere ed il particolarismo della classe dominante di cui è il prodotto. E così si dibatte incarnando l'hegeliana "coscienza infelice" tra referenti da abbandonare e da conquistare... E con questa cattiva coscienza, sorgente del suo malessere, s'allinea ora con il proletariato, ora con i marginali, ora con il terzo mondo, cercando punti fermi sui quali rifondare le proprie rovine, riproponendosi sempre come soggetto attivo, come intellighentia che, rispetto ai fenomeni sviscerati e sezionati col microscopio del sapere, si autopropone come avanguardia esterna dall'alto di quel sapere rubato ai suoi antichi padroni. Tra alterne sorti si dibatte nella disperazione d'essere un eterno orfano. Orfano dei padroni abbandonati senza rifiutarne i privilegi. Orfano del proletariato che sempre lo ha istintivamente rigettato come corpo estraneo. Orfano del terzo mondo che non ha tempo per sintonizzarsi su intelligenti analisi dovendo risolvere, giorno dopo giorno, i suoi urgenti problemi di sopravvivenza. D'esclusione in esclusione, d'elisione in elisione, d'erosione in erosione, s'è ritrovato con altri in un unico ghetto. Allora, spaventati e coinvolti dalle variabili impazzite uscite dalle loro teorizzazioni, hanno incominciato a negoziare la resa sulla pelle di tutti: per reintegrare la loro iniziale posizione di intellighentia. Miserie nella miseria, plagianti plagiati, ma privilegiati che da sempre trovano il nido caldo del figliol prodigo che ritorna alle sue origini... "

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