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venerdì 25 dicembre 2015

Spazio e tempo in Eliseo Reclus

Uno dei capisaldi del pensiero anarchico classico è dato dalla teorizzazione del carattere benefico della natura e della sua alterità rispetto alla storia. Mentre questa, a seguito delle lotte feroci condotte dagli uomini per avere il potere, presenta un’immagine di disordine e di cattiveria, la natura rivela invece, se giustamente interrogata, un’intrinseca armonia ed equilibro. La società anarchica è la società che sostituisce le leggi storiche e artificiali del potere con quelle spontanee della socievolezza naturale. La natura, ovviamente, non è sempre benefica nella sua immediatezza e non è sempre mite in molte sue manifestazioni esteriori; può però essere fonte di giustizia e di libertà, se si instaura correttamente con essa un rapporto capace di cogliere l’intima razionalità che pervade la necessità del tutto. La premessa epistemologica reclusiana si fonda sull’idea di un nesso indissolubile che lega la persona all’ambiente, e dunque alla Terra. Vi è un rapporto simbiotico tra l’uno e l’altra perché la Persona ha le sue leggi come la Terra, leggi alle quali non può sottrarsi, anche se, ovviamente, ciò non implica che egli ne sia prigioniero. Senza cadere in alcuna forma di determinismo, la persona deve essere consapevole dei rapporti necessitanti che lo legano al tutto perché è solo grazie a tale consapevolezza che egli si emancipa dai lacci naturali. La geo-storia reclusiana, intenta soprattutto all’analisi delle strutture geografiche rinvenibili nei grandi spazi e nel rapporto fra evoluzione sociale e resistenze della struttura, vuole esaminare al rallentatore l’azione della persona, al fine di cogliere la verità profonda della sua azione sul globo terraqueo, in quanto solo i grandi movimenti e le grandi strutture rivelano il senso generale della vita dei popoli e delle civiltà. Ciò non toglie, ovviamente, che in Reclus rimanga sempre centrale anche l’idea dei salti di qualità del processo evolutivo, salti che avvengono sia nella storia naturale, sia nella storia umana. A suo giudizio alle lunghe e lente sequenze dell’evoluzione seguono i brevi e intensi periodi delle rivoluzioni. Il rapporto tra evoluzione e rivoluzione è un rapporto necessitante, nel senso che l’una è il complemento dell’altra. L’evoluzione prepara la rivoluzione, questa, a sua volta, spiana la strada ad una successiva evoluzione, attraverso una catena che non ha fine. L’infinita interazione fra spazio e tempo, l’individuazione della processualità storica e di rotture, e dunque il riconoscimento dell’impossibilità di un’esistenza strutturalmente gerarchica della realtà a cui il mondo dovrebbe conformarsi, spingono Reclus al rifiuto di ogni epistemologia altrettanto gerarchica e unidimensionale. L’indagine reclusiana si situa nel più classico ambito metodologico anarchico secondo cui non esiste una direzionalità univoca degli elementi della realtà, ma, appunto, un insieme assai vasto e complesso di cause interagenti fra loro in una dialettica senza fine tra natura e storia, tra natura e cultura. I termini ideologicamente anarchici del relativismo e del pluralismo si traducono perciò nei cardini metodologici di un’indagine a tutto campo. Questa sviluppa una scienza fisico-sociale che, tenendo conto dell’interazione fra spazio e tempo, fra realtà naturale ed evoluzione umana, fra determinismo geografico e relativismo storico, conclude che nei suoi rapporti con la Persona, la Geografia non è altro che la Storia nello Spazio, così come la Storia è la Geografia nel tempo. Sulla base di tale prospettiva, Reclus approda ad una sorta di interpretazione articolata di tutta l’evoluzione umana e naturale. Si devono, a suo giudizio, attivare tre fondamentali direttrici di ricerca: delineare la divisione fra le classi, individuare la spontanea tendenza a ricomporre l’equilibrio sociale spezzato da questa divisione, decifrare il contributo dello sforzo individuale nell’evoluzione collettiva. Abbiamo così, in sintesi, un compendio dell’epistemologia anarchica. Posto infatti, come abbiamo visto, il rifiuto di ogni interpretazione fondata su monocause (siano esse economiche, politiche, geografiche, etniche o culturali), egli pone sullo stesso piano analitico e valoriale la lotta sociale, il valore individuale, la spontaneità storico-naturale di una ricerca oggettiva verso l’equità e l’uguaglianza. Insomma, la storia è il risultato contemporaneo di più fattori, riassumibili nell’emancipazione collettiva, nell’azione del singolo, nella naturale tendenza verso la giustizia.

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