Semplicemente prendendo parte alla società, dobbiamo accettare la mediazione di strutture determinate da forze al di fuori del nostro controllo. Per esempio, le nostre amicizie passano sempre più attraverso Facebook, i telefoni cellulari e altre tecnologie che tengono traccia delle nostre attività e delle nostre relazioni a vantaggio delle multinazionali, oltre che dei servizi di informazione del governo; questi format determinano anche il contenuto delle amicizie stesse. Lo stesso vale per le nostre attività economiche: al posto della semplice povertà, abbiamo posizioni debitorie e creditizie – non siamo una classe priva di povertà, ma una classe guidata dal debito. E, ancora una volta, tutto questo appare come spontaneo, o addirittura come «progresso». Come si prospetta l’idea di resistere in questo contesto? Le cose parevano molto più semplici nel 1917, quando i proletari di tutto il mondo sognavano di espugnare il Palazzo d’Inverno. Due generazioni dopo, l’equivalente sembrava essere prendere d’assalto le sedi delle emittenti televisive, una fantasia ripresa in un film di Holliwood non più tardi del 2005. Oggi è sempre più evidente che il capitalismo globale è privo di centro, di un cuore attraverso il quale drive a stake. In realtà, questa evoluzione è una manna per gli anarchici, in quanto sbarra la strada a forme di lotta attuate dall’alto verso il basso. Non ci sono scorciatoie, oggi, né giustificazioni per prenderle – non ci saranno più dittature «provvisorie». Le rivoluzioni autoritarie del Ventesimo secolo sono per sempre alle nostre spalle; se dovrà scoppiare la rivolta, si dovranno diffondere le pratiche anarchiche. Alcuni hanno sostenuto che, in assenza di un centro, quando il virus di cui sopra è molto più pericoloso dell’assalto frontale, il compito non è tanto scegliere il bersaglio giusto quanto pubblicizzare una nuova modalità di lotta. Se ciò non è ancora accaduto, forse è soltanto perché gli anarchici devono ancora mettere a punto un metodo che altri considerino pratico. Quando dimostriamo soluzioni concrete ai problemi sollevati dalla catastrofe capitalista, forse prenderanno piede. Ma è un percorso insidioso. Tali soluzioni devono risuonare ben oltre qualsiasi sottocultura particolare in un’epoca in cui ogni innovazione istantaneamente genera sottocultura e vi rientra. Devono in qualche modo rifiutare e interrompere le forme di partecipazione essenziali al mantenimento dell’ordine, sia quelle basate sull’integrazione sia quelle basate sulla marginalità. Devono rispondere ai bisogni immediati delle persone, e al contempo ispirare desideri insurrezionali che conducano altrove. E se proponiamo soluzioni che rivelano di non affrontare le cause alla radice dei nostri problemi – come facemmo dieci anni fa – non faremo altro che vaccinare l’ordine dominante contro la resistenza di questa generazione. Quando si tratta di soluzioni contagiose, magari come i disordini in Grecia del 2008, durante i quali tutte le banche cui fu dato fuoco erano meno significative della pratica quotidiana in Grecia di occupare edifici,impossessarsi delle provviste alimentari e ridistribuirle e radunarsi in pubblico al di fuori della logica del commercio. O forse i tumulti furono altrettanto significativi: non solo un attacco materiale contro il nemico, ma una festa in cui si afferma un modo radicalmente diverso di esistere.
Bodo’s Project è un progetto di comunicazione “altra” per la creazione e la circolazione di scritti, foto e di video geneticamente sovversivi. La critica radicale per azzerare la società della merce; la decrescita, il primitivismo, la solidarietà per contrastare ogni forma di privatizzazione iniziando dall’acqua. Il piacere e la gioia di costruire una società dove tutti siano liberi ed uguali.
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giovedì 25 agosto 2016
Crimethlnc: una festa per un modo radicalmente diverso di esistere
Nel panopticon il potere ha già sede in periferia, piuttosto che al centro, in quando il controllo è esercitato principalmente dai detenuti stessi. I lavoratori competono per diventare capitalisti, anziché fare causa comune come classe; i fascisti impongono autonomamente relazioni repressive, senza vigilanza da parte dello Stato. Il potere non è imposto dall’alto, ma in funzione della partecipazione stessa.
Semplicemente prendendo parte alla società, dobbiamo accettare la mediazione di strutture determinate da forze al di fuori del nostro controllo. Per esempio, le nostre amicizie passano sempre più attraverso Facebook, i telefoni cellulari e altre tecnologie che tengono traccia delle nostre attività e delle nostre relazioni a vantaggio delle multinazionali, oltre che dei servizi di informazione del governo; questi format determinano anche il contenuto delle amicizie stesse. Lo stesso vale per le nostre attività economiche: al posto della semplice povertà, abbiamo posizioni debitorie e creditizie – non siamo una classe priva di povertà, ma una classe guidata dal debito. E, ancora una volta, tutto questo appare come spontaneo, o addirittura come «progresso». Come si prospetta l’idea di resistere in questo contesto? Le cose parevano molto più semplici nel 1917, quando i proletari di tutto il mondo sognavano di espugnare il Palazzo d’Inverno. Due generazioni dopo, l’equivalente sembrava essere prendere d’assalto le sedi delle emittenti televisive, una fantasia ripresa in un film di Holliwood non più tardi del 2005. Oggi è sempre più evidente che il capitalismo globale è privo di centro, di un cuore attraverso il quale drive a stake. In realtà, questa evoluzione è una manna per gli anarchici, in quanto sbarra la strada a forme di lotta attuate dall’alto verso il basso. Non ci sono scorciatoie, oggi, né giustificazioni per prenderle – non ci saranno più dittature «provvisorie». Le rivoluzioni autoritarie del Ventesimo secolo sono per sempre alle nostre spalle; se dovrà scoppiare la rivolta, si dovranno diffondere le pratiche anarchiche. Alcuni hanno sostenuto che, in assenza di un centro, quando il virus di cui sopra è molto più pericoloso dell’assalto frontale, il compito non è tanto scegliere il bersaglio giusto quanto pubblicizzare una nuova modalità di lotta. Se ciò non è ancora accaduto, forse è soltanto perché gli anarchici devono ancora mettere a punto un metodo che altri considerino pratico. Quando dimostriamo soluzioni concrete ai problemi sollevati dalla catastrofe capitalista, forse prenderanno piede. Ma è un percorso insidioso. Tali soluzioni devono risuonare ben oltre qualsiasi sottocultura particolare in un’epoca in cui ogni innovazione istantaneamente genera sottocultura e vi rientra. Devono in qualche modo rifiutare e interrompere le forme di partecipazione essenziali al mantenimento dell’ordine, sia quelle basate sull’integrazione sia quelle basate sulla marginalità. Devono rispondere ai bisogni immediati delle persone, e al contempo ispirare desideri insurrezionali che conducano altrove. E se proponiamo soluzioni che rivelano di non affrontare le cause alla radice dei nostri problemi – come facemmo dieci anni fa – non faremo altro che vaccinare l’ordine dominante contro la resistenza di questa generazione. Quando si tratta di soluzioni contagiose, magari come i disordini in Grecia del 2008, durante i quali tutte le banche cui fu dato fuoco erano meno significative della pratica quotidiana in Grecia di occupare edifici,impossessarsi delle provviste alimentari e ridistribuirle e radunarsi in pubblico al di fuori della logica del commercio. O forse i tumulti furono altrettanto significativi: non solo un attacco materiale contro il nemico, ma una festa in cui si afferma un modo radicalmente diverso di esistere.
Semplicemente prendendo parte alla società, dobbiamo accettare la mediazione di strutture determinate da forze al di fuori del nostro controllo. Per esempio, le nostre amicizie passano sempre più attraverso Facebook, i telefoni cellulari e altre tecnologie che tengono traccia delle nostre attività e delle nostre relazioni a vantaggio delle multinazionali, oltre che dei servizi di informazione del governo; questi format determinano anche il contenuto delle amicizie stesse. Lo stesso vale per le nostre attività economiche: al posto della semplice povertà, abbiamo posizioni debitorie e creditizie – non siamo una classe priva di povertà, ma una classe guidata dal debito. E, ancora una volta, tutto questo appare come spontaneo, o addirittura come «progresso». Come si prospetta l’idea di resistere in questo contesto? Le cose parevano molto più semplici nel 1917, quando i proletari di tutto il mondo sognavano di espugnare il Palazzo d’Inverno. Due generazioni dopo, l’equivalente sembrava essere prendere d’assalto le sedi delle emittenti televisive, una fantasia ripresa in un film di Holliwood non più tardi del 2005. Oggi è sempre più evidente che il capitalismo globale è privo di centro, di un cuore attraverso il quale drive a stake. In realtà, questa evoluzione è una manna per gli anarchici, in quanto sbarra la strada a forme di lotta attuate dall’alto verso il basso. Non ci sono scorciatoie, oggi, né giustificazioni per prenderle – non ci saranno più dittature «provvisorie». Le rivoluzioni autoritarie del Ventesimo secolo sono per sempre alle nostre spalle; se dovrà scoppiare la rivolta, si dovranno diffondere le pratiche anarchiche. Alcuni hanno sostenuto che, in assenza di un centro, quando il virus di cui sopra è molto più pericoloso dell’assalto frontale, il compito non è tanto scegliere il bersaglio giusto quanto pubblicizzare una nuova modalità di lotta. Se ciò non è ancora accaduto, forse è soltanto perché gli anarchici devono ancora mettere a punto un metodo che altri considerino pratico. Quando dimostriamo soluzioni concrete ai problemi sollevati dalla catastrofe capitalista, forse prenderanno piede. Ma è un percorso insidioso. Tali soluzioni devono risuonare ben oltre qualsiasi sottocultura particolare in un’epoca in cui ogni innovazione istantaneamente genera sottocultura e vi rientra. Devono in qualche modo rifiutare e interrompere le forme di partecipazione essenziali al mantenimento dell’ordine, sia quelle basate sull’integrazione sia quelle basate sulla marginalità. Devono rispondere ai bisogni immediati delle persone, e al contempo ispirare desideri insurrezionali che conducano altrove. E se proponiamo soluzioni che rivelano di non affrontare le cause alla radice dei nostri problemi – come facemmo dieci anni fa – non faremo altro che vaccinare l’ordine dominante contro la resistenza di questa generazione. Quando si tratta di soluzioni contagiose, magari come i disordini in Grecia del 2008, durante i quali tutte le banche cui fu dato fuoco erano meno significative della pratica quotidiana in Grecia di occupare edifici,impossessarsi delle provviste alimentari e ridistribuirle e radunarsi in pubblico al di fuori della logica del commercio. O forse i tumulti furono altrettanto significativi: non solo un attacco materiale contro il nemico, ma una festa in cui si afferma un modo radicalmente diverso di esistere.
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Uomo del Kapitale
Nella metamorfosi reciproca di uomo in capitale (capitalizzazione) e di capitale in uomo (antropomorfosi) si può cogliere il momento di passaggio dai sistemi ideologici del passato all’ideologia materializzata del presente.
Certamente non ci si deve aspettare che il capitale metta in atto la denuncia della sofisticazione complessiva della vita con la stessa prontezza e lo stesso zelo interessato con cui ha imparato a criticare i suoi settori separati: denunciando infatti astutamente la scadente qualità di prodotti particolari (la coppia, il latte, il dentifricio, la democrazia, il formaggio, le automobili ecc.) non si fa altro che inventarne e garantirne la genuinità nella nuova confezione; denunciare invece la totale mostruosità del complesso sociale, la sua assoluta disumanità, significherebbe denudare il re, mostrandolo vulnerabile alle pietre e ai desideri dei suoi sudditi oppressi nella repressione. E quando cade il tabù subito il totem lo segue nella caduta, tanto più rovinosa quanto più pesante è il feticcio. Resta il fatto che una spessa cortina, ormai ben più corposa di una nebbia, funziona da filtro tra le frustrazioni dei sudditi e l’arroganza del potere. Un potere che, per esigenze della sua stessa natura, ha dovuto traslocare la sua immagine, un tempo riflessa nelle eteree e ben sicure regge del cielo, alle individuabili e ben più attaccabili “cities” dei quartieri metropolitani.
Mentre per diluire la forza della protesta i flauti di un rinnovato revival mistico hanno sostituito (insieme all’eroina) le trombe degli angeli e le campane dei profeti, le chitarre elettriche della scienza meccanicistica sviluppano il concerto a DIO capitale nel suo sforzo conclusivo verso l’eternità e l’autonomizzazione.
A questo punto non è più pensabile operare per una trasformazione radicale della società se non avendone innanzitutto svelato la vera natura sacrificale nascosta nell’armatura ideologica.
La sofisticazione globale è in atto ormai da tempo e tutti noi continuiamo ad inghiottirla nonostante che i nostri corpi e le nostre menti diano ormai evidenti segni di intossicazione.
Uscire dall’ideologia resa ecologica ma sempre più drammaticamente biodegradante, significa riconoscere le trappole copiose della falsa coscienza in ciascuno di noi e fra noi tutti come corpo sociale; significa cominciare a distinguere i nostri desideri SPECIFICI da quelli indotti e lottare per la loro realizzazione; significa cominciare ad essere i soggetti reali della nostra vita e non più “persona/e” (=maschere) di una rappresentazione.
In principio ciò passa probabilmente per una condizione di terribile isolamento, ma proprio in questo isolamento disperato e dalla sua rabbia angosciosa e cosciente, non disponibile ai compromessi, potrà germogliare una comunità reale contro l’osceno spettacolo delle complicità che si sostituiscono all’amore.
Mai come in questo momento ci sono stati più tanti complici e meno amanti. Per questo l’amore ha bisogno di riconoscersi prima di tutto nella denuncia delle complicità e delle loro giustificazioni: l’ideologia.
(Tratto da PUZZ numero unico settembre 1975 Milano)
IL CEMENTO ARMATO
Le opere umane rispecchiano in larga misura, la cultura del tempo in cui sono realizzate.
Oggi ciò è oltremodo lampante pur limitandosi ad osservare, nello specifico, l'architettura e l'edilizia che ci circonda. che ci si ritrovi in pianura, in zone collinari o all'imbocco stesso di valli montane si è destinati ad imbattersi, sempre più spesso, in aree industriali-commerciali indistinguibili tanto si somigliano le une con le altre. Campagne, frutteti e pascoli vengono quotidianamente sostituiti da capannoni grigiastri prefabbricati che prendono forma nel giro di pochi giorni. Nel momento in cui l'area interessata viene circondata dall'onnipresente nastro arancione di plastica, le ruspe iniziano a circolare e cemento ferro e acciaio in poco tempo colonizzano un nuovo lembo di terra rendendolo improduttivo per i decenni a venire.
in tal modo, mentre le fabbriche delle metropoli, ormai dismesse ed inutilizzate da anni, si trasformano in club alla moda, il territorio extraurbano si popola di lugubri parallelepipedi in cemento armato in cui per lo più non si produce nulla: si espone, si sostituisce e si commercializza. Al tempo stesso, le periferie di piccole e medie città, nonché di molti paesi, vengono inesorabilmente incatenate da condomini ed infrastrutture costruiti con gli stessi tempi e la stessa logica delle aree commerciali. Verosimilmente, vista la qualità dei materiali e della tecnica costruttiva, subiscono anche la medesima sorte, diventando fatiscenti nel giro di pochi anni.
Coloro che non sono completamente assuefatti dalle nocività delle metropoli sapranno cogliere un ulteriore denominatore comune nell'urbanistica e nell'architettura del nostro tempo. una sensazione sempre più diffusa e soffocante di invivibilità legata alla natura degli edifici e alla loro disposizione. Tra pochi anni, probabilmente, faremo fatica a distinguere un quartiere residenziale da una zona industriale. Annullato ogni possibile spazio destinato alla socialità, queste nuove aree sono concepite per vendere, consumare e spostarsi nelle poche direzioni obbligate, insomma sconfinati quartieri dormitorio.
Oggi ciò è oltremodo lampante pur limitandosi ad osservare, nello specifico, l'architettura e l'edilizia che ci circonda. che ci si ritrovi in pianura, in zone collinari o all'imbocco stesso di valli montane si è destinati ad imbattersi, sempre più spesso, in aree industriali-commerciali indistinguibili tanto si somigliano le une con le altre. Campagne, frutteti e pascoli vengono quotidianamente sostituiti da capannoni grigiastri prefabbricati che prendono forma nel giro di pochi giorni. Nel momento in cui l'area interessata viene circondata dall'onnipresente nastro arancione di plastica, le ruspe iniziano a circolare e cemento ferro e acciaio in poco tempo colonizzano un nuovo lembo di terra rendendolo improduttivo per i decenni a venire.
in tal modo, mentre le fabbriche delle metropoli, ormai dismesse ed inutilizzate da anni, si trasformano in club alla moda, il territorio extraurbano si popola di lugubri parallelepipedi in cemento armato in cui per lo più non si produce nulla: si espone, si sostituisce e si commercializza. Al tempo stesso, le periferie di piccole e medie città, nonché di molti paesi, vengono inesorabilmente incatenate da condomini ed infrastrutture costruiti con gli stessi tempi e la stessa logica delle aree commerciali. Verosimilmente, vista la qualità dei materiali e della tecnica costruttiva, subiscono anche la medesima sorte, diventando fatiscenti nel giro di pochi anni.
Coloro che non sono completamente assuefatti dalle nocività delle metropoli sapranno cogliere un ulteriore denominatore comune nell'urbanistica e nell'architettura del nostro tempo. una sensazione sempre più diffusa e soffocante di invivibilità legata alla natura degli edifici e alla loro disposizione. Tra pochi anni, probabilmente, faremo fatica a distinguere un quartiere residenziale da una zona industriale. Annullato ogni possibile spazio destinato alla socialità, queste nuove aree sono concepite per vendere, consumare e spostarsi nelle poche direzioni obbligate, insomma sconfinati quartieri dormitorio.
giovedì 18 agosto 2016
Crimethlnc: le gerarchie decentrate
Ma che significa gerarchie decentrate? Sembra una specie di koan zen. La gerarchia è la concentrazione del potere nelle mani di pochi. Come può essere decentrata? Per capirne il senso, occorre tornare alla concezione di Foucault del panopticon. Jeremy Bentham progettò il panopticon come modello per rendere più efficienti le carceri e i luoghi di lavoro; si tratta di un edificio circolare, nel quale tutte le stanze si affacciano su un cortile interno, in modo da poter essere viste da una torre di osservazione centrale. I detenuti non possono vedere ciò che accade nella torre, ma sanno di poter essere osservati dal suo interno in qualsiasi momento, sicché alla fine interiorizzano questa forma di sorveglianza e di controllo. In parole povere, il potere vede senza guardare, mentre l’osservato guarda senza vedere. Panopticon Nel panopticon il potere ha già sede in periferia, piuttosto che al centro, in quando il controllo è esercitato principalmente dai detenuti stessi. I lavoratori competono per diventare capitalisti, anziché fare causa comune come classe; i fascisti impongono autonomamente relazioni repressive, senza vigilanza da parte dello Stato. Il potere non è imposto dall’alto, ma in funzione della partecipazione stessa. Semplicemente prendendo parte alla società, dobbiamo accettare la mediazione di strutture determinate da forze al di fuori del nostro controllo. Per esempio, le nostre amicizie passano sempre più attraverso Facebook, i telefoni cellulari e altre tecnologie che tengono traccia delle nostre attività e delle nostre relazioni a vantaggio delle multinazionali, oltre che dei servizi di informazione del governo; questi format determinano anche il contenuto delle amicizie stesse. Lo stesso vale per le nostre attività economiche: al posto della semplice povertà, abbiamo posizioni debitorie e creditizie – non siamo una classe priva di povertà, ma una classe guidata dal debito. E, ancora una volta, tutto questo appare come spontaneo, o addirittura come «progresso». Come si prospetta l’idea di resistere in questo contesto? Le cose parevano molto più semplici nel 1917, quando i proletari di tutto il mondo sognavano di espugnare il Palazzo d’Inverno. Due generazioni dopo, l’equivalente sembrava essere prendere d’assalto le sedi delle emittenti televisive, una fantasia ripresa in un film di Hollywood non più tardi del 2005. Oggi è sempre più evidente che il capitalismo globale è privo di centro, di un cuore attraverso il quale drive a stake. In realtà, questa evoluzione è una manna per gli anarchici, in quanto sbarra la strada a forme di lotta attuate dall’alto verso il basso. Non ci sono scorciatoie, oggi, né giustificazioni per prenderle – non ci saranno più dittature «provvisorie». Le rivoluzioni autoritarie del Ventesimo secolo sono per sempre alle nostre spalle; se dovrà scoppiare la rivolta, si dovranno diffondere le pratiche anarchiche. Alcuni hanno sostenuto che, in assenza di un centro, quando il virus di cui sopra è molto più pericoloso dell’assalto frontale, il compito non è tanto scegliere il bersaglio giusto quanto pubblicizzare una nuova modalità di lotta. Se ciò non è ancora accaduto, forse è soltanto perché gli anarchici devono ancora mettere a punto un metodo che altri considerino pratico. Quando dimostriamo soluzioni concrete ai problemi sollevati dalla catastrofe capitalista, forse prenderanno piede. Ma è un percorso insidioso. Tali soluzioni devono risuonare ben oltre qualsiasi sottocultura particolare in un’epoca in cui ogni innovazione istantaneamente genera sottocultura e vi rientra. Devono in qualche modo rifiutare e interrompere le forme di partecipazione essenziali al mantenimento dell’ordine, sia quelle basate sull’integrazione sia quelle basate sulla marginalità. Devono rispondere ai bisogni immediati delle persone, e al contempo ispirare desideri insurrezionali che conducano altrove. E se proponiamo soluzioni che rivelano di non affrontare le cause alla radice dei nostri problemi – come facemmo dieci anni fa – non faremo altro che vaccinare l’ordine dominante contro la resistenza di questa generazione. Quando si tratta di soluzioni contagiose, magari come i disordini in Grecia nel 2008, durante i quali tutte le banche cui fu dato fuoco erano meno significative della pratica quotidiana in Grecia di occupare edifici, impossessarsi delle provviste alimentari e ridistribuirle e radunarsi in pubblico al di fuori della logica del commercio. O forse i tumulti furono altrettanto significativi: non solo un attacco materiale contro il nemico, ma una festa in cui si afferma un modo radicalmente diverso di esistere.
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RAVACHOL E L’ ASSASSINIO DELLE SIGNORE MARCOU
Presidente “Un mese dopo l'assassinio dell'eremita di Chambles, il 29 Luglio 1891 le signore Marcou negozianti in chicaglierie erano assassinate nella loro bottega della Rue Roannè a Saint-Etienne dove eravate voi quel giorno ?”
Ravachol: “Non ve lo dico.”
Presidente: “V'aggrava.”
Ravachol: “So come andrà a finire e vi assicuro che la reticenza non mi può' più' aggravare. Anche lo potesse non m'importerebbe nulla. M'importa invece non aggravar le persone generose e fidate che in quei giorni sapendomi ricercato per assassinio, sapendomi candidato alla ghigliottina, mi hanno dischiuso la porta della casa, offerto sicura ed incorruttibile l'ospitalità.”
Presidente: “Tuttavia quando alla fine del Luglio ultimo vi siete stabilito a Saint Denis avete detto a Chaumartin che venivate da Saint-Etienne.”
Ravachol: “E da Saint-Etienne venivo.”
Presidente: “Vi è di più. Chaumartin verrà a deporre che l'assassino delle Signore Marcou siete voi.”
Ravachol: “Se verrà qui a sciorinar menzogne con tanta faccia questo vostro Chaumartin, vorrà dire soltanto che le vostre minacce o le vostre lusinghe l'hanno irremissibilmente sciupato.”
Presidente: “Ma vi sono dettagli che Chaumartin non poteva sognare, come dalle Signore Marcon siete entrato con un complice nel momento che esse stavano chiudendo il magazzino. che avete contrattato un martello e mentre la più vecchia andava a cercar il resto di un biglietto di cinquanta franchi avete steso morta con un terribile colpo di martello la più giovane ed al sopraggiungere della vecchia voi l'avete a sua volta atterrata allo stesso modo rapido silenzioso ed inesorabile con una martellata. Questi dettagli concordano esattamente con la scena del delitto, e Chaumartin non li poteva inventare.”
Ravachol: “Non ve n'era bisogno. Glie li ha suggeriti il vostro giudice istruttore che poteva metter d'accordo così, senza che facessero una grinza, e la ricostruzione del delitto secondo la sua fantasia e le concordi deposizioni di Chaumartin. Voi avete ragione come ci sarebbe arrivato da solo questo disgraziato?”
Presidente: “Un vicino di bottega ha udito l'uomo che era entrato dalle Signore Marcou contrattare un martello volete gli estremi, proprio? Vi hanno visto avanti la bottega. Siete stato riconosciuto.”
Ravachol: “Fermamente, non ero a Saint-Etienne nel giorno in cui le Marcou sono state assassinate; ve lo dico io che non mi sono mai ricusato a fornirvi sul conto mio, anche non richieste, anche dense di responsabilità inesorabili, tutte le circostanze della mia vita; ve lo ripeto io che ho la coscienza lucida sicura irremissibile dell'epilogo che il processo avrà, che non aggraverei quindi in nessun modo la mia situazione addossandomi la responsabilità dei delitti di La Varizelle e di Saint-Etienn e, perché il boia non mi può ghigliottinare due volte; non ero a Saint-Etienne il giorno in cui le Signore Marcou sono state assassinate. Ora voi mi promettete il miracolo, mi annunziate i testimoni che a Saint E-tienne mi hanno veduto e riconosciuto? E fate il miracolo ! Nel miracolo ha poca fiducia anche il presidente perché non insiste oltre.”
Ravachol: “Non ve lo dico.”
Presidente: “V'aggrava.”
Ravachol: “So come andrà a finire e vi assicuro che la reticenza non mi può' più' aggravare. Anche lo potesse non m'importerebbe nulla. M'importa invece non aggravar le persone generose e fidate che in quei giorni sapendomi ricercato per assassinio, sapendomi candidato alla ghigliottina, mi hanno dischiuso la porta della casa, offerto sicura ed incorruttibile l'ospitalità.”
Presidente: “Tuttavia quando alla fine del Luglio ultimo vi siete stabilito a Saint Denis avete detto a Chaumartin che venivate da Saint-Etienne.”
Ravachol: “E da Saint-Etienne venivo.”
Presidente: “Vi è di più. Chaumartin verrà a deporre che l'assassino delle Signore Marcou siete voi.”
Ravachol: “Se verrà qui a sciorinar menzogne con tanta faccia questo vostro Chaumartin, vorrà dire soltanto che le vostre minacce o le vostre lusinghe l'hanno irremissibilmente sciupato.”
Presidente: “Ma vi sono dettagli che Chaumartin non poteva sognare, come dalle Signore Marcon siete entrato con un complice nel momento che esse stavano chiudendo il magazzino. che avete contrattato un martello e mentre la più vecchia andava a cercar il resto di un biglietto di cinquanta franchi avete steso morta con un terribile colpo di martello la più giovane ed al sopraggiungere della vecchia voi l'avete a sua volta atterrata allo stesso modo rapido silenzioso ed inesorabile con una martellata. Questi dettagli concordano esattamente con la scena del delitto, e Chaumartin non li poteva inventare.”
Ravachol: “Non ve n'era bisogno. Glie li ha suggeriti il vostro giudice istruttore che poteva metter d'accordo così, senza che facessero una grinza, e la ricostruzione del delitto secondo la sua fantasia e le concordi deposizioni di Chaumartin. Voi avete ragione come ci sarebbe arrivato da solo questo disgraziato?”
Presidente: “Un vicino di bottega ha udito l'uomo che era entrato dalle Signore Marcou contrattare un martello volete gli estremi, proprio? Vi hanno visto avanti la bottega. Siete stato riconosciuto.”
Ravachol: “Fermamente, non ero a Saint-Etienne nel giorno in cui le Marcou sono state assassinate; ve lo dico io che non mi sono mai ricusato a fornirvi sul conto mio, anche non richieste, anche dense di responsabilità inesorabili, tutte le circostanze della mia vita; ve lo ripeto io che ho la coscienza lucida sicura irremissibile dell'epilogo che il processo avrà, che non aggraverei quindi in nessun modo la mia situazione addossandomi la responsabilità dei delitti di La Varizelle e di Saint-Etienn e, perché il boia non mi può ghigliottinare due volte; non ero a Saint-Etienne il giorno in cui le Signore Marcou sono state assassinate. Ora voi mi promettete il miracolo, mi annunziate i testimoni che a Saint E-tienne mi hanno veduto e riconosciuto? E fate il miracolo ! Nel miracolo ha poca fiducia anche il presidente perché non insiste oltre.”
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IL CARCERE
Spettrali strutture di cemento, o sagome massicce di pietra.
Uomini armati sui camminamenti.
Filo spinato, profili di mezzi blindati.
Isolamento dai territori, dai legami, dagli affetti.
La violenza dei pestaggi e delle perquisizioni corporali; dei trasferimenti improvvisi.
Imposizione e regolamentazione dei ritmi della giornata in cui non è possibile ritagliare nessun spazio proprio.
La spersonalizzazione di una cella spoglia in cui nessun oggetto può diventare familiare ma rimane permanentemente freddo; estraneo, distaccato.
L’asetticità di un colloquio con i vetri; la separazione; la lontananza.
I corpi vengono tastati e frugati continuamente.
Dal muro di cinta ascoltano le voci, nei cortili, nei corridoi ci sono microfoni, i colloqui vengono registrati, la corrispondenza saccheggiata e censurata; l’occhio sempre vigile delle telecamere nelle docce e nei cessi.
Carcere fuori dal tempo e dagli spazi della vita.
Carcere significa morte e resurrezione.
Chi ne ha varcato le mura buie, è sceso all’inferno, ha camminato in tenebre spettrali.
È un toccato che ha conosciuto la faccia nascosta dell’universo dei vivi.
Uomini armati sui camminamenti.
Filo spinato, profili di mezzi blindati.
Isolamento dai territori, dai legami, dagli affetti.
La violenza dei pestaggi e delle perquisizioni corporali; dei trasferimenti improvvisi.
Imposizione e regolamentazione dei ritmi della giornata in cui non è possibile ritagliare nessun spazio proprio.
La spersonalizzazione di una cella spoglia in cui nessun oggetto può diventare familiare ma rimane permanentemente freddo; estraneo, distaccato.
L’asetticità di un colloquio con i vetri; la separazione; la lontananza.
I corpi vengono tastati e frugati continuamente.
Dal muro di cinta ascoltano le voci, nei cortili, nei corridoi ci sono microfoni, i colloqui vengono registrati, la corrispondenza saccheggiata e censurata; l’occhio sempre vigile delle telecamere nelle docce e nei cessi.
Carcere fuori dal tempo e dagli spazi della vita.
Carcere significa morte e resurrezione.
Chi ne ha varcato le mura buie, è sceso all’inferno, ha camminato in tenebre spettrali.
È un toccato che ha conosciuto la faccia nascosta dell’universo dei vivi.
sabato 13 agosto 2016
Le associazioni informali
Siamo anarchici che desiderano una libertà senza limiti. Lottiamo per la liberazione, per un rapporto decentrato e non mediato con il nostro ambiente e con coloro che amiamo e con cui abbiamo affinità. I modelli organizzativi ci offrono solo altra burocrazia, controllo e alienazione, uguali a quelli che riceviamo già dall’organizzazione attuale.
Occasionalmente può esistere una buona intenzione, ma il modello organizzativo deriva da una mentalità intrinsecamente paternalistica e diffidente, che sembra in contraddizione con l’anarchia. I veri rapporti di affinità nascono da una profonda comprensione reciproca nell’ambito di relazioni intime basate sui bisogni della vita quotidiana, non di relazioni basate su organizzazioni, ideologie, idee astratte.
Tipicamente, il modello organizzativo reprime i bisogni e i desideri dell’individuo per il bene della collettività, nel tentativo di uniformare sia la resistenza che l’immaginazione.
Dai partiti alle piattaforme e alle federazioni, sembra che con l’aumentare della scala dei progetti diminuiscano il significato e l’importanza che essi hanno per la vita di ciascuno.
Le organizzazioni sono mezzi per stabilizzare la creatività, controllare il dissenso e indebolire le tangenti controrivoluzionarie (principalmente determinate dalla leadership o dai quadri d’élite). In genere insistono sull’aspetto quantitativo, anziché su quello qualitativo, e offrono poco spazio al pensiero o all’azione indipendente.
Le associazioni informali, basate sull’affinità, tendono a ridurre al minimo l’alienazione delle decisioni e della loro attuazione e la mediazione fra i nostri desideri e le nostre azioni.
(Green Anarchy)
Occasionalmente può esistere una buona intenzione, ma il modello organizzativo deriva da una mentalità intrinsecamente paternalistica e diffidente, che sembra in contraddizione con l’anarchia. I veri rapporti di affinità nascono da una profonda comprensione reciproca nell’ambito di relazioni intime basate sui bisogni della vita quotidiana, non di relazioni basate su organizzazioni, ideologie, idee astratte.
Tipicamente, il modello organizzativo reprime i bisogni e i desideri dell’individuo per il bene della collettività, nel tentativo di uniformare sia la resistenza che l’immaginazione.
Dai partiti alle piattaforme e alle federazioni, sembra che con l’aumentare della scala dei progetti diminuiscano il significato e l’importanza che essi hanno per la vita di ciascuno.
Le organizzazioni sono mezzi per stabilizzare la creatività, controllare il dissenso e indebolire le tangenti controrivoluzionarie (principalmente determinate dalla leadership o dai quadri d’élite). In genere insistono sull’aspetto quantitativo, anziché su quello qualitativo, e offrono poco spazio al pensiero o all’azione indipendente.
Le associazioni informali, basate sull’affinità, tendono a ridurre al minimo l’alienazione delle decisioni e della loro attuazione e la mediazione fra i nostri desideri e le nostre azioni.
(Green Anarchy)
giovedì 11 agosto 2016
TORCHIO di Renzo Davet
il puzzo del loro vomito
attrezzo per il loro mestiere
dove tu sei il mostro,
Elemento, alimento per il loro
Torchio. Torchio. Torchio.
Torchio.
Gli occhi non possono vedere
prima che tutto sia pronto
chiusi; fissi nel loro pallido, cieco, vivere.
Stanze di casa,
cessi pieni di piscio,
scarpe sotto il letto, e
lì l’attrezzo per il loro vivere
liberi, il torchio, torchio
torchio strizza carne.
Camminando nella stessa
direzione, catene di carne,
per catene di acciaio.
Mani ruvide sotto l’acqua
mani ruvide in un abbraccio.
E lì, a sorvegliare: il torchio
torchio, torchio brucia uomini.
In un letto, il tuo corpo
come un parassita attaccato ad un
nervo, stanco, vuoto, sotto
i colpi del torchio, torchio
torchio annulla uomini, torchio
torchio, torchio
strappa cervelli
Crimethlnc: la normalizzazione di alcune forme delegittimanti di socializzazione
Alla fine degli anni Novanta gli anarchici sostenevano la partecipazione, il decentramento e l’azione individuale. Affidandoci alla nostra esperienza nel settore dell’autoproduzione alternativa, abbiamo contribuito a diffondere il modello virale, per cui un format sviluppato in un contesto può essere riprodotto in tutto il mondo. Esemplificato da programmi come Food Not Bombs e tattiche quali quella del Black Bloc, questo modello ha contribuito a diffondere una cultura antiautoritaria precisa da New York alla Nuova Zelanda. All’epoca rispondevamo sia ai limiti dei modelli politici e tecnologici del secolo precedente sia alle opportunità emergenti per il loro superamento. Questo ci collocò all’avanguardia delle innovazioni che hanno rimodellato la società capitalista. Per esempio, TXTmob, il programma di elaborazione di SMS messo a punto dall’Institute for Applied Autonomy per le proteste in occasione delle Convention nazionali dei democratici e dei repubblicani, è servito da modello per Twitter. Allo stesso modo, le reti internazionali dell’autoproduzione alternativa, nella forma teorizzata in manuali quali Book Your Own Fucking Life, si possono considerare precursori di Myspace e Facebook. Nel frattempo, il modello virale si è oggi affermato soprattutto per il marketing virale. La cultura dei consumi ci ha dunque catturati, integrando il nostro tentativo di fuga nel mantenimento dello spettacolo che avevamo rifiutato e offrendo a chiunque altro la possibilità di «evadere». Annoiato dalla programmazione a senso unico delle reti televisive, il consumatore moderno può provvedere alla propria programmazione personale, pur rimanendo a una distanza fisica ed emotiva dagli altri spettatori. Il nostro desiderio di maggiore capacità di intervento e partecipazione è stato esaudito, ma all’interno di un quadro ancora fondamentalmente determinato dal capitalismo. La pretesa che tutti diventino soggetti invece che oggetti è stata realizzata: siamo ora soggetti che gestiscono la propria alienazione, dando realtà alla massima situazionista secondo cui lo spettacolo non è solo il mondo delle apparenze, bensì il sistema sociale in cui gli esseri umani interagiscono soltanto in base ai ruoli prescritti. Anche i fascisti stanno tentando la strada del decentramento e dell’autonomia. In Europa i «nazionalisti autonomi» si sono appropriati dell’estetica e dei format radicali, utilizzando la retorica anticapitalista e la tattica del black bloc. Di sicuro intorbida le acque, ma qui non si tratta soltanto dei nostri nemici che cercano di camuffarsi e assumere le nostre sembianze: è anche indice di una spaccatura ideologica nei circoli fascisti, allorché la generazione più giovane tenta di aggiornare i propri modelli organizzativi per adeguarli al Ventunesimo secolo. I fascisti negli Stati Uniti e altrove sono impegnati nello stesso progetto, sotto la bandiera paradossale dell’«anarchismo nazionale»; se riescono a convincere l’opinione pubblica che l’anarchia è una forma di fascismo, le nostre prospettive saranno davvero desolanti.
«Nazionalisti autonomi» (Qualcuno, per favore, ci liberi dall’afflizione di questi idioti!)
Che cosa significa se i fascisti, i principali fautori della gerarchia, possono utilizzare le strutture decentrate che siamo stati i primi a introdurre? Il Ventesimo secolo ci ha insegnato le conseguenze derivanti dall’uso di mezzi gerarchici per perseguire fini presumibilmente non autoritari. Il Ventunesimo secolo potrebbe indicarci come mezzi presumibilmente non gerarchici possano produrre esiti gerarchici. Attingendo a questi e ad altri sviluppi, si potrebbe ipotizzare che ci stiamo muovendo verso una situazione in cui il fondamento della società gerarchica non sarà l’accentramento permanente del potere, ma la normalizzazione di alcune forme delegittimanti di socializzazione e di adozione delle decisioni e dei valori. Queste forme sembrano diffondersi spontaneamente, anche se in realtà paiono desiderabili in ragione di ciò che manca nel contesto sociale che ci viene imposto.
«Nazionalisti autonomi» (Qualcuno, per favore, ci liberi dall’afflizione di questi idioti!)
Che cosa significa se i fascisti, i principali fautori della gerarchia, possono utilizzare le strutture decentrate che siamo stati i primi a introdurre? Il Ventesimo secolo ci ha insegnato le conseguenze derivanti dall’uso di mezzi gerarchici per perseguire fini presumibilmente non autoritari. Il Ventunesimo secolo potrebbe indicarci come mezzi presumibilmente non gerarchici possano produrre esiti gerarchici. Attingendo a questi e ad altri sviluppi, si potrebbe ipotizzare che ci stiamo muovendo verso una situazione in cui il fondamento della società gerarchica non sarà l’accentramento permanente del potere, ma la normalizzazione di alcune forme delegittimanti di socializzazione e di adozione delle decisioni e dei valori. Queste forme sembrano diffondersi spontaneamente, anche se in realtà paiono desiderabili in ragione di ciò che manca nel contesto sociale che ci viene imposto.
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venerdì 5 agosto 2016
Gustav Landauer
Nato a Karlsruhe nel 1870, Gustav Landauer aderì in età giovanile all’anarchismo, difendendone per tutta la vita i valori e il progetto d’emancipazione. Attivo prevalentemente a Berlino, dove si era stabilito all’inizio degli anni Novanta, si legò all’Unione dei Socialisti Indipendenti, un’associazione fondata da un gruppo di transfughi della socialdemocrazia tedesca ostile al riformismo e al culto del parlamentarismo dominanti nel Partito. Tra il 1891 e il 1894, l’Unione si propose di sviluppare un confronto con le correnti dell’anarchismo che rifiutavano la “Propaganda del fatto” (omicidi politici, attentati a capi di Stato e di governo e ai vertici delle polizie europee, azioni dimostrative violente), servendosi soprattutto del suo organo di stampa, Der Sozialist, di cui Landauer divenne presto redattore, assumendone poi la direzione.
In questo periodo, egli assimilò il pensiero di Pierre-Joseph Proudhon e di Pëtr Kropotkin, elaborando una linea cooperativistica autonoma – approfondita nell’opuscolo del 1895 Una strada per la liberazione dei lavoratori – che gli dischiuse le porte verso il comunitarismo libertario, in seguito non più abbandonato. Alla fine del decennio, si aprì per lui un periodo di ripensamento e di studio: tradusse in tedesco opere di Walt Whitman, di William Shakespeare, di Oscar Wilde, e si avvicinò alla filosofia del linguaggio di Fritz Mauthner (1849-1923), tramite il quale scoprì anche le prediche del mistico medievale Meister Eckhart, che volse in tedesco moderno. Ritornato nel mondo politico, tra il 1908 e il 1915 animò l’Alleanza Socialista e riesumò Der Sozialist, che ne divenne la voce ufficiale. La nuova formazione politica si proponeva di creare comunità accanto allo Stato esistente, nell’ottica i fornire un esempio di vita basata sul lavoro in comune, a contatto con la terra e al riparo dalle conseguenze peggiori dell’industrializzazione: alienazione e sfruttamento, anzitutto.
Dopo la guerra Landauer partecipò alle vicende della rivoluzione tedesca in veste di Ministro dell’istruzione popolare nella prima Repubblica dei consigli di Monaco; cadde vittima della repressione il 2 maggio 1919.
Nel periodo del primo impegno politico, Landauer aveva risolutamente osteggiato il carattere determinista e scientista del socialismo dominante in Germania, opponendovi un’etica fondata sulla prefigurazione del fine ultimo – la società anarchica – in termini di passione e desiderio e sulla coerente individuazione dei mezzi adatti al fine. Differenziandosi dal socialismo scientifico, soprattutto nella forma veicolata dalle correnti ortodosse del marxismo tedesco, egli non pensava alla “città ideale” quale esito necessario dello sviluppo capitalistico; credeva infatti che la sua realizzazione dipendesse dall’intervento attivo degli uomini nella storia. Su queste basi, nel 1907 pubblicò il volume La rivoluzione, in cui, affrontando il problema della transizione con piglio eterodosso, esprimeva in prospettiva libertaria il clima culturale dell’epoca.
In questo periodo, egli assimilò il pensiero di Pierre-Joseph Proudhon e di Pëtr Kropotkin, elaborando una linea cooperativistica autonoma – approfondita nell’opuscolo del 1895 Una strada per la liberazione dei lavoratori – che gli dischiuse le porte verso il comunitarismo libertario, in seguito non più abbandonato. Alla fine del decennio, si aprì per lui un periodo di ripensamento e di studio: tradusse in tedesco opere di Walt Whitman, di William Shakespeare, di Oscar Wilde, e si avvicinò alla filosofia del linguaggio di Fritz Mauthner (1849-1923), tramite il quale scoprì anche le prediche del mistico medievale Meister Eckhart, che volse in tedesco moderno. Ritornato nel mondo politico, tra il 1908 e il 1915 animò l’Alleanza Socialista e riesumò Der Sozialist, che ne divenne la voce ufficiale. La nuova formazione politica si proponeva di creare comunità accanto allo Stato esistente, nell’ottica i fornire un esempio di vita basata sul lavoro in comune, a contatto con la terra e al riparo dalle conseguenze peggiori dell’industrializzazione: alienazione e sfruttamento, anzitutto.
Dopo la guerra Landauer partecipò alle vicende della rivoluzione tedesca in veste di Ministro dell’istruzione popolare nella prima Repubblica dei consigli di Monaco; cadde vittima della repressione il 2 maggio 1919.
Nel periodo del primo impegno politico, Landauer aveva risolutamente osteggiato il carattere determinista e scientista del socialismo dominante in Germania, opponendovi un’etica fondata sulla prefigurazione del fine ultimo – la società anarchica – in termini di passione e desiderio e sulla coerente individuazione dei mezzi adatti al fine. Differenziandosi dal socialismo scientifico, soprattutto nella forma veicolata dalle correnti ortodosse del marxismo tedesco, egli non pensava alla “città ideale” quale esito necessario dello sviluppo capitalistico; credeva infatti che la sua realizzazione dipendesse dall’intervento attivo degli uomini nella storia. Su queste basi, nel 1907 pubblicò il volume La rivoluzione, in cui, affrontando il problema della transizione con piglio eterodosso, esprimeva in prospettiva libertaria il clima culturale dell’epoca.
HONKYTONK MAN di Clint Eastwood
Negli Stati Uniti verso gli anni Trenta ha inizio la Grande Depressione. Una piccola famiglia di agricoltori dell’Oklaoma, pur trovandosi con il raccolto semidistrutto da un uragano, lascia partire il piccolo Whit con lo zio Red Stovall; perché Red è gravemente malato ed è un beone e, dovendo partecipare al festival di Nashville, qualcuno deve necessariamente occuparsi di lui. Red è un giramondo, ma anche un cantautore country e, per di più, affezionatissimo al suo saggio nipotino: così i due partono in macchina e con loro se ne va il vecchio nonno, ormai desideroso di tornare nel natio Tennesse per dare un significato ai fantasmi della sua giovinezza. Il viaggio verso Nashville è lungo: Red si produce, applaudito, in balere ed in altri locali più o meno popolari, vive un po’ di espedienti perfino il furto di polli, in una casa di piacere fa iniziare Whit ai misteri del sesso, ma purtroppo è sempre più malato e la tosse gli squassa il petto. L’audizione a Nashville è un insuccesso, ma ad essa assiste per caso il rappresentate di una casa discografica in cerca di nuovi talenti: la maniera di cantare di Red Stovall gli piace e, tra prove e tosse, il disco sarà fatto e lanciato, proprio mentre Red muore: a lui saranno accanto la fida bottiglia, una ragazzona conosciuta per caso e lo sconsolato nipotino che lo adorava.
Dal romanzo di Clancy Carlile, anche autore della sceneggiatura, uno dei lavori più belli e poetici diretti da Clint Eastwood film solare e polveroso. Il regista va alla scoperta del sound dell'America bianca, attraverso la figura di un antieroe virile e romantico, che nella musica consuma se stesso fino all'autodistruzione. Tempi perfetti, ottima ricostruzione d'epoca e parecchio humour in questa elegia tragicomica di un'America genuina e vitale.
Honkytonk man è un viaggio verso la morte per zio Red, ma anche un viaggio di iniziazione e di apprendistato per suo nipote Whit, perciò è un virile passaggio di consegne, circostanza che aggiunge tenerezza.
È un film di improvvisi sussulti di fuga e rincorsa. Un film del miraggio per un futuro migliore. Un film alla ricerca del punto di rottura dell’eroe, della materia contaminata da vizi, impossibilità di essere normali. Un film miracolosamente in bilico tra dramma e commedia; forse il quadro storico non è sempre attendibile, ma il risultato è di grande suggestione. L’evocazione del sogno americano si scioglie in un clima amarognolo, malinconico, che sconfina spesso nel pessimismo tra farmers poveri e vagabondi ai margini della storia.
Dal romanzo di Clancy Carlile, anche autore della sceneggiatura, uno dei lavori più belli e poetici diretti da Clint Eastwood film solare e polveroso. Il regista va alla scoperta del sound dell'America bianca, attraverso la figura di un antieroe virile e romantico, che nella musica consuma se stesso fino all'autodistruzione. Tempi perfetti, ottima ricostruzione d'epoca e parecchio humour in questa elegia tragicomica di un'America genuina e vitale.
Honkytonk man è un viaggio verso la morte per zio Red, ma anche un viaggio di iniziazione e di apprendistato per suo nipote Whit, perciò è un virile passaggio di consegne, circostanza che aggiunge tenerezza.
È un film di improvvisi sussulti di fuga e rincorsa. Un film del miraggio per un futuro migliore. Un film alla ricerca del punto di rottura dell’eroe, della materia contaminata da vizi, impossibilità di essere normali. Un film miracolosamente in bilico tra dramma e commedia; forse il quadro storico non è sempre attendibile, ma il risultato è di grande suggestione. L’evocazione del sogno americano si scioglie in un clima amarognolo, malinconico, che sconfina spesso nel pessimismo tra farmers poveri e vagabondi ai margini della storia.
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Honkytonkman. Clint Easewood
Crimethlnc: le contraddizioni delle nuove tecnologie
Nella seconda metà del Ventesimo secolo, i radicali si erano organizzati in enclave sottoculturali dalle quali lanciavano attacchi contro la società. L’invito a praticare la disoccupazione conflittuale presupponeva un contesto di spazi controculturali in cui le persone potessero rendersi intimamente partecipi a qualcos’altro. Oggi il orizzonte culturale è diverso, la stessa sottocultura sembra funzionare in maniera differente. Grazie alle nuove tecnologie di comunicazione, si sviluppa e si diffonde molto più velocemente, e viene sostituita con altrettanta rapidità. In un mondo fatto di informazione, la sottocultura non pare più al di fuori della società, a indicare una possibile via di fuga, ma si presenta come una delle molte zone al suo interno, una semplice questione di gusti. Nel frattempo, Internet ha trasformato l’anonimato, un tempo prerogativa di criminali e anarchici, in un tratto aspetto tipico della comunicazione quotidiana. Eppure, inaspettatamente, organizza le identità e le posizioni politiche in base a una nuova logica. Lo scenario del discorso politico è tracciato in anticipo dagli URL: è difficile produrre un immaginario collettivo del potere e della trasformazione quando ogni affermazione è già inserita in una costellazione nota. Un manifesto su un muro può essere stato affisso da chiunque; sembra indicare un sentimento generalizzato, anche se rappresenta solo le idee di una persona. Una dichiarazione su un sito Internet, invece, compare in un mondo perennemente segregato in ghetti ideologici. Così Internet ha parallelamente realizzato e reso obsolete le potenzialità che avevamo scorto nella sottocultura e nell’anonimato. Si potrebbe dire lo stesso della nostra perorazione del plagio. Dieci anni fa pensavamo di prendere una posizione estrema contro la paternità delle opere e la proprietà intellettuale, mentre in realtà eravamo precorrevamo appena l’evoluzione degli eventi. Le settimane spese a setacciare le biblioteche in cerca di immagini da riutilizzare prefiguravano un mondo in cui praticamente tutti fanno la stessa cosa per il proprio blog adoperando la funzione di ricerca immagini di Google. Il concetto tradizionale di paternità di un’opera è soppiantato da nuove forme di produzione, come il crowdsourcing, che indirizzano verso un possibile futuro in cui il lavoro volontario gratuito sarà una componente importante dell’economia – quale parte integrante del capitalismo, anziché forma di resistenza ai suoi valori. E qui arriviamo a uno dei modi più nefasti in cui i nostri desideri hanno trovato realizzazione nella forma, più che nel contenuto. La distribuzione gratuita, un tempo considerata dimostrazione concreta di un’alternativa radicale ai modelli capitalistici, è ormai data per scontata in una società in cui i mezzi di produzione materiale sono ancora nelle mani dei capitalisti. I formati elettronici si prestano alla distribuzione gratuita delle informazioni; questo costringe chi produce formati materiali, come i quotidiani, a cederli o a cessare l’attività, per essere rimpiazzati da blogger felici di lavorare gratis. Al contempo, il cibo, l’alloggio e altre necessità della vita, per non parlare degli strumenti necessari per accedere ai formati elettronici, sono costosi come sempre. Questa situazione offre ai diseredati qualche possibilità di accesso a determinati beni a tutto vantaggio di coloro che già controllano vaste risorse: è perfetta per un’epoca di disoccupazione dilagante, in cui sarà necessario pacificare i farne uso. Implica un futuro in cui un’élite ricca userà il lavoro gratuito di un vasto insieme di lavoratori precari e disoccupati per preservare il proprio potere e la loro dipendenza. L’aspetto più raccapricciante è che questo lavoro gratuito sarà assolutamente volontario, e darà l’impressione di portare benefici per tutti, invece che per l’elite. Forse la contraddizione essenziale della nostra epoca è che le nuove tecnologie e forme sociali permettono di adottare un modello orizzontale di produzione e distribuzione delle informazioni, ma creano maggiore dipendenza dai prodotti delle multinazionali.
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