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giovedì 18 agosto 2016

IL CARCERE

Spettrali strutture di cemento, o sagome massicce di pietra.
Uomini armati sui camminamenti.
Filo spinato, profili di mezzi blindati. 
Isolamento dai territori, dai legami, dagli affetti.
La violenza dei pestaggi e delle perquisizioni corporali; dei trasferimenti improvvisi.
Imposizione e regolamentazione dei ritmi della giornata in cui non è possibile ritagliare nessun spazio proprio.
La spersonalizzazione di una cella spoglia in cui nessun oggetto può diventare familiare ma rimane permanentemente freddo; estraneo, distaccato.
L’asetticità di un colloquio con i vetri; la separazione; la lontananza.
I corpi vengono tastati e frugati continuamente.
Dal muro di cinta ascoltano le voci, nei cortili, nei corridoi ci sono microfoni, i colloqui vengono registrati, la corrispondenza saccheggiata e censurata; l’occhio sempre vigile delle telecamere nelle docce e nei cessi.
Carcere fuori dal tempo e dagli spazi della vita.
Carcere significa morte e resurrezione.
Chi ne ha varcato le mura buie, è sceso all’inferno, ha camminato in tenebre spettrali.
È un toccato che ha conosciuto la faccia nascosta dell’universo dei vivi.

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