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giovedì 24 giugno 2021

Proudhon sulla proprietà

 

Se dovessi rispondere alla seguente domanda: Che cos’è la schiavitù? e rispondessi con una sola parola: E’ un assassinio, il mio pensiero sarebbe subito compreso. Non avrei bisogno d’un lungo discorso per dimostrare che il potere di privare l’uomo del pensiero, della volontà, della personalità, è un potere di vita e di morte, e che rendere schiavo un uomo significa assassinarlo. Perché dunque a quest’altra domanda: Che cos’è la proprietà? non posso rispondere allo stesso modo: E’ un furto senza avere la certezza di non essere compreso, benché questa seconda proposizione non sia che una trasformazione della prima? Io mi accingo a mettere in discussione il principio stesso del nostro governo e delle nostre istituzioni, la proprietà”. Quella che Proudhon vuole cancellare infatti, non è la proprietà intesa in senso assoluto, bensì la proprietà privata dei soli mezzi di produzione (in particolare la proprietà terriera, come abbiamo già accennato nelle scorse pagine): la proprietà che concerne il frutto del proprio lavoro invece, viene considerata dal pensatore francese come inviolabile. “Il diritto al prodotto è esclusivo, ius in re; il diritto allo strumento è comune, ius ad rem”1. Secondo Proudhon, in sostanza, bisogna abolire la proprietà privata dei mezzi di produzione per far sì che tutti, e non più solamente una ristretta cerchia di persone, abbiano a disposizione gli stessi mezzi per poter poi raggiungere fini determinati individualmente. Non a caso, in scritti successivi, egli non ha esitato ad affermare che la proprietà (intesa in questo caso come ius in re) è la libertà: poter disporre di quanto si produce, consumandolo o scambiandolo sul mercato, è infatti una fondamentale garanzia per far sì che si attui la libera scelta individuale. La proprietà privata è quindi da considerarsi un furto: tale furto consiste nel fatto che il singolo si appropria di un bene comune, sottraendolo definitivamente a tutti gli altri uomini. Questo dimostra anche che la critica rivolta a Proudhon da Stirner e Marx, secondo la quale dire che “la proprietà è un furto” è contraddittorio perché l’idea di furto presuppone comunque la proprietà, non regge: e non regge perché Stirner e Marx così dimostrano di non aver capito che per Proudhon in realtà non tutta la proprietà è un furto, bensì lo è la sola proprietà privata dei mezzi di produzione (della terra in particolare)… e questa proprietà privata è un furto ai danni di un’altra proprietà che Proudhon certo non nega: la proprietà collettiva dei mezzi di produzione, a cui tutti hanno un eguale diritto di accesso.


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