Translate

giovedì 1 luglio 2021

GLI ANARCHICI E IL POTERE

La rivoluzione spagnola trascende i suoi confini spazio-temporali perché si pone come quell’esperienza che ha riassunto e concretizzato tutti i maggiori problemi, teorici e ideologici, tattici e strategici, maturati dal movimento operaio e socialista fin dalla Prima Internazionale: il rapporto tra avanguardia rivoluzionaria e masse popolari, fra movimento specifico e organizzazione sindacale, le alleanze militari e politiche fra forze autoritarie e libertarie, le implicazioni e la verifica della reale portata dell’internazionalismo, la dimensione creativa e pluralistica dell’autogestione sono tutte questioni infatti che si trovano per intero nel particolare avvenimento iberico e che come tali gli conferiscono una valenza interpretativa generale. Essa rende evidente questa valenza «transitoria» che rappresenta, in una dimensione tragica e titanica, l’universalità dei problemi rivoluzionari di ogni ordine e grado. In modo particolare è possibile rilevare il problematico intreccio fra gli elementi ideologici propri all’anarchismo e quelli specifici della sua versione spagnola perché questa, esprimendosi a livello di massa, mette in luce una situazione del tutto nuova e complessa. Contemporaneamente allo sviluppo quantitativo dell’anarchismo (diffusione ed estensione della CNT-FAI, aumento vertiginoso dei suoi aderenti), assistiamo paradossalmente ad un immiserimento qualitativo dei suoi caratteri peculiari, delle sue tendenze e delle sue aspirazioni ideologiche. In altri termini, mano a mano che le organizzazioni anarchiche crescono e si estendono durante il periodo rivoluzionario, si restringono –quasi proporzionalmente – i valori etici e scientifici del patrimonio ideologico libertario. Questo progressivo abbandono degli insegnamenti teorici pone in risalto la specificità storica dell’esperienza spagnola, che si evidenzia, appunto, in questa contraddittorietà: da un lato la diffusione e l’estensione quantitativa delle organizzazioni storiche, dall’altro la riduzione qualitativa del sapere e dei valori rivoluzionari. La
partecipazione al governo o la resa di fronte alle manovre controrivoluzionarie dei comunisti nelle giornate di maggio del ’37 a Barcellona non rappresentano che gli esempi più clamorosi, perché più noti, di tale incongruenza che di fatto si risolve nella generale condotta suicida delle organizzazioni CNT-FAI rispetto alle possibilità operative aperte dalla forza storica del movimento anarchico iberico. Questo venir meno dei presupposti ideologici è dovuto all’accettazione della falsa dicotomia strategica fra guerra e rivoluzione, fra fronte popolare e autonomia libertaria, fra antifascismo e antiautoritarismo. L’aver praticato progressivamente tutti i primi termini di questo dilemma (guerra, fronte popolare, antifascismo) a scapito dei secondi (rivoluzione, autonomia libertaria, antiautoritarismo), l’aver accettato l’immediata realtà storica e non aver invece esplorato la realtà possibile del progetto anarchico ha portato l’anarchismo spagnolo alla contraddizione di se stesso. Va detto però che contemporaneamente a
tale incongruenza l’anarchismo esprime anche una diversa realtà. A riaffermare infatti i suoi principi rimangono le migliaia di anonimi militanti che, al fronte come nelle collettività, tentano di creare, fra enormi difficoltà tecniche e materiali, fra il sistematico sabotaggio dei controrivoluzionari comunisti, l’attacco nazi-fascista e il tradimento della sinistra legalitaria – tutte forze obiettivamente confluenti – la più grande realizzazione politica e sociale del riscatto umano. In tutti i casi, la contrapposizione all’interno del movimento anarchico spagnolo dei due momenti, quello dell’accettazione dei tempi storici e quello opposto di praticare fino in fondo quelli rivoluzionari, l’obiettiva frattura fra «dirigenze anarchiche » e masse popolari o, in termini più precisi, fra gli ambiti e le strutture organizzative della CNT-FAI e l’autonomia e la creatività libertarie, rende evidente la generale contraddizione che caratterizza l’esperienza del 1936-39, investendo l’analisi anarchica del rapporto fra politica e potere. Si sa infatti che per l’anarchismo queste due dimensioni sono equivalenti perché vengono identificate in uno stesso agire, precisamente nei moventi e negli esiti del principio di autorità. Esse si risolvono nel medesimo modo, quando tale principio è posto sul piano dell’effettività storica. Detto in altra maniera: la politica è la fenomenologia del potere, di cui lo Stato rappresenta l’espressione storicamente più compiuta perché ne esprime al tempo stesso la forma simbolica e la valenza reale. Le esperienze rivoluzionarie sembravano confermare, fino alla soglia della rivoluzione spagnola, questo assunto della sostanziale identificazione tra politica e potere, questo schematismo logico di spiegazione della azione sociale diretta a fini coercitivi. Si può insomma dire che, se non vi è stata una convincente aderenza alla tesi del modello euristico, non vi è stata neppure una decisiva smentita alle sue prerogative ideologiche: ogni qual volta il moto rivoluzionario aveva imboccato –non importa sotto quali spoglie – la via della ricomposizione del principio di autorità, la sua dimensione emancipatoria si era affossata entro i canali del tutto prevedibili della logica istituzionale e razionalizzatrice dell’esistente. Ebbene, il caso spagnolo ha posto in discussione tale teorema anarchico, evidenziandone la sua mera radice ideologica. Lo svolgimento storico che va dal 19 luglio 1936 al 7 maggio 1937 segna in Catalogna, cioè nella regione in cui gli anarchici furono la forza maggioritaria del moto emancipatore, una svolta epocale. Esso chiude il ciclo del protagonismo operaio e socialista di segno rivoluzionario, mettendo fine in Europa all’età delle rivoluzioni popolari, anzi, per meglio dire, alla prima e ultima rivoluzione proletaria dell’Occidente europeo. Contemporaneamente, apre un’altra fase storica la quale si trova segnata da una latente ambivalenza. In essa permangono due tendenze eterogenee: da un lato risulta esaurita la spinta sovversiva del movimento operaio, dall’altra, invece, insiste l’esigenza di una trasformazione radicale della società, anche se non vi è più un esplicito soggetto ad impersonificare l’azione. L’anarchismo in Spagna rende evidente la sostanziale impossibilità di un passaggio non traumatico dalla società del dominio alla società della libertà, ma per far questo deve anche vanificare la credenza, del tutto mitica, di un’univoca modalità trasformatrice che sarebbe data dal protagonismo insostituibile e determinante della forza proletaria. Proprio perché è stato il movimento anarchico ad essere il solo movimento che ha reso rivoluzionario il proletariato, è da allora possibile constatarne l’esauribilità sociale, nello stesso tempo in cui si manifesta, palese, la persistenza «transtorica» dell’istanza universale aperta dai princìpi del 1789. Cioè, le condizioni storiche della rivoluzione socialista vengono meno, ma la domanda di una trasformazione radicale dell’esistente continua a sussistere.



Nessun commento:

Posta un commento