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giovedì 28 aprile 2022

Primo Maggio

1 Maggio 1886.

Chicago. Sciopero generale. La polizia spara. Manifestazioni "sediziose" di protesta. Arresti. Cinque anarchici, G. Engel, A. Fischer, L. Lingg, A. Parsons, A. Spies, saranno condannati a morte. In onore dei cinque "martiri" di Chicago, il Primo Maggio verrà dichiarato giorno di Sciopero internazionale.

1 Maggio 1890.

Con l'organizzazione di scioperi in ogni parte del mondo, che testimoniano dell'unità di lotta di tutti gli sfruttati, inizia la serie di annuali manifestazioni di forza del proletariato organizzato. Manifestazioni minacciose, ribelli, cui i padroni rispondevano con la brutalità delle repressioni poliziesche. Lo sciopero periodico del primo maggio fu, per lunghi anni, una solenne ed energica rivendicazione dei diritti dei lavoratori che aveva, oltre alle caratteristiche della lotta di classe, anche "una accesa colorazione antireligiosa ed anticlericale" (Aggiornamenti Sociali, 1956, VI). La gente "per bene", in quel giorno "considerava prudente restarsene tappata in casa". (Civiltà Cattolica, 1892, II).

1 Maggio 1950.

Per la prima volta, in Italia, si festeggia con tutti i crismi della legalità il primo maggio, che è stato dichiarato dalla Repubblica "fondata sul lavoro" festività nazionale (legge 27 maggio 1949). Essa, a questo punto, non è più naturalmente la ricorrenza ribelle, la "festa" degli sfruttati. Essa è, almeno ufficialmente, divenuta una vaga e imprecisata "festa del lavoro". Il primo maggio continua, per forza di inerzia, ad essere per la massa dei lavoratori manuali, la "festa pagana della rivoluzione e del vino". Ma di rivoluzione, grazie agli sforzi congiunti di tutti i partiti e di tutti i sindacati, si parla sempre meno.

1 Maggio 1955.

Il papa "battezza" il primo maggio ed istituisce, per questa data, la festa di S. Giuseppe Lavoratore. Lo sciopero sovversivo dei lavoratori ribelli, la festa repubblicana del lavoro, sono divenuti addirittura una ricorrenza religiosa. Una folla di "aclisti" assiste "commossa" a questo battesimo cristiano del primo maggio. Dichiara un osservatore, cristiano naturalmente, "non si poteva, dinanzi a quella imponente massa di lavoratori... non esprimere il proprio affetto e la propria devozione alla Chiesa, assetata della parola del Papa, non essere presi da un senso di profonda commozione". O da conati di vomito!

1 Maggio 1971.

Così nell'occidente capitalistico e cristiano è finita la ricorrenza scomunicata e rivoluzionaria: il Papa fa discorsi commoventi e amorevoli ai suoi figliuoli lavoratori (che stiano buoni, però, perché "L'Italia sarebbe molto più avanti nel progresso e nell'evoluzione se non ci fossero state idee sovvertitrici che hanno turbato le menti dei lavoratori") - (Paolo VI, 1 maggio 1964); i padroni distribuiscono premi ai loro dipendenti più fedeli... c'è addirittura il "primo maggio tricolore" dei fascisti!... Intanto nei paesi che si proclamano "socialisti" e "proletari" le masse asservite dei lavoratori vengono fatte ammucchiare lungo i viali in cui - macabra parodia di celebrazione del primo maggio - sfilano lunghe parate di carri armati, di missili, di squallidi eserciti che marciano inquadrati, al passo dell'oca, e salutano sulle tribune d'onore i rappresentanti dei nuovi padroni, della nuova classe dirigente... Lo sciopero rivoluzionario è diventato, nelle cerimonie ufficiali dei governanti, dei preti, dei sindacalisti, dei politicanti, una festa reazionaria.




WARDANCE – Killing Joke

L'atmosfera è strana

fuori in città

musica per piacere

non è più musica

musica per ballare  

musica per muoversi

questa è la musica per marciare 

è una danza di guerra

una danza di guerra

guarda i graffiti

scarabocchiato sul muro

tu conosci il motivo

fuori dalla porta

hai qualcosa di

cattivo nella tua mente

prova ad uscirne

è una danza di guerra

una danza di guerra

hai aperto un pozzo

l'onestà è malata

cerca di essere onesto

guarda cosa ottieni

i cibi scarseggiano

e poi i soldi parlano

una via d'uscita

la tua premonizione è corretta

una danza di guerra


Errico Malatesta – parte terza

Comunismo ed organizzazione

Malatesta fu tra i primi esponenti dell'anarchismo a passare dal collettivismo bakuniniano al comunismo; secondo il Nettlau già nell'agosto-settembre del 1876, Malatesta era per il comunismo. Comunismo, per Malatesta, significa la massima libertà individuale integrata con la massima solidarietà sociale: la realizzazione di queste due proposizioni sta nel non svilupparne una a detrimento dell'altra. La pratica del comunismo viene quindi ad essere, secondo Malatesta, la pratica della libertà. Questa comporta la massima eguaglianza possibile per tutti di fronte alle condizioni materiali ed ambientali di vita e di lavoro, che solo il comunismo, a parere di Malatesta, può realizzare. La liberazione dell'individuo è dunque prima di tutto una liberazione sociale, nel senso che solo nello sviluppo della libertà di tutti è possibile realizzare la propria. Questo classico schema socialista-anarchico era stato da Bakunin formulato già ampiamente; Malatesta lo crederà realizzabile integralmente soltanto col comunismo, sebbene egli ammettesse la possibile coesistenza di diversi sistemi economici secondo le diverse condizioni ambientali. Per Malatesta comunque il problema fondamentale restava quello della libertà: il comunismo era solo il mezzo più efficace per realizzarla integralmente per tutti. In questo modo libertà e comunismo diventano, nel pensiero malatestiano, sinonimi. La progressiva libertà dell'individuo rispetto a tutti i condizionamenti materiali ed ambientali trova però la sua realizzazione pratica soltanto attraverso l'organizzazione libertaria della società. Organizzazione significa prima di tutto capacità di operare sul massimo piano possibile della libertà collettiva, nel senso che solo l'organizzazione può estendere i benefici del lavoro sociale ad ogni singolo individuo. Solo essa, insomma, è capace di utilizzare al massimo la "forza collettiva" del lavoro sociale. Intendiamoci, essa non è, per Malatesta, che un mezzo per realizzare il comunismo libertario. Malatesta era profondamente convinto che senza l'organizzazione nulla sarebbe stato possibile, ma parimenti sosteneva che essa andava modificata e modellata in rapporto alle esigenze libertarie ed egualitarie. Dal punto di vista metodologico il comunismo era il mezzo per realizzare la libertà, l'organizzazione il mezzo per realizzare il comunismo libertario. Ovviamente sul piano operativo libertà, comunismo ed organizzazione diventano, per Malatesta, quasi la stessa cosa.


giovedì 21 aprile 2022

Errico Malatesta – parte seconda

Il pensiero di Malatesta si presenta come una "sintesi" dei diversi indirizzi teorici sviluppatisi nel movimento anarchico in tutto l'arco temporale della sua vita.

pluralismo e relativismo

Abbiamo detto che ci interessa mettere in risalto, in questa introduzione al pensiero malatestiano, soprattutto la sua attualità dal punto di vista del metodo anarchico, come "modo generale" di affrontare i problemi e risolverli. Noi pensiamo che questo "modo generale" sia consistito per Malatesta in un atteggiamento intellettuale proteso verso la continua ricerca teorica aliena da sistemazioni definitive, da apriorismi dogmatici, da sterili formazioni "scientifiche" unidimensionali. In tutti i suoi scritti si può facilmente riscontrare questa "impostazione aperta" verso ogni prospettiva operativa nel senso che essa viene "armonizzata" con altre di diverso orientamento. In questo modo Malatesta si pone in un piano critico capace di "depurare" ogni atteggiamento intellettuale estremistico e settario. Pur conservando rigorosamente alcune posizioni proprie che non muterà mai, egli era profondamente convinto che ognuna di esse era suscettibile di ulteriori modificazioni secondo i tempi, i modi e i luoghi della loro applicazione. Ovviamente tale metodologia doveva venire estesa, secondo Malatesta, a tutti gli indirizzi teorico-pratici dell'anarchismo. In questo modo la "sintesi" malatestiana approdava ad alcune considerazioni teoriche di importanza fondamentale per lo sviluppo del pensiero anarchico: presa singolarmente ogni sentenza risultava insufficiente ad esprimere la ricchezza dell'universo sociale e della problematica rivoluzionaria. Per cogliere sempre più compiutamente questa inesauribile complessità occorreva evidentemente sviluppare contemporaneamente più indirizzi e tendenze, secondo la pratica storica dell'anarchismo. Dall'impossibilità, da parte di ogni indirizzo preso singolarmente, di rappresentare questa complessità, Malatesta deduceva un'altra considerazione teorica di grande valore: quando qualsiasi tendenza si fosse "cristallizzata", "istituzionalizzata", avrebbe perso anche la capacità di esprimere quella parte o aspetto della realtà sociale che prima rappresentava. Un esempio, Malatesta, fu tra i primi in Italia ad operare affinché il movimento anarchico organizzasse le "leghe di resistenza" o sindacati all'interno della classe operaia e bracciantile. Quando però la tendenza anarcosindacalista ebbe la pretesa di risolvere ogni problema rivoluzionario e sociale fino a volersi sostituire al movimento anarchico (pretendendo che quest'ultimo si "confondesse" con la classe operaia) Malatesta anticipò la sua futura "cristallizzazione" e "istituzionalizzazione" nel senso che abbiamo spiegato sopra. Il "sindacalismo puro" si dimostrò un'illusione non solo in Francia ma anche in Italia ed i suoi esponenti finirono quasi tutti nelle file nazionaliste e fasciste. La straordinaria funzione rivoluzionaria esercitata in Italia dall'anarcosindacalismo dal 1912 al 1921, fu dovuta al fatto che all'interno dell'USI operavano anarchici in stretto collegamento con il movimento specifico. Dell'istituzionalizzazione dei sindacati riformisti, poi è oggi superfluo parlare. Se dunque Malatesta fu in grado di anticipare tanti errori, sia tattici sia strategici, per la sua eccezionale esperienza, è proprio a quest'ultima che dobbiamo risalire se vogliamo comprendere il significato del pluralismo presente nel suo pensiero. Attraverso la pratica storica dell'anarchismo e del movimento operaio socialista, Malatesta potè verificare la validità e l'insufficienza di ogni proposta operativa, formulando così compiutamente la teorizzazione della dipendenza dei mezzi rispetto al fine.

Questa considerazione ampiamente presente nel pensiero anarchico, trovò nel pluralismo e relativismo malatestiano la sua verifica sperimentale. Malatesta infatti poté verificare il grado di efficacia dei mezzi rispetto al fine proprio alla luce di una gamma di esperienze socialiste e popolari diversissime: dall'insurrezionalismo al parlamentarismo, dall'individualismo al comunismo, dall'educazionismo all'anarcosindacalismo, dall'antimilitarismo alla non violenza, ecc. Questa continua e progressiva ricerca dell'identità tra principio proclamato e pratica storica, identità che solo il movimento anarchico, a nostro avviso, ha volutamente cercato e sviluppato, è stata completamente recepita ed espressa da Malatesta. Ed è proprio qui che nasce la considerazione relativistica del pensiero malatestiano, nel senso che egli vedeva ogni tendenza o indirizzo sempre legati a precisi momenti storici o a determinati aspetti della lotta sociale. Vediamo comunque ora, sempre dal punto di vista metodologico, le posizioni qualificanti del pensiero malatestiano, dal momento che alcune di esse furono immutabilmente presenti per tutto l'arco della sua attività rivoluzionaria.


David Wieck

Il 1° luglio 1997, moriva ad Albany, nello stato di New York, David Thoreau Wieck. Nato nel 1921 nell’Illinois in una famiglia in cui l’attivismo politico di stampo radicale era di casa (la madre, Agnes Burns era conosciuta nel movimento sindacale come «la Mother Jones dell’Illinois»), alla metà degli anni Trenta si trasferisce con la famiglia a New York, dove appena quindicenne aderisce all’anarchismo. Alla fine degli anni ’30, mentre è studente alla Columbia University, David matura una scelta di antimilitarismo militante che lo porterà, una volta scoppiata la seconda guerra mondiale, a rifiutare la coscrizione obbligatoria, cosa che nel ’43 lo porterà in prigione. Insieme ad altri obiettori, organizzerà durante la prigionia una serie di azioni di disturbo contro la politica di segregazione razziale attuata nel sistema penitenziario americano. Dovrà aspettare il 17 maggio del 1946 per essere finalmente rilasciato, oltretutto solo dopo vivaci proteste degli ambienti antimilitaristi e pacifisti. Tornato a New York entra a far parte della redazione del periodico anarchico «Why? A Journal of Free Inquiry», uno dei più interessanti e vivaci laboratori di ricerca dell’anarchismo contemporaneo anglosassone. E questo il gruppo in cui lavorano, tra gli altri, Paul Goodman, Audrey Goodfriend, David Koven e Diva Agostinelli, di famiglia anarchica d’origine italiana, che diventa la compagna della sua vita. Alla fine degli anni Quaranta il gruppo originale si disperde e la redazione viene assunta dal solo Wieck, che modificata la testata in «Resistance» continuerà le pubblicazioni fino al 1954. Dai primi anni ’60 insegna filosofia al Polytechnic Institute di Rensselaer, dove partecipa attivamente per tutto il periodo alle iniziative antimilitariste contro la guerra in Vietnam. Nel frattempo scrive diversi saggi sull’anarchismo contemporaneo come Essentials of Anarchism, Anarchism Justice, The Negativity of Anarchism, The Habit of Direct Action ed altri ancora, tra cui una biografia della madre. In italiano è uscito il suo The Negativity of Anarchism, pubblicato in tre puntate nel 1976 su «Volontà» (a.XXIX, nn. 2,3,4) con il titolo Il negativismo anarchico.


Gli arditi del popolo

Questo movimento, sorto nel 1920 per iniziativa di elementi eterogenei, si sviluppò rapidamente assumendo caratteristiche marcatamente antifasciste ed antiborghesi, e fu caratterizzato da un marcato decentramento autonomo delle organizzazioni locali. Gli Arditi del Popolo assunsero quindi colorazioni politiche talvolta differenti da un posto all'altro, ma sempre li accomunò la coscienza della necessità di organizzare il popolo per resistere violentemente alla violenza delle camicie nere. Gli anarchici aderirono entusiasticamente alle formazioni degli Arditi e spesso ne furono i promotori individualmente o collettivamente; basti pensare che in maggioranza anarchici furono i difensori di Sarzana e che a Parma, fra le famose barricate erette per resistere agli assalti delle squadracce di Balbo e Farinacci, ve n'era una tenuta dagli anarchici. Completamente diverso fu l'atteggiamento sia dei socialisti sia dei comunisti (questi ultimi costituitisi in partito nel gennaio 1921). Nonostante la vasta e spontanea adesione di molti loro militanti agli Arditi del Popolo, entrambe le burocrazie partitiche presero le distanze e cercarono di sabotare lo sviluppo di quel movimento. Gli organi centrali del neonato P.C. d' I. giunsero al punto di imporre ai propri iscritti di evitare qualsiasi contatto con gli Arditi, contro i quali fu imbastita anche una campagna di stampa a base di falsità e di calunnie. Intervistato alla televisione il comunista Umberto Terraccini ha cercato ancora di giustificare quella scelta politica. E ancora oggi noi, come già cinquant'anni fa i nostri compagni, vediamo proprio in quella scelta un esempio tipico della volontà comunista di subordinare la lotta antifascista alla coincidenza con le proprie mire di egemonia sul movimento operaio. È evidente che questa dura critica alla politica dei vertici dei partiti di sinistra di fronte alle violenze fasciste non coinvolge i militanti di base, che - anche se su posizioni da noi molto differenti - dettero il loro contributo di lotta e di sangue alla lotta contro il fascismo. Il disfattismo social-riformista ed il settarismo comunista resero impossibile una opposizione armata generalizzata e perciò efficace al fascismo ed i singoli episodi di resistenza popolare non poterono unificarsi in una strategia vincente. 


giovedì 14 aprile 2022

Errico Malatesta - parte prima

Errico Malatesta nasce a Santa Maria Capua Vetere (Caserta) nel 1853, da una famiglia di proprietari terrieri. Segue per alcuni anni gli studi di medicina, che abbandona per potersi pienamente dedicare all'attività rivoluzionaria. Con Costa e Cafiero è fra i più attivi esponenti italiani dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori, partecipa ai moti di Bologna (1874) e del Matese (1877), quindi è condannato e costretto al suo primo periodo di esilio, cui ne seguiranno molti altri. Lo ritrovano così attivo propagandista e militante in Argentina, in Spagna, in Francia, in Belgio, ecc., braccato dalle polizie di molti paesi. Tornato clandestinamente in Italia (1897), pubblica L'Agitazione di Ancona, partecipa ai moti popolari per il pane, viene nuovamente arrestato, confinato, ma riesce a scappare ed a riparare negli Stati Uniti (1899), dove dirige La Questione Sociale. Torna a Londra e vi rimane fino al 1913, partecipando nel frattempo al congresso internazionale anarchico di Amsterdam (1907); al suo ritorno in Italia dirige il periodico Volontà. Nuovamente esiliato a Londra prende decisamente posizione contro la prima guerra mondiale, e torna in Italia (1919) in tempo per esercitare una grande influenza sulle grandi lotte dei lavoratori culminate con l'occupazione delle fabbriche; instancabile è l'attività di Malatesta oratore, organizzatore rivoluzionario e redattore del quotidiano anarchico Umanità Nova. Il fascismo lo ha deciso oppositore, e cerca di isolarlo circondando la sua casa di Roma di sbirri: non osa però arrestarlo e Malatesta fino alla sua morte (1932) continua a collaborare a pubblicazioni anarchiche straniere, senza perdere, finché possibile, i contatti con i pochi compagni ancora liberi. L'azione e il pensiero di Errico Malatesta, la sua opera di instancabile rivoluzionario partecipe per sessant'anni alle lotte e allo sviluppo storico dell'anarchismo. Malatesta fu di queste lotte uno dei massimi protagonisti, sia per l'attività prodigiosa che seppe profondere in tali lotte, sia perché di queste lotte, egli fu a volte l'ispiratore e da esse seppe trarre un'esperienza ricchissima di cui i suoi innumerevoli scritti sono testimonianza teorica di altissimo valore. Infatti tutta la sua produzione teorica non è mai stata disgiunta dal rapporto diretto con l'esperienza concreta, tanto che essa si presenta proprio come una continua riflessione sul processo reale e storico dell'anarchismo. In Malatesta teoria e pratica sono tutt'uno: l'una è il riflesso dell'altra e viceversa. In tutto l'arco della sua attività rivoluzionaria egli mantenne in un raro equilibrio queste due componenti, fino a farne, come abbiamo detto, una cosa sola. Malatesta inoltre essendo stato partecipe alla fondazione "ufficiale" del movimento anarchico italiano ed internazionale, vide, vivendo e partecipando alle sue lotte, la teoria farsi storia nel corso progressivo di innumerevoli e diversissime esperienze, in un arco di tempo che va dal 1872 al 1932: un'esperienza rara, forse unica.

 

AL COLLO UN FILO DI ESILI GRANI - Anna Achmatova

Al collo un filo di esili grani,

celo le mani nel largo manicotto,

gli occhi guardano distratti

e non piangeranno mai più.

Sembra il volto più pallido

per la seta che tende al lilla,

arriva quasi alle sopracciglia

la mia frangetta non ondulata.

E non somiglia ad un volo

questa lenta andatura, quasi avessi

sotto i piedi una zattera

e non i quadretti del parquet.

La bocca bianca è socchiusa,

ineguale il respiro affannato,

e sul mio petto tremano i fiori

dell’incontro che non c’è stato.


Utilizzo del territorio come pratica di resistenza

L’urbanismo unitario prevedeva un utilizzo del territorio come pratica di resistenza ed opposizione alle strategie di pianificazione dell’urbanismo razionalista considerato colpevole, agli occhi dei situazionisti, di costruire città alienanti per l’individuo e la società. L’urbanismo unitario era un vero e proprio programma di guerriglia, estetica, funzionale e politica, che coinvolgeva e sconvolgeva il tessuto urbano. Rispetto ad un fare tecnocratico, di manipolazione degli esseri umani come cose, realizzato dalla pianificazione degli urbanisti razionalisti che guardavano e progettavano strategicamente la città “dal di fuori”, i situazionisti lavoravano sulla città tatticamente “dall’interno”. I situazionisti negavano i valori pratici dell’urbanistica razionalista (gli spazi progettati come pre-determinati all’uso) a favore di una valorizzazione ludica, di libero gioco e di libero utilizzo della città preferendo gli spazi d’uso semi-determinati e informali. Questa valorizzazione portava ad un congiungimento del soggetto con il suo oggetto di valore che dava luogo, a sua volta, ad una valorizzazione utopica degli spazi urbani, ovvero ad una costruzione di una nuova società attraverso l’unione realizzata tra città e abitanti: da qui il termine urbanismo unitario. Tale unione avrebbe dovuto portare ad un cambiamento radicale e irreversibile della loro identità comune. Come diceva un celebre slogan situazionista scritto sui muri di Parigi durante i giorni del Maggio francese: “niente sarebbe stato più come prima”. Gli studi sul nomadismo e sugli accampamenti degli zingari furono un preludio fondamentale sia alla nascita stessa dell’Internazionale Situazionista, sia al progetto di New Babylon, la città situazionista progettata da Constant. New Babylon era per i situazioni la realizzazioni di un nuovo modello di città, la concretizzazione delle loro teorie sull’urbanismo unitario. New Babylon, nelle intenzioni dei situazionisti sarebbe stata una città composta da parti mobili, modulari, ricombinabili. Una sorta di enorme sovrastruttura abitativa, una enorme rete, un rizoma, che avrebbe ricoperto l’intera sfera terrestre con delle megastrutture ludiche. Si trattava, per Costant e per i situazionisti, di creare un labirinto dinamico in perpetua trasformazione.


giovedì 7 aprile 2022

Giovanni Passannante – Parte seconda

Dalla perizia psichiatrica dei sig. Biffi e Tamburini apprendiamo che Giovanni Passannante non era un deficiente come vorrebbero far credere oggi i sicari della penna, ma possedeva un’intelligenza superiore alla media, che gli aveva permesso, a lui umile cuoco, di acquistare una cultura non comune fra la gente del popolo. Ebbene malgrado la sua bontà d’animo affermata dagli psichiatri, malgrado la sua illibatezza di costumi, malgrado la nobiltà dei sentimenti che lo avevano spinto a compiere l’attentato, non contro Umberto I, ma contro il tiranno, fu condannato a morte, e per crudeltà maggiore, salvato dal patibolo per farlo morire cento volte al giorno, nelle tetre segrete della Torre. C’è da inorridire al pensiero di come quest’uomo geniale, intelligente, di sana e forte costituzione fisica, abbia potuto perdere la ragione e la salute. C’è da inorridire pensando a quei dieci anni passati nel buio e nel silenzio di una tomba. Il cadavere di Giovanni Passannante si innalza oggi fremente di fronte ad una dama eternamente bionda che non conobbe altro che le raffinatezze crudeli della più abietta vendetta. Nessuno ha mai potuto illustrare le sofferenze di Giovanni Passannante. Quando le porti pesanti della sua tetra e fetida prigione si aprirono per lasciarlo passare onde trasportarlo al manicomio di Montelupo, da quella tomba non uscì che il corpo disfatto della povera vittima, la quale lasciava là dentro la parte sua migliore, il suo cervello pensante, la sua forza d’animo, la fede nell’Idea di fratellanza umana. Poche rivelazioni si ebbero sulla vita che il Passannante passò in carcere. L’unica persona che lo vide, l’on. Bertani, ne fa un quadro raccapricciante. Saverio Merlino ne parla nel suo libro L’Italie telle qu’elle est in questo modo:
«Per due anni e mezzo Passannante restò sepolto in una completa oscurità, in una cella situata al di sotto del livello dell’acqua, e là sotto l’azione combinata dell’umidità e delle tenebre il suo corpo spogliò di ogni pelo, si scolorì e si gonfiò in una guisa pietosa. Più tardi lo si fece montare per scale segrete e oscure, senza ch’egli vedesse un lembo di cielo, a una cella superiore. Là egli restò rinchiuso giorno e notte senza interruzione. Il guardiano che lo guardava a vista, aveva l’ordine espresso di non mai rispondere alle sue domande, fossero anche le più urgenti e le più indispensabili. È inutile dire ch’egli non riceveva mai né lettere, né visite. Bertani fu il solo che riuscì a forzare la consegna. Dopo otto giorni d’insistenza, di minacce e di dispacci col ministero, ottenne un permesso, che era stato sempre rifiutato a degli stranieri eminenti, ed anche all’arcivescovo di Portoferraio. Ma egli doveva guardare il prigioniero da un buco della porta e alla condizione assoluta di non parlare, perché il prigioniero non doveva accorgersi della presenza d’un visitatore. Dopo un certo tempo, necessario ad abituare l’occhio alle tenebre, Bertani poté discernere alla debolissima luce di una lanterna situata nell’interno della cella la figura di Passannante ridotto in una condizione raccapricciante. Le sue membra erano gonfie, il suo viso cereo, egli giaceva su un tavolaccio ed emetteva dei rantoli tenendo sollevata con una mano una grossa catena di 18 chili ch’egli non poteva sopportare in altro modo data l’estrema sua debolezza. Il disgraziato mandava delle grida strazianti, che i marinai dell’isola sentivano sempre con grande emozione; come i detenuti della prigione S. Francesco di Napoli avevano sentito le sue grida d’angoscia, quando lo si torturava, prima, durante e dopo il processo, per fargli confessare il nome dei presunti complici, ch’egli non aveva avuto. Simile orrendo trattamento spezzò la sua fibra robusta; egli impazzì, si ridusse a tal punto da mangiare i propri escrementi! Solo allora il governatore dell’isola si commosse e temendo peggio (come se potesse darsi una cosa peggiore di quella rovina!) si decise a trasferire la povera vittima al manicomio provinciale di Montelupo». E malgrado tutto questo si ha l’audacia di dire che Giovanni Passannante ebbe salva la vita per la bontà del sovrano. Un delitto continuato 33 anni si è potuto compiere indisturbato nell’Italia libera ed indipendente, consenzienti le antiche vittime della tirannia austriaca, alleate agli sbirri, ai magistrati, ai carcerieri, uniti tutti per rendere quanto più dolorosa era possibile la vita a chi aveva sentita l’audacia allettante della libertà senza limite. Giovanni Passannante è morto. Ma dove egli passò tanti anni della sua vita, un’altra intelligenza va spegnendosi lentamente. Pietro Acciarito, la vittima dei Doria e dei Canevelli, deve essere strappata alla vendetta della vedova inconsolabile. I Rivoluzionari, gli Audaci, i Ribelli debbono in ogni modo agitarsi ed agitare, per la libertà di lui e di tutte le altre vittime che malgrado le amnistie burletta di questi ultimi tempi, rimangono a languire nelle segrete italiane. Possano i racconti delle infamie compiute contro Giovanni Passannante, Pietro Acciarito e Gaetano Bresci; le uccisioni dei Frezzi, dei d’Anrelo e dei cento altri risvegliare nell’animo delle plebi italiane il fuoco sacro della Vendetta e dell’Odio. (La Rivolta, Pistoia, anno I, n. 8 del 19 febbraio 1910



DONNIE DARKO – Richard Kelly

Donnie Darko è un adolescente degli anni '80 ma non come tanti, in quanto da tempo in cura psichiatrica per problemi comportamentali che lo portano a molteplici difficoltà nei rapporti relazionali. Frequenta una psicologa per tentare di curare la sua patologia e vive con i genitori e le due sorelle, la maggiore Elizabeth e la più piccola Samanta, ed è proprio nella casa di famiglia che una notte accade una potenziale tragedia: il motore di un aereo infatti cade nella camera del giovane, distruggendola completamente. Il protagonista in quel momento però era da un'altra parte in quanto vittima di un misterioso attacco di sonnambulismo, durante il quale ha incontrato un inquietante essere vestito con un costume da coniglio antropomorfo. Il bizzarro interlocutore gli ha comunicato che il mondo avrà fine tra 28 giorni, 6 ore, 42 minuti e 12 secondi e Donnie si risveglia il mattino successivo in un campo da golf. Il ragazzo torna a casa e scopre quanto accaduto, di essere miracolosamente scampato alla morte; da quel momento però è altresì vittima di allucinazioni sempre più frequenti nel quale il coniglio gigante lo spinge a compiere atti solo apparentemente privi di senso ma in realtà facenti parti di uno
schema prestabilito. L'incontro con la bella Gretchen, una nuova compagna di scuola, pare portare un po' di serenità nella vita di Donnie, ma il destino ha in serbo ben altre sorprese per lui. La cornice delle allucinazioni di Donnie è l’America anni ’80 che segue in TV il dibattito presidenziale tra Bush e Dukakis, legge Stephen King, ascolta i Duran Duran: materialismo, consumismo, individualismo e cinismo si fondono nel ritratto del nostro recente passato, di cui Donnie è elemento dissonante. Un corpo estraneo capace di manipolare lo spazio e il tempo: il libro The Philosophy of Time Travel – donato al ragazzo dal prof. di fisica – è la chiave per accedere a un Universo Tangente. Mescolanza di fantascienza, horror e indagine sociologica delle moderne periferie. La storia di un adolescente americano contro un mondo che cerca di propinargli felicità a buon mercato. Se preferite, la parabola dell’incomprensione generazionale, dell’isolamento dell’individuo, del rifiuto dei dogmi, degli insegnamenti stereotipati per intraprendere la lunga – e non certo indolore – strada per costruire pratiche di vita a misura d’uomo, vivibili e
reali. L’inquietante amico Frank che indossa un costume da coniglio, rappresenta quella coscienza “sporca” presente in ognuno di noi, che ci spinge a compiere azioni opinabili, ad andare oltre i limiti, tentati dall’adrenalina che questi possano trasmettere; quel desiderio irrefrenabile di punire e fargliela pagare a chi non ci va a genio, lasciando esplodere la rabbia e la frustrazione che ci si porta dentro. Donnie non si pone limiti e da’ sfogo alla sua ira, usando i consigli malvagi del suo nuovo compagno.  La spiegazione più sensata del film, è quella della dimensione parallela. Frank (il coniglio travestito che vive nel subconscio del protagonista), deceduto nella realtà, sarebbe capace di tornare indietro nel tempo per cercare di dare un senso agli eventi. Il suo scopo è impedire l’errore, il paradosso creato dalla caduta del reattore di un boeing proprio sopra l’abitazione di Donnie. Difatti Frank lo attira fuori di casa e, pochi minuti dopo, lo stesso reattore precipita nella camera da letto del protagonista, distruggendola. Donnie così, ha l’opportunità di vivere per 28 giorni nell’Universo Tangente. In questa sfida tra spazio e tempo, nella lotta tra futuro e passato, Donnie sceglierà di sacrificarsi. Tramite il wormhole, una scorciatoia/cunicolo temporale, il ragazzo tornerà alla notte del 2 ottobre 1988. Una volta giunto lì, sceglierà volontariamente di morire nella sua camera, ricollegandosi all’inizio del film. Tutti coloro che hanno incontrato e interagito con Donnie durante il breve periodo dell’Universo Tangente, avranno come memoria solo un vago e sbiadito ricordo nella realtà. Tutto si ridurrà a un’amara sensazione, un vuoto incolmabile che li spingerà a svegliarsi in lacrime durante la notte.



La buona e la cattiva reputazione

La buona e la cattiva reputazioneSe l’opinione ti giudica simpatico, bello, intelligente, vivresti meglio? Se essa ti stima stupido, squallido, infame, vivresti peggio? Nel caso affermativo, bisogna, di fatto, che ti preoccupi degli altri perché tu esisti per loro, gli appartieni, hai bisogno di sedurre, di opprimere, di ubbidire, di sfuggirti. Se no, lascia correre e che si appannino le immagini prefabbricate della tua buona e cattiva reputazione. Non sarà più necessario mentirti se non ti preoccuperai più di apparire, di metterti in posa per la famiglia e per la storia, di tremare davanti a questo riflesso che è solo la tua rappresentazione estranea. L’opinione ha i suoi assassini e le sue prigioni? Quando cominceremo ad abbattere le prigioni interiori e gli assassini imboscati del super-io, quelli esterni cadranno come la Bastiglia. Si arriva a tutto se non si dubita di niente. Non sono unico per sempre che in me e per me. La vostra fretta a decifrarmi maneggia con troppa facilità lo scalpello dell’autopsia e della disinibizione. Non c’è migliore curiosità della mia stessa curiosità verso di me. E anche se la tua tenerezza mi aiuta a vedere più chiaramente non sono ancora il solo che può tirar fuori qualche luce dall’ombra? Niente mi piace di più che vedere gli esseri e le passioni armonizzarsi in me e intorno a me. Aspiro a delle affinità che si legano e si slegano senza rotture, secondo il ritmo capriccioso dei desideri, sfuggendo nella gratuità più assoluta ai tics ombrosi della volontà di potenza, e senza che il riflesso della frustrazione imponga la sua grinfia di amarezza sull’assenza di una persona cara. Che ognuno conservi i suoi gusti e i suoi disgusti, i suoi accordi e i suoi disaccordi, o che li cambi, poco importa, purché regni l’esuberanza della vita e non la morte che si annuncia da tutte le separazioni.