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giovedì 6 marzo 2025

L’Anarchia nel XX secolo – Parte LVIII

1954 

Giugno - La Fédération Communiste Libertaire francese e gli italiani Gruppi anarchici d'azione proletaria proclamano la nascita dell'Internazionale Comunista Libertaria, fondata sui seguenti principi di organizzazione interna: unità ideologica; unità tattica all'interno di ciascuna sezione dell'Internazionale; possibilità di tattiche differenti tra una sezione e l'altra, adeguate alle condizioni particolari dei diversi paesi, ma previa discussione in seno all'Internazionale. La  partecipazione  francese, particolarmente agguerrita, risente, più che dell'ideologia anarchica tradizionale, della formazione di giovani provenienti dal partito comunista francese e dai gruppi comunisti d'orientamento trotzkista. Essi portano con sé un'abitudine alla disciplina e al rigore organizzativo e d'analisi politica che contrastano con l'abito mentale anarchico. La loro prassi, che nasce dalla rimeditazione del marxismo alla luce dei fallimenti e dei tradimenti della dittatura staliniana, risente del pensiero del comunista-libertario francese Daniel Guérin (autore dell'importante opera Fascismo e grande capitale) che finirà con l'influenzare sempre più Georges Fontenis. La pressione di cosi contrastanti posizioni avrà come conseguenza, nel 1956, lo scioglimento della FCL che confluirà in un nuovo organismo cui aderiranno anche i trotzkisti lambertisti, e che sarà una delle componenti del gauchisme francese. 

Ottobre - Armando Borghi pubblica a Napoli il libro di memorie Mezzo secolo di anarchia che comprende eventi e figure dell'anarchismo internazionale dal 1898 al 1945. Gaetano Salvemini scrive nella  prefazione, rivolgendosi all'autore: «Se le vostre persone, le vostre opinioni e le vostre opere sono mal conosciute e giudicate, la colpa è vostra. Quando non siete in prigione, la prigione ve la costruite voi stessi colla vostra volontà, chiudendovi in un ghetto a parte. Se i benpensanti non vedono in voi che lupi mannari, questo non è dovuto solo ai loro pregiudizi, ma anche alla  loro ignoranza. Ne avevo sentite io sul tuo conto, prima di conoscerti di persona! Mi dici come potrei io accertare la verità, per esempio, sulla parte che tu prendesti, nel 1922, nella "Alleanza del lavoro",  se mi manca la tua versione, e se debbo lavorare solamente sulle versioni o fasciste o socialiste?». Sulle drammatiche circostanze della nascita e del clima generale dell'Alleanza del lavoro il Borghi scrive: «Durante la mia carcerazione, l'Unione Sindacale Italiana aveva inviato a Mosca due altri rappresentanti, sempre per trattare la questione dell'unità sindacale. Questa volta la scelta era caduta su due zucche vuote, che gli scaltri "compagni" fecero ballare a piacere. Una di esse, Mario Mari, veniva dagli Stati Uniti, e fece da violino di spalla. L'altra, Nicola Vecchi, era un sindacalista finito poi nel pozzo nero fascista. Tornarono dalla Russia con quel  patto, scritto e sottoscritto, di unione coi comunisti che l'anno prima è noto io avevo rifiutato. Per il partito comunista portava le firme di Egidio Gennari, Luigi Repossi e Umberto Terracini. Presi su di me la responsabilità di puntare pubblicamente i piedi. Il patto di "stretta collaborazione" (venne) respinto dall'Unione Sindacale Italiana. Ma  tutta la stampa comunista era al servizio di Nicola Vecchi nella polemica contro di noi. Più tardi Ugo Fedeli mi disse che gli risultava positivamente che era stata versata la somma di trentamila lire che il Vecchi riscuoteva a rate dalle mani del comunista Nicola Bombacci, finito poi anche lui fascista.


WALKABOUT – Nicolas Roeg

Una ragazza e suo fratello vanno a fare una gita nella savana australiana. Sono accompagnati dal padre. Mentre lei prepara il picnic, il padre, improvvisamente, estrae una pistola e comincia a sparare: i due ragazzi si nascondono e il padre si spara un colpo. La ragazza tranquillizza il fratello dicendogli che non è successo niente di grave. Lo prende per mano e cerca di tornare a casa attraverso il deserto. Al calar della sera si rendono conto di essersi perduti. II giorno dopo trovano un'oasi ma l'acqua finisce presto e la loro situazione appare disperata. Inaspettatamente, dal deserto, compare un giovane aborigeno. Egli sta compiendo il suo vagabondaggio - il periodo di sei mesi in cui, secondo le leggi tribali, egli deve vivere a contatto con la natura e trasformarsi in un uomo. L'aborigeno prende i ragazzi sotto la sua protezione e li conduce attraverso la vasta terra desolata. Finalmente trovano una fattoria abbandonata che sembra loro un buon posto per fermarsi. Ma poi l'aborigeno prende il ragazzo e gli mostra una strada che può ricondurli alla civiltà. Dispiaciuto dal fatto che il bambino e la ragazza tra breve se ne andranno ponendo fine alla vita in comune, l'aborigeno si dipinge il corpo e dà inizio ad una danza di corteggiamento; la ragazza, temendo un qualche tipo di violenza, si ritrae dal giovane. Lui continua  a danzare per ore. Al mattino lo trovano morto. Sconcertati, i due fratelli prendono la strada della salvezza, solo per essere accolti con ostilità nella prima cittadina che incontrano).

 In Walkabout lo scontro è insieme umano (la ragazza bianca e l'aborigeno nero) e culturale (la città, da una  parte, il deserto dall'altra). L'interazione è il prodotto di una necessita geografica e biologica (la ragazza è priva di aiuti nel mondo dell'aborigeno, come del resto lo sarebbe lui in quello di lei). Quanto alla separazione, non è altro che l'inevitabile conseguenza  di questa doppia origine così ricca di contrasti. Sono contrasti che Roeg rende subito espliciti, fin dalle prime inquadrature dove all'immagine di una città formicolante di vita si sovrappone quella del deserto fino a quando, da un buco in un muro, non compare in tutta la sua maestosità il panorama selvaggio che, poi, dominerà su tutto. Nel finale il procedimento appare rovesciato: è l'immensità del deserto a venire a poco a poco sommersa dalle immagini di case in costruzione, di cimiteri di oggetti abbandonati (il ragazzo che siede in un tram fuori uso)  e infine della stessa folla. Come risultato di questo montaggio di Roeg, città e deserto divengono simboli, ognuno dei quali destinato a nascere dall'altro. Gli abitanti della città appaiono sconcertanti come sabbie mobili, ma non per questo il mondo selvaggio, con tutto il suo fascino, pare privo di strutture sociali, anzi, e in esse predomina ciò che  più di ogni altro serve a sopravvivere:  l'esperienza. Natura e civiltà possono anche essere in contrasto;  cionondimeno hanno entrambe le stesse radici, gli stessi bisogni. Il modo con cui Roeg esamina questi bisogni rivela che ognuno di loro ha un terribile prezzo. 



Il potere della memoria

Il potere sulla memoria ha dato origine ad aspre lotte sociali e politiche e a continui sforzi da parte dello Stato per accaparrare la memoria collettiva.

Così la produzione di documenti che devono fornire lo stock e la base della memoria collettiva e il risultato di scelte e manipolazioni destinate ad imporre al futuro una visione orientata dal passato. Il documento non è innocente, esso serve ad avvertire, esso deforma quanto informa, impone un punto di vista durevole, è un documento/monumento.

Da ultimo, gli psicologi e gli psicanalisti hanno insistito, sia a proposito del ricordo, sia a proposito dell'oblio, sulle manipolazioni, conscie o inconscie, esercitate sulla memoria individuale dall'interesse, dall'affettività, dall'inibizione, dalla censura.

Analogamente, la memoria collettiva ha costituito un'importante posta in gioco nella lotta per il potere condotta dalle forze sociali. Impadronirsi della memoria e dell'oblio è una delle massime preoccupazioni delle classi, dei gruppi, degli individui che hanno dominato e dominano le società storiche. Gli oblii, i silenzi della storia sono rivelatori di questi meccanismi di manipolazione della memoria collettiva.