Invecchiare, oggigiorno, significa semplicemente accumulare tempi morti, dei tempi in cui la vita si perde. Né giovani né vecchi, nella spettralità sempre uguale della sopravvivenza, solo individui più o meno viventi. I nostri nemici sono tutti coloro che credono e fanno credere che un cambiamento globale è impossibile, sono i morti che ci governano e quelli che si lasciano governare.
Lavoriamo, mangiamo, leggiamo, dormiamo, consumiamo, ci svaghiamo, assorbiamo cultura, siamo oggetto di cure e di premure e in tutti questi momenti sopravviviamo come piante di appartamento. Sopravviviamo contro tutto ciò che ci incita a vivere. Sopravviviamo per un sistema totalitario e disumano, una religione di cose e di immagini, che ci recupera sempre e ovunque per aumentare i profitti e le briciole di potere della classe burocratico-borghese.
Non saremmo che delle protesi atte a far sopravvivere il sistema della merce se, a volte non ci risentissimo sospinti verso noi stessi, colti dal bruciante desiderio di vivere appassionatamente. Allora non più passioni vissute per procura, frustrazioni accettate, immagini pietrificate che congelano i nostri desideri. I momenti autenticamente vissuti e i piaceri senza riserve, unitamente al rifiuto di ciò che li intralcia e li falsifica, sono altrettanti attacchi portati al cuore del sistema mercantile; si tratta solo di dare loro maggiore coerenza per estenderli, moltiplicarli e rafforzarli.
Creando appassionatamente le condizioni favorevoli per il libero sviluppo delle passioni, vogliamo distruggere tutto ciò che ci distrugge. La rivoluzione è la passione che permette tutte le altre. Passione senza rivoluzione non è che la rovina del piacere.
Il capitalismo che conoscevamo sta cadendo a pezzi. Ma mentre le istituzioni finanziarie barcollano e si sgretolano, non abbiamo ancora immaginato alcuna alternativa. La resistenza organizzata sembra dispersa e incoerente. I movimenti antagonisti e di resistenza sono in una fase di stallo e talora di involuzione, se non con alcune eccezioni. Ci sono buone ragioni per credere che, nel giro di una generazione, il capitalismo non esisterà più: per la semplice ragione che (come molti hanno spiegato) è impossibile mantenere acceso un motore in perpetua crescita in un sistema/pianeta dalle risorse limitate.
Eppure di fronte a questa prospettiva, la reazione spontanea, anche dei progressisti e di molti apparenti anticapitalisti, è spesso di paura, di accettazione dell’esistente perchè semplicemente, non si ha la capacità, la forza di immaginare un’alternativa che non sia ancora più oppressiva.
Com’è possibile? E’ normale per gli uomini essere incapaci di immaginare un mondo migliore?
La disperazione non è naturale. Se davvero vogliamo capire la situazione dobbiamo innanzi tutto comprendere come, negli ultimi trenta anni sia stata messa in opera la costruzione di un vasto apparato burocratico volto al mantenimento della disperazione: una sorta di gigantesco meccanismo ideato in primo luogo per distruggere ogni percezione di future prospettive alternative. Una raffinata strategia atta a sottrarre la gioia e la felicità dalla vita.
I Governi del mondo vogliono assicurasi che gli essere umani non possano percepire la possibilità di alternative, I movimenti che di volta in volta nascono e si contrappongono vengono sistematicamente inquinati da un clima di paura pervasiva perchè non giungano a percepire di poter crescere, perchè non si possano intravvedere altri mondi possibili. perchè non si diffonda l’idea che coloro che sfidano i sistemi possano vincere. Per questo i sistemi di potere hanno realizzato e quindi "deificato" grandi apparati militari, polizieschi di intelligence militare e civile, meccanismi di propaganda di alta raffinatezza.
Nonostante tutto noi sappiamo che siamo alla vigilia di una nuova rinascita dell’immaginazione popolare. E’ solo questione di tempo. La maggior parte degli elementi ci sono già. Occorre superare il groviglio di confuse percezioni indotte da decenni di propaganda del terrore.
Se solo saremo determinati nel volerlo, presto sapremo comunque vederci chiaro
Nella critica radicale del principio di autorità, in qualunque forma politico-istituzionale esso si presenti, Godwin immette per contro l’idea opposta: l’autogoverno, il principio secondo cui ciascuno deve essere abbastanza saggio da governarsi da solo senza l’intervento di stimoli che lo forzino. Essendo infatti il governo una transazione nel nome e per il bene di tutti, a cui è affidato il controllo delle nostre azioni e la decisione ultima sul nostro destino, è logico dedurre che ogni membro della comunità sia partecipe delle scelte collettive, in quanto nessun criterio soddisfacente può porre un uomo,o un gruppo di uomini, al comando di tutti gli altri. Inoltre il governo è un espediente istituito per la sicurezza degli individui: sembra quindi ragionevole che ciascuno debba partecipare a contribuire alla propria sicurezza. Con questa precisazione Godwin intende dire che l’istituzione governativa non ha, di per sé, compiti positivi; non deve promuovere il bene, ma soltanto limitare il male. Siamo, come si vede, all’esatto opposto di ogni positivismo giuridico e di ogni visione etica del potere. Questa funzione negativa del governo si giustifica entro l’ambito della patologia antropologica, scaturisce cioè dal riconoscimento di una persistenza dell’imperfezione umana, anche se l’uomo non è originariamente vizioso. La precisazione negativista si compendia pertanto in questa lapidaria definizione: “scopo del governo è di sopprimere quella violenza, esterna o interna, che potrebbe distruggere o mettere in pericolo il benessere della comunità o dei suoi membri”. E ancora: “il compito di curare che nessuno ecceda dalla propria sfera, è il primo scopo del governo. I suoi poteri al riguardo sono una combinazione dei poteri individuali di controllare i reciproci eccessi”. Una ragione in più dunque, per spingere tutti gli individui di una medesima società a partecipare alla gestione governativa sulla base dell’esplicito riconoscimento che il governo è, in tutti i casi, un male e che, per conseguenza, lo stadio più memorabile dello sviluppo umano sarà il periodo della dissoluzione del governo politico, quel brutale meccanismo che è stato l’unica perenne causa dei vizi del genere umano. Il governo infatti presenta nella sostanza gli inconvenienti più disparati, eliminabili soltanto con il suo completo annullamento.
Il lavoro salariato riduce l’individuo a una cifra d’affari. Dal punto di vista capitalistico, il salariato non è una persona, ma un indice di costi di produzione e un certo tasso d’acquisto per il consumo.
Il lavoro salariato è la base dello sfruttamento e dell’espropriazione globale, così come il lavoro alienato e la produzione di merci sono la base del sistema spettacolare-mercantile. Cercare di migliorare il rapporto salariale significa migliorare lo sfruttamento del proletariato da parte della classe burocratico-borghese. Lo si può solo sopprimere.
Il rapporto salariale esige il sacrificio di più di otto ore di vita per otto ore di lavoro, scambiate per una somma di denaro che copre solo una piccola parte del lavoro fornito, poiché tutto il resto va a finire nelle tasche dei padroni. E questa somma deve essere a sua volta scambiata con prodotti sofisticati e inutili, con oggetti d’uso quotidiano pagati dieci volte il loro prezzo, con gadget alienanti; senza contare poi gli oboli agli altri vampiri: stato, specialisti di ogni genere, racket sindacali …
È falso credere che le rivendicazioni salariali possano mettere in pericolo il capitalismo privato o di stato: il padronato accorda agli operai solo quegli aumenti che sono necessari ai sindacati per riuscire a dimostrare che servono ancora a qualcosa; e i sindacati non chiedono al padronato che somme che non mettono in pericolo un sistema del quale non sono che gli approfittatori di secondo grado.
Non dobbiamo più vivere la maggior parte del tempo in funzione del denaro, di essere ridotti alla dittatura dell’economico, di sopravvivere senza poter gustare il piacere di vivere appassionatamente.
Noi dobbiamo lottare per dar vita ad una organizzazione sociale dove la ripartizione dei prodotti di comune utilità non sarà più legata alla logica della merce e della corsa al profitto, ma risponderà ai bisogni reali delle persone.
Nell'attuale visione del mondo meccanicista gli esseri viventi non sono altro che macchine, con esigenze puramente materiali e tecnologiche, proprio quelle che un sistema altamente centralizzato e tecnologico può soddisfare.
Qualsiasi problematica sociale ed ecologica viene interpretata e ridotta in modo tale da essere riconducibile ad una soluzione tecnologica, attraverso qualche nuovo processo o ritrovato tecnico.
Nei termini fissati dal paradigma di dominio non sarà mai possibile capire e interpretare gli aspetti che ci hanno portato all'attuale situazione. Le relazioni sono intrecciate a un livello tanto fondamentale e profondo che non è più possibile isolarle dal loro contesto e separarne una dalle altre.
In questa disumanizzazione le stesse sensibilità e capacità di provare empatia per ciò che ci circonda sono colpite alla radice. All'interno di un percorso di distruzione dello spirito, la morte del pianeta sarà solo una conseguenza di cui rammaricarci. Continueremo a far saccheggiare e manipolare i nostri corpi finché non adotteremo una visione d'insieme, non potremmo mai sentirci vicini agli altri animali se non capiamo che siamo animali, non potremmo percepire la foresta come l'elemento essenziale per la vita sulla Terra se anche noi ci sentiamo parte di essa.
La visione antropocentrica ha diviso il mondo in territori di saccheggio, ha ridotto gli elementi in combustibile per mandare avanti questo sistema tecno-industriale. La reificazione della natura ha aperto la strada a quel processo di devastazione che chiamiamo civilizzazione. La realtà è ridotta a ciò che si può misurare, quantificare, verificare, negando qualsiasi altro valore qualitativo. Il dualismo pervade le nostre menti separate dai nostri corpi e i nostri corpi disgiunti dal mondo circostante.
Soggiaciamo al progresso materiale, all'efficienza dell'automatismo, alla specializzazione sopra qualsiasi altro valore, così facendo estirpiamo giorno per giorno ciò che di naturale è in noi e confermiamo invece come naturale il mondo surrogato che ci circonda ed assedia.
Normali cicli e processi naturali, come l'acqua, con cui l'ecosfera rende possibile la vita sulla Terra, non solo vengono svuotati da ogni valore intrinseco, a tutto viene assegnato un valore strettamente economico. Diventano parte di un processo tecnico che trasforma una materia viva in prodotto o servizio profittabile.
Come non è possibile la coesistenza tra nocività e un mondo libero e naturale, non è conciliabile un'opposizione interna al sistema tecnoindustriale dove tutto ciò che si pone in alternativa è già recuperato dal sistema stesso.
Riaffermare la questione ecologica non significa quindi occuparsi degli effetti ultimi ambientali, ma del significato profondo, causale, del distacco dell'uomo dalla natura. Abbiamo bisogno di una nuova ecologica visione del mondo, che sviluppi sensibilità con cui costruire una rete di contesti e reciprocità non gerarchiche, in cui possano crescere reali rapporti non mediati dalla macchina e dalle sue istituzioni, in cui è possibile autodeterminarsi come individui e riprendersi in mano la propria vita nella sua interezza.
Pensiamo sia necessario agire subito senza perdere altro tempo per cercare di inceppare l'attuale meccanismo, per cercare di fare aprire gli occhi, scuotere gli apatici, gli indifferenti e tutti, tutte coloro che si sono rassegnati allo stato di cose presenti.
L'ecologismo radicale potrà essere una reale lotta di cambiamento solo se saprà approfondire la propria radicalità, slegandosi dal dominio e da chi lo sostiene apertamente o subdolamente.
L'ecologismo radicale potrà costruire percorsi di cambiamento solo se saprà non fermarsi su cause singole estrapolate dall'insieme, ma se avrà la capacità di intrecciarsi e saper comprendere gli altri movimenti di lotta, approfondendo la critica ed estendendo il conflitto.
Una manciata / di polveroso oceano era sparso
Fra le tasche
Sperduto fra lenti e contenuti soffi
Di stelle/ che il vento sfarinava subito
Nel suo proprio respiro
Briciole.
I giornali, la radio, la televisione sono i veicoli più grossolani della menzogna, non solo perché allontanano dai veri problemi, dal “come vivere meglio?” che si pone concretamente ogni giorno, ma perché costringono gli individui ad identificarsi con immagini ben fatte, a porsi astrattamente al posto di un capo di stato, di una vedette, di un assassino, di una vittima, a reagire come altro da sé. Le immagini che ci dominano sono il trionfo di tutto ciò che non siamo e di tutto ciò che ci allontana da noi stessi; di ciò che ci trasforma in oggetti destinati unicamente ad essere classificati, etichettati, gerarchizzati secondo i parametri del sistema della merce universalizzata.
Esiste un linguaggio al servizio del potere gerarchico. Esso non alligna solamente nell’informazione, nella pubblicità, nel senso comune, nelle abitudini, nei gesti condizionati, ma è presente anche in tutti i discorsi che non preparano la rivoluzione della vita quotidiana, in tutti i discorsi che non sono posti al servizio dei nostri piaceri.
Il sistema mercantile impone le sue rappresentazioni, le sue immagini, il suo senso, il suo linguaggio. Questo tutte le volte che si lavora per lui, quindi per la maggior parte del tempo. L’insieme di idee, di immagini di identificazioni, di condotte determinate dalla necessità di accumulazione e di riproduzione della merce costituisce lo spettacolo in cui ciascuno recita ciò che non vive realmente e vive falsamente ciò che non è. Perciò il ruolo è una menzogna vivente, e la sopravvivenza una maledizione senza fine.
Lo spettacolo (ideologie, cultura, arte, ruoli, immagini, rappresentazioni, parole-merci) è l’insieme delle condotte sociali mediante le quali gli uomini entrano a far parte del sistema mercantile. Partecipare questa farsa significa rinunciare a se stessi, ridursi a meri oggetti di sopravvivenza (merci), e rinviare per l’eternità il piacere di vivere concretamente per se stessi e di costruire liberamente la propria vita quotidiana.
Noi siamo per una società dove il diritto di comunicazione reale apparterrà a tutti, dove ognuno potrà far conoscere i propri desideri e i propri interessi avendo a sua completa disposizione tutte le tecniche (stampa, telecomunicazioni, internet …), dove la costruzione di una vita appassionante eliminerà per sempre la necessità dei ruoli e la costrizione di dover dare maggior importanza all’apparenza piuttosto che al vissuto autentico.
Le linee elettriche sono cadute
c’è il coprifuoco in città
Ti prendo per mano, dobbiamo scappare
prima che sia troppo tardi
Potremmo nasconderci dalle parti
del lago inquinato
Ecco, guarda le nuvole di fumo
che si alzano dalle case in fiamme
stanno per avvolgere tutta la città
E i nostri capi sono tutti clandestini
Ci dirigiamo verso una miniera
dove altri profughi
stanno organizzando un rifugio
e resistono alla cattura
Un messaggio per le rubiconde facce
civilizzate occidentali:
prendete i vostri martelli e le vostre biciclette
e riportate l’ordine in questo maledetto casino
Qualcosa è nell’aria
Alcuni bambini rubano un auto a dei soldati
Lo si può vedere
dai binocoli a raggi infrarossi
le immagini lampeggiano sui monitor
La tecnologia qui è pronta
a schiacciare ovunque la sovversione
Ma lo spirito di Resistenza
riempie l’aria intorno
E i nostri capi sono tutti clandestini
Sono il residuo di un genocidio consumato dallo stesso nemico che nel corso dei secoli ha distrutto quasi del tutto la mia terra. Nelle vesti di multinazionali dell’atomo, dello sfruttamento idroelettrico, turistico, del militarismo e dei suoi poligoni, con l’inquinamento radioattivo, chimico, da carburazione industriale e metropolitana, l’ipersfuttamento boschivo e agricolo è responsabile storico della rapina della mia terra e del mio lavoro. E’ nella presa di coscienza del mio essere sfruttato, schiavo, ed espropriato, che semplicemente sono andato sino in fondo nel tentativo della mia liberazione e nel tentativo di contribuire con tutto me stesso alla liberazione della mia terra che ha ospitato e nutrito i miei avi.
La mia solidale coscienza globale. Coscienza della globalità del nemico e della sua guerra di sfruttamento e sterminio totale, non poteva che dirmi che la lotta contro di lui è un dovere per e su qualsiasi terra che mi ospita. Solo così riaffermo, comunque e ovunque la mia quotidiana e umana dignità. Responsabile, solidale, e comune con le mie sorelle e fratelli di ogni razza e lingua, oppresse e oppressi, sfruttate e sfruttati; solo così affermo la mia solidarietà con coloro che lottano, in qualsiasi modo lottino, solo così affermo la mia responsabilità, l’amore naturale e scontato per i nostri figli e per tutti i viventi di questo meraviglioso pianeta.
Il tempo di lavoro assorbe la maggior parte della vita poiché determina anche il cosiddetto tempo libero, il tempo occupato dal sonno, dai pasti, dagli spostamenti dalle distrazioni. In questo modo esso domina sulla totalità della vita quotidiana di ciascuno riducendola ad una successione di istanti e di luoghi, accomunati dalla medesima ripetitività vuota, e dalla assenza crescente di vita autentica. Il tempo di lavoro costretto è una merce. Ovunque c’è merce c’è lavoro costretto e, ormai, quasi tutte le attività sociali si stanno riducendo ad esso. Produciamo, consumiamo, mangiamo, dormiamo, per un padrone, per un capo, per lo stato, per il sistema generalizzato della merce.
All’interno del sistema mercantile, che domina ovunque, il lavoro non ha per finalità, come vorrebbe far credere, la produzione di beni utili e graditi tutti; suo unico scopo è la produzione di merci. Le merci, indipendentemente dalla loro utilità, inutilità, sofisticazione, non assolvono ad altra funzione che a quella di mantenere e di aumentare il profitto e il potere della classe dominante. In un sistema simile, tutto il mondo lavora per niente, e ne ha sempre più la coscienza.
Accumulando e riproducendo le merci, il lavoro costretto non fa che aumentare il potere dei padroni, dei burocrati, dei capi, degli ideologi.
Il lavoro costretto produce unicamente merci. Ogni merce è inseparabile dalla menzogna che la rappresenta. Il lavoro costretto produce dunque menzogne, crea un mondo di rappresentazioni fittizie, un mondo ribaltato dove un accumulo di immagini tiene il posto della realtà. In questo sistema spettacolare e mercantile, il lavoro produce su se stesso due menzogne importanti:
la prima consiste nella solita litania per cui il lavoro è utile, necessario e indispensabile e che quindi è nell’interesse di tutti continuare a lavorare;
la seconda mistificazione sta nel far credere che i lavoratori non sono in grado di liberarsi del lavoro e dal salario e che non sono quindi capaci di edificare una società radicalmente nuova, basata sulla creazione collettiva e attraente e sull’autogestione generalizzata.
La fine del lavoro salariato significherà la sparizione di un sistema in cui regnano unicamente il profitto, il potere gerarchico, la menzogna generale.
La ricerca dell’armonia delle passioni, infine liberate e riconosciute, prenderà il posto della corsa al denaro e alle briciole del potere.
Il regista Tod Browning dopo le traversie avute con la casa cinematografica Universal per il film Dracula con Bela Lugosi, (censura e pressioni produttive per soluzioni a basso costo) ritorna alla MGM per dirigere Freaks.
Egli radunò negli studi cinematografici l’universo dei cosiddetti fenomeni da baraccone (gemelli siamesi, creature senza mani né braccia, ermafroditi, donne barbute, ragazze dalla testa a punta), che risulta osservato e descritto nella sua opera con grande rispetto, sottolineando su quali principi di armonia e mutuo soccorso si basa questa comunità. Ribaltando luoghi comuni e convenzioni Browning dimostrò che la vera mostruosità risiede altrove, in questo caso nei diabolici, perfidi piani architettati dagli unici due membri del circo fisicamente integri, che mortificano la propria natura umana rivelandosi creature brutali e immorali.
Ambientato nel mondo del circo è la storia della bella trapezista Cleopatra che venuta a conoscenza della cospicua fortuna ereditata dal nanetto Hans, decide di sposarlo con l’intenzione di accaparrarsi l’eredità, per poi ucciderlo. Il piano, suo e del suo reale amante, il forzuto Ercole, viene però scoperto dagli altri freaks che compiono la loro vendetta mutilando orrendamente i due amanti, riducendo lui ad un castrato obeso e lei a donna gallina.
L’orrore di “Freaks” sta nel fatto che è un film assolutamente senza pietà, per nessuno. Se Cleopatra ed Ercole non lasciano, nella loro avidità, spazio a scrupoli, i poveri esseri
deformi esposti nel vaudeville alla morbosa curiosità del pubblico atterrito e deliziato assieme dal monstrum, suscitano sì commozione nel senso etimologico, ma non sono i “buoni” della situazione, non sono i bambini innocenti amati dagli Dei, non c’è spazio per interpretazioni edificanti. Hanno un codice d’onore e di lealtà, aperto all’accettazione, ma senza perdono.
Una fotografia magistrale, una sceneggiatura tanto perfetta da far credere, in alcuni momenti, di assistere a situazioni di vita reale (i freaks non vengono mai ripresi nel circo durante lo spettacolo), caratteri perfetti,una trama semplice ma mai scontata, un montaggio da scuola.
Freaks è molto più che un thriller, dato che tocca i temi dell'umanità e del mostruoso, della fiducia e del tradimento, e Tod Browning ci fa capire che le persone emarginate da una qualche menomazione fisica non possono sperare nella comprensione e nella tolleranza del mondo ordinario, insomma i freaks con la loro radicale diversità non si riescono a catalogare e sono in grado di destabilizzare gli incerti confini della nostra identità, mentale e corporea, per cui nella nostra quotidianità la società cerca di minimizzare le nostre possibilità di contatto con questi misteriosi esseri umani.
Un film particolarmente atipico, prodotto in segreto, proiettato raramente e vietato a lungo in tutto il mondo.
L’anarchismo è per definizione un’ideologia sincretica. È nato in contrapposizione al liberalismo e al socialismo proprio perché mentre liberali e socialisti hanno interpretato i valori della libertà e dell’uguaglianza in modo indipendente, esso li ha intesi come valori inscindibili. L’anarchismo ritiene impossibile pensare e attuare l’una, se non pensando e attuando, contemporaneamente, l’altra. Di qui, appunto, la natura sincretica dell’ideologia anarchica: appena si fa riferimento ad un valore, ad un concetto, immediatamente questo richiama tutti gli altri, e tutti non reggono, da un punto di vista anarchico, se non pensando l’uno in riferimento all’altro, e se non pensando l’altro in relazione all’altro ancora. Per spiegare la pro positività anarchica basta perciò rendere evidente la genesi storica di questa sintesi, che nel suo sviluppo ha via via depurato quegli elementi iniziali che si sono resi incompatibili con la loro stessa logica autentica. Essa è stata contemporaneamente una riflessione teorica sui limiti storici e logici dell’ideale liberale e dell’idea socialista e una elaborazione ideologica volta al superamento della parzialità dei loro principi.
Dal punto di vista anarchico si realizza veramente la libertà individuale solo attraverso il completo dispiegamento dell’uguaglianza sociale e si realizza veramente l’uguaglianza sociale solo attraverso il completo dispiegamento della libertà individuale. Insomma, si afferma che per realizzare l’uguaglianza bisogna far leva sulla libertà, per realizzare la libertà bisogna far leva sull’uguaglianza. Per attuare l’una far leva sull’altra, vuol dire portare fino in fondo i loro presupposti, ma per attuare i presupposti di entrambe occorre accettarne del tutto le conseguenze. L’anarchismo, in altri termini, rinfaccia al liberalismo di essere una dottrina parziale della libertà e al socialismo di essere una dottrina parziale dell’uguaglianza. La parzialità consisterebbe nel fatto che tutte due queste dottrine intendono realizzare i loro principi facendo dipendere temporalmente i due valori, nel senso che prima si dà corso all’uno poi all’altro, laddove l’anarchismo ritiene che solo nell’attuazione della loro contemporaneità stia proprio il segreto della loro riuscita.