Ciò che normalmente si esprime come aggressività è una protesta distorta, inibita e canalizzata. Previene gli scontri aperti, è diretta contro noi stessi e, gradino per gradino, dall’alto in basso, giunge a porre l’operaio contro l’operaio.
Le forme transitorie costituiscono delle scappatoie destinate a mascherare lo scontro di classe, a soffocare le contraddizioni, ad attizzare una piccola guerra tra gli sfruttati.
Finché noi giriamo intorno alle nostre difficoltà invece di attaccarle direttamente non cambia nulla. La parola aggressione viene dal latino “aggredi” = andare contro. L’SPK veniva spesso rimproverato da studenti di sinistra e simpatizzanti di essere aggressivo, ingenuo, ecc.
Questo rimprovero è indice dell’incapacità (dell’angoscia) di questi “gauchistes” a rompere con le convenzioni borghesi, al contrario essi si contornano di leaders, usano liste di oratori e forme ordinate di discussione. Riproducendo così nelle loro organizzazioni le strutture che vogliono combattere a livello di massa.
In ogni lotta di liberazione si tratta per i combattenti, di trarre un principio affermativo dal loro ruolo forzato di oggetto. Così i malati, in quanto privi di diritto, hanno un diritto naturale all’autodifesa, cioè alla difesa dell’essenza vitale che resta loro, che è esposta agli assalti continui degli agenti di morte del capitale.
L’autodifesa non è fine a se stessa, ma è una strategia che conserva i resti dell’essenza vitale, la vita, per introdurla nella lotta di liberazione collettiva. In questo processo l’autodifesa comprende già il suo contrario, l’attacco come lotta collettiva sulla base della cooperazione e della solidarietà, nuovo metodo e nuovo fenomeno. La lotta collettiva è il nuovo fenomeno in cui l’opposizione dialettica tra attacco e difesa viene superata.
(Archivio storico: SPK fare della malattia un’arma 1971 Germania)
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