Il carcere è però anche un luogo della città, una vera macchina per soffrire dove una fetta sempre più consistente di persone è costretta a vivere.
La prigione preserva il sistema.
Ogni società, ogni edificio necessita di sue leggi e regole. Dove ci sono le leggi, ci saranno infrazioni. Dove ci sono regole, ci saranno eccezioni. Senza queste eccezioni una società non cambierebbe mai. Infrangere la legge e negare le regole sono condizioni necessarie per la sua evoluzione.
D’altra parte, la società protegge se stessa e la continuità della sua esistenza tentando di escludere le eccezioni alle regole del sistema che giudica negative. Più un sistema è conservatore, più velocemente un’eccezione è giudicata come negativa, poiché ogni eccezione determinerà un cambiamento. L’esclusione più rigorosa è la pena di morte, quella meno rigorosa è l’esilio temporaneo. In mezzo l’orrore quotidiano delle galere.
La prigione è soprattutto l’espressione di valori incerti e mutevoli.
Fare una prigione esprime soltanto un valore assoluto, una verità indiscutibile che è in contraddizione con il carattere opinabile del crimine e della sua punizione. D’altro canto esprimere soltanto il lato discutibile è in contraddizione con la necessità di chiarezza. Non soltanto una necessità per chi sta fuori, ma anche per i prigionieri, perché soprattutto per loro, il dentro è dentro, il fuori, fuori.
La prigione è uno strumento usato, più che per confinare un pericolo sociale reale, per ricattare, spaventare e intimidire le voci di dissenso al sistema dominante, o risolvere le croniche e cicliche disfunzioni di mercato come le migrazioni di disperati.
In quanto espressione di queste poco nobili esigenze di sistema, non se ne può che auspicare l’abolizione.
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