Questo compito esplorativo riguarda la pratica e si assolve piuttosto passeggiando nella vita, lasciandosi andare alla deriva nella geografia sociale del vissuto ben più che leggendo e commentando libri ponderosi di presunte verità calate dal cielo dell’ideologia.
La caratteristica più radicale della psicogeografia è comunque, la sua evidente incompatibilità con ogni ideologia politica o religiosa così come con qualunque propaganda pubblicitaria di cui essa è il nemico naturale. Il suo savoir-faire può aiutarci a cogliere ogni senso anticipato di un’artificialità del vivente operata dalla scienza della manipolazione pubblicitaria indaffarata a bloccare sul nascere la minima resistenza all’addomesticamento.
La psicogeografia ci insegna a rinnovare il legame spontaneo tra l’umano e la natura che la civiltà del lavoro ha ridotto male e a questo scopo non può che esortare al superamento di ogni conflittualità di classe o di genere, fino a rendere risibile e insopportabile il vecchio fantasma patriarcale di un dominio crescente dell’uomo sull’uomo, sulla donna e sulla natura.
Mentre dei grattacieli crollano e la penuria s’insinua nell’abbondanza di miserie, l’umanità dell’uomo si riavvicina alla terra come a un ultimo territorio sconosciuto da riscoprire.
Gli antichi esploratori avevano conosciuto un tasso elevato di perdite al prezzo delle quali si è arrivati alla conoscenza di una geografia obiettiva. Si tratta, ora, tramite la psicogeografia, di riscoprire la realtà dei nostri desideri manipolati e pervertiti, in modo da reinventare l’universo interiore ed esteriore di una felicità obiettivamente possibile. Tra i compiti che la psicogeografia si dà per soddisfare la volontà di cambiare, c’è quello di cartografare le terrae incognitae emergenti, abbozzando soprattutto i contorni effimeri dei territori immaginari ancora nascosti nell’intimità rimossa degli individui e dei gruppi.
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