Il ruolo è quella caricatura di sé che si porta dappertutto, e che dappertutto introduce nell’assenza. Ma l’assenza è ordinata, addobbata, infiorata. Paranoici, schizofrenici, omicidi sadici il cui ruolo non è riconosciuto di utilità pubblica (non è distribuito con il distintivo del potere come quello del poliziotto, di capo, di militare) diventano utili in luoghi speciali, manicomi, prigioni, specie di musei da cui il governo trae un doppio profitto, eliminandovi dei pericolosi concorrenti e arricchendo lo spettacolo di stereotipi negativi. I cattivi esempi e la loro punizione esemplare rendono un po’ più piccante lo spettacolo, e lo proteggono. Basta semplicemente incoraggiare l’identificazione accentuando l’isolamento per distruggere la falsa distinzione fra l’alienazione mentale e l’alienazione sociale.
All’altro polo dell’identificazione, esiste un modo di mettere fra sé e il ruolo una distanza, una zona ludica che è un vero nido di attitudini ribelli all’ordine spettacolare. Non ci si perde mai completamente in un ruolo. Anche invertita, la volontà di vivere conserva un potenziale di violenza sempre pronto a deviare dai cammini che le sono tracciati. Il servo fedele che si identifica al padrone può anche sgozzarlo a tempo opportuno. Viene il momento in cui il suo privilegio di mordere come un cane eccita il suo desiderio di colpire come un uomo.
Il fatto è che l’identificazione, come ogni disumanità, trova origine nell’umano. La vita in autentica si alimenta di desideri provati autenticamente. E l’identificazione mediante il ruolo fa doppio bottino: recupera il gioco della metamorfosi, il piacere di mascherarsi e di trovarsi dappertutto sotto tutte le forme del mondo; fa propria la vecchia passione labirintica di perdersi per meglio ritrovarsi, il gioco di deriva e di metamorfosi. Essa recupera anche il riflesso d’identità, la volontà di trovare negli altri uomini la parte più ricca e più autentica di sé. Il gioco cessa allora di essere un gioco, si mummifica, perde la scelta delle proprie regole. La ricerca dell’identità diventa identificazione.
D’altro canto, il piacere, la gioia di vivere, il godimento sfrenato spezzano e infrangono il ruolo. Se l’individuo volesse considerare il mondo non più nella prospettiva del potere ma in una prospettiva di cui egli sia il punto di partenza, avrebbe presto fatto a scoprire gli atti che lo liberano veramente, i momenti più autenticamente vissuti, che sono come gli spiragli di luce nella grigia trama dei ruoli.
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