Translate

giovedì 27 agosto 2015

La malattia mentale non esiste

Mi auguro che ormai risulti chiaro che non è possibile considerare coloro che fino ad ora sono stati giudicati malati di mente come dei malati. Tale questione quindi non può essere risolta da nessuna riforma ospedaliera psichiatrica. Rimettendo a nuovo i vecchi ospedali psichiatrici, ridimensionandoli a entità più a misura dell’uomo, costruendone dei nuovi, facendo dei reparti psichiatrici negli ospedali civili non si potrà venire mai a capo di nulla, per la semplice ragione che non avendo a che fare con dei malati non è con gli ospedali più moderni di questo mondo che si potrà operare validamente; soprattutto se si continuerà a considerare queste persone dei malati e nelle migliori delle ipotesi malati come gli altri. Abbiamo visto che essi hanno diritto ad una considerazione ben maggiore, perchè sono vittime della società. Il problema comunque non va posto soltanto nel senso di riparare danni già provocati; l’unico modo di risolverlo radicalmente è un’azione preventiva.
Anche la psicoterapia per tutti non risolverà mai nulla, perchè mentre si aiuta una persona, altre dieci avranno bisogno dello stesso aiuto, per cui le forze saranno sempre inferiori alla necessità; senza contare che abbiamo visto i limiti della psicanalisi. Da tutto ciò deriva che da oggi in poi è necessario impegnare tutte le energie sempre più nella prevenzione e sempre meno nella psichiatria. Una società completamente diversa dall’attuale, nella quale la democrazia ed il socialsmo, veri, abbiano fatto sparire la paura, non avrà bisogno di psichiatri.

L'Inno dei nihilisti

Noi siam come l'aria che tutto circonda
Noi siam come il sole che penetra e inonda 
Non visti qual Dio, potenti qual re.
Ci è culla, ci è patria, ci è tomba la terra, 
Viviam per la lotta, viviam per la guerra,
Abbiamo nel nulla riposta ogni fè.
Strisciam come serpi, quai falchi voliamo 
Or siam de' pigmei, giganti or siamo,
Abbiam mille braccia legati a un voler.
A cento si cade, si sorge a milioni;
Per noi non son ceppi, non sono prigioni;
Muor l'uom nella pugna, ne resta il pensier.
Dal Caucaso a Tobolsk, da Kiew all'Onega,
V'è un popolo che piange, che impreca, che prega, 
Che vuoI la sua patria, che vuol libertà
Sia morte allo Zarre che il popolo opprime, 
All'uomo sia gloria che il popol redime;
Giuriamo vendetta... vendetta sarà.
Per l'aule regali, di mezzo agli armati, 
Nel grembo alla madre, ne' templi sacrati, 
Tra feste e splendori, per terra e per mar.
Sapremo seguirlo, sgozzarlo sapremo;
Il dritto ne guida corriam... Vinceremo!
E' dolce, morendo, la Russia salvar!
Noi siam come l'aria che tutto circonda 
Noi siam come il sole che penetra e inonda 
Non visti qual Dio, potenti qual re.
Ci è culla, ci è patria, ci è tomba la terra, 
Viviam per la lotta, viviam per la guerra,
Abbiamo nel nulla riposta ogni fè.

(Pubblicato sul Corriere del Mattino di Napoli del 16 marzo 1881, Versione dal russo di D. Ciàmpoli e W.E. Foulques)

La democrazia, ovvero l’ideologia del capitale

Per democrazia si intende un regime in cui periodicamente vengono indette libere elezioni a cui prendono parte un certo numero di cittadini; a queste elezioni partecipano partiti apparentemente diversi fra loro in rappresentanza di ipotetiche  ideologie o di gruppi sociali con interessi differenti, ma con unico scopo e con la medesima aspirazione quella del controllo e dell'amministrazione del potere.
La democrazia si propone per tanto come forma, il suo contenuto, cioè il suo contenuto sociale risiede altrove: nei rapporti capitalistici, nell'autoritarismo dello stato, nella riproduzione costante ed accelerata dello spettacolo.
La democrazia come ci insegnano sin da piccoli è di per se etica quindi va imposta con qualsiasi mezzo così come è stato per i modelli di civilizzazione occidentale.
Fuori dalle regole del gioco democratico c'è solo, all'esterno, barbarie e fanatismo e all'interno sovversione, terrorismo, demenza, delinquenza e follia.
La democrazia per tanto è la forma dello spettacolo al suo più alto grado di concentrazione ed efficacia e, nel contempo, di diffusione capillare.
E' la democrazia delle merci, più ancora  che quella del lavoro.
E' il diritto di cittadinanza nel mondo della società del capitale che si, integra a livello planetario e  pianifica le differenze.
Ipotizzare oggi organizzazioni societarie diverse da quella cosiddetta democratica si passa per provocatori o terroristi.
La merce ideologica denominata democrazia deve venire esportata ovunque e dovunque sotto le regole apparentemente flessibili dello spettacolo, e di quelle rigide e autoritarie del capitale.
Il totalitarismo ideologico raggiunge così il suo apogeo. Di fronte alla crisi di tutti i valori, due si presentano come fondamentali ed ineludibili: lo stato e la democrazia. Il capitale ne è la base materiale. lo spettacolo la rappresentazione totale.

giovedì 20 agosto 2015

Operai e contadini di Michail Bakunin

Con quale diritto gli operai imporrebbero ai contadini una qualsiasi forma di governo e di organizzazione economica? Col diritto della rivoluzione, si risponde. Ma la rivoluzione non è più rivoluzione quando essa agisce dispoticamente, e quando, invece di produrre la libertà nelle masse, essa provoca la reazione nel loro seno. Il mezzo e la condizione, se non lo scopo principale della rivoluzione, è l'annientamento del principio dell'autorità in tutte le sue manifestazioni possibili, è l'abolizione completa dello Stato politico e giuridico, perché lo Stato, fratello minore della Chiesa, come Proudhon ha molto ben dimostrato, è la consacrazione storica di tutti i dispotismi, di tutti i privilegi, la ragione politica di tutte le servitù economiche e sociali, l'essenza stessa e il centro di ogni reazione. Quando, in nome della rivoluzione, si vuol istituire lo Stato, non fosse altro che uno Stato provvisorio, si compie un'operazione reazionaria e si lavora per il dispotismo, non per la libertà, per l'istituzione del privilegio contro l'eguaglianza.
È chiaro come il giorno. Ma gli operai socialisti della Francia, educati nelle tradizioni politiche dei Giacobini, non hanno mai voluto capirlo. Ora, saranno costretti a capirlo, per buona sorte della rivoluzione e di loro stessi. Di dove è venuta loro questa pretesa tanto ridicola quanto arrogante, tanto ingiusta quanto funesta, di imporre un ideale politico e sociale a dieci milioni di contadini che non ne vogliono sapere? Evidentemente si tratta ancora di un'eredità borghese, un legato politico del rivoluzionarismo borghese. Quale è il fondamento, la spiegazione, la teoria di questa pretesa? È la reale o supposta superiorità dell'intelligenza, dell'istruzione, in una parola della civiltà operaia sulla civiltà delle campagne. Ma sapete che con tale principio si possono legittimare tutte le conquiste, consacrare tutte le oppressioni? I borghesi non hanno avuto mai altro principio per provare la loro missione e il loro diritto di governare, o, il che significa la stessa cosa, di sfruttare il mondo operaio. Da nazione a nazione, così come da una classe all'altra, questo principio fatale, che non è altro che quello dell'autorità, spiega e afferma come un diritto tutte le invasioni e tutte le conquiste. I tedeschi non se ne sono forse sempre serviti per giustificare tutti i loro attentati contro la libertà e contro l'indipendenza dei popoli slavi e per legittimare la germanizzazione violenta e forzata? Essi dicono che è la conquista della civiltà sulla barbarie. Fate attenzione, i tedeschi cominciano già ad accorgersi che la civiltà germanica, protestante, è ben superiore alla civiltà cattolica dei popoli di razza latina in generale, e alla cultura francese in particolare. Fate attenzione che essi non si immaginino ben presto di avere la missione di civilizzarvi e di rendervi felici, nella stessa maniera in cui vi immaginate di avere la missione di civilizzare e di emancipare i vostri compatrioti, i vostri fratelli, i contadini della Francia.
Io mi rivolterò insieme agli educandi contro tutti questi arroganti civilizzatori, si chiamino operai o tedeschi, e, rivoltandomi contro di loro, servirò la rivoluzione contro la reazione.

(Tratto da "Lettere a un francese", 1870)

È passato anche il Natale… 

È  passato anche il Natale… 
Una “festa” che doveva unire tutti, ricchi e poveri, padroni e sfruttati, chi non ha mai fatto sacrifici e chi ha sacrificato tutta la sua vita. 
E’ stato un Natale di sacrifici per i proletari e di arrogante ostentazione del lusso per i borghesi. 
Anche il 1976 se ne va…i borghesi si preparano ad inaugurare, con il Capodanno ’77, un anno di sacrifici per i proletari. 
Ma…
I GIOVANI RIFIUTANO I SACRIFICI!!
Vorrebbero relegarci nei ghetti che ci hanno costruito, fra le grige mura di una casa a vivere la nostra disperazione individualmente, a passare una notte secondo i modelli di “divertimento” che vogliono imporci e a sentirci paurosamente soli con l’unica speranza che l’anno nuovo sia “migliore”. 
Ma noi sappiamo che la speranza va riconquistata giorno per giorno, collettivamente. 
Vogliamo riprenderci tutto quello che ci hanno negato, vogliamo riprenderci la vita, gli spazi per stare insieme, la natura, la terra, il mare, il cielo e i mille dì che verranno!!
NON RESTEREMO NELLE NOSTRE “RISERVE”!!
Questa volta il Capodanno sarà una notte di festa e di guerra!! 
DI FESTA: perché abbiamo bisogno di stare assieme, di sentire il nostro calore, di trovare collettivamente la voglia di lottare per cambiare noi stessi e il mondo, per vincere la disperazione e organizzare il sogno. 
DI GUERRA: perché non siamo disposti a sacrificare la nostra vita, la nostra fantasia, per i padroni. E vogliamo urlarlo nei loro cervelli, con tutta la nostra disperazione, con tutta la nostra gioia di vivere!
I tam-tam dei circoli giovanili chiamano a raccolta tutte le tribù dei giovani, emarginati, disoccupati, apprendisti, “drogati”, militanti e militanti, i vecchi e i bambini, gli animali per la festa della nuova luna!
TUTTI A PIAZZA FARNESE IL 31 DICEMBRE
PORTIAMO TUTTI I COLORI DELLA NOSTRA FANTASIA  E DELLA NOSTRA RABBIA, DELLA NOSTRA CREATIVITA’! 
E ANCHE VERNICI, PENNELLI, STRUMENTI MUSICALI, TORCE, PANETTONI, SPUMANTI, E… 

I CIRCOLI GIOVANILI 

(Roma, 30 Dicembre 1976, Cip via dei Latini 80)

Due parole sulla psichiatria di Antonin Artaud

Le leggi e il costume vi concedono il diritto di valutare lo spirito umano. Questa giurisdizione sovrana e indiscutibile voi l’esercitate a vostra discrezione. Lasciate che ne ridiamo. La credulità dei popoli civili, dei sapienti, dei governanti dota la psichiatria di non si sa quali lumi sovrannaturali. Il processo alla vostra professione ottiene il verdetto anzitempo. Noi non intendiamo qui discutere il valore della vostra scienza, né la dubbia esistenza delle malattie mentali. Ma per ogni cento classificazioni, le più vaghe delle quali sono ancora le sole ad essere utilizzabili, quanti nobili tentativi sono stati compiuti per accostare il mondo cerebrale in cui vivono tanti dei vostri prigionieri? Per quanti di voi, ad esempio, il sogno del demente precoce, le immagini delle quali è preda, sono altra cosa che un’insalata di parole?
Noi non ci meravigliamo di trovarvi inferiori rispetto ad un compito per il quale non ci sono che pochi predestinati. Ma ci leviamo, invece, contro il diritto attribuito a uomini di vedute più o meno ristrette di sanzionare mediante l’incarcerazione a vita le loro ricerche nel campo dello spirito umano.
E che incarcerazione! Si sa - e ancora non lo si sa abbastanza - che gli ospedali, lungi dall’essere degli ospedali, sono delle spaventevoli prigioni, nelle quali i detenuti forniscono la loro manodopera gratuita e utile, nelle quali le sevizie sono la regola, e questo voi lo tollerate. L’istituto per alienati, sotto la copertura della scienza e della giustizia, è paragonabile alla caserma, alla prigione, al bagno penale.
Non staremo qui a sollevare la questione degli internamenti arbitrari, per evitarvi il penoso compito di facili negazioni. Noi affermiamo che un gran numero dei vostri ricoverati, perfettamente folli secondo la definizione ufficiale, sono, anch’essi, internati arbitrariamente. Non ammettiamo che si interferisca con il libero sviluppo di un delirio, altrettanto legittimo, altrettanto logico che qualsiasi altra successione di idee o di azioni umane. La repressione delle reazioni antisociali è per principio tanto chimerica quanto inaccettabile. Tutti gli atti individuali sono antisociali. I pazzi sono le vittime individuali per eccellenza della dittatura sociale; in nome di questa individualità, che è propria dell’uomo, noi reclamiamo la liberazione di questi prigionieri forzati della sensibilità, perché è pur vero che non è nel potere delle leggi di rinchiudere tutti gli uomini che pensano e agiscono.
Senza stare ad insistere sul carattere di perfetta genialità delle manifestazioni di certi pazzi, nella misura in cui siamo in grado di apprezzarle, affermiamo la assoluta legittimità della loro concezione della realtà, e di tutte le azioni che da essa derivano.
Possiate ricordarvene domattina, all’ora in cui visitate, quando tenterete, senza conoscerne il lessico, di discorrere con questi uomini sui quali, dovete riconoscerlo, non avete altro vantaggio che quello della forza.

venerdì 14 agosto 2015

L’azione, il pensiero divenuto visibile

La parola è solo il pensiero divenuto sonoro, l’azione il pensiero divenuto visibile. Il nostro ideale comporta dunque per ognuno la piena e assoluta libertà di esprimere il proprio pensiero su ogni cosa scienza, politica, morale  senza altro limite se non quello del rispetto per gli altri; comporta anche il diritto di ognuno di agire come meglio gli aggrada, di fare ciò che vuole, pur associando ovviamente la propria volontà a quella degli altri uomini in tutte le opere collettive; la sua libertà individuale non si trova affatto limitata da questa unione, aumenta invece, grazie alla forza della volontà comune. Va da sé che questa assoluta libertà di pensiero, di parola e di azione è incompatibile con la conservazione di quelle istituzioni che pongono un limite alla libertà di pensiero, che fissano la parola sotto forma di impegno definitivo, irrevocabile, e pretendono anche di costringere il lavoratore a incrociare le braccia, a morire d’inedia per ordine di un padrone.
I conservatori non si sono affatto sbagliati quando hanno chiamato i rivoluzionari in  modo generico «nemici della religione, della famiglia e della proprietà». Sì, gli anarchici respingono l’autorità del dogma e l’intervento del soprannaturale nella vita umana; in questo senso, per quanto ferventi nella lotta per il loro ideale di fraternità e di solidarietà, sono nemici della religione. Sì, vogliono l’abolizione del mercimonio matrimoniale, vogliono le unioni libere che si reggono solo sul reciproco affetto, sul rispetto di sé e della dignità altrui; in questo senso, per quanto teneri e devoti verso coloro coi quali condividono l’esistenza, sono nemici della famiglia. Sì, vogliono eliminare l’accaparramento della terra e dei suoi prodotti per restituirli a tutti; in questo senso, la gioia che proverebbero nel garantire a tutti l’usufrutto dei beni della Terra ne fa dei nemici della proprietà.

Stamani anche i mandorli sono fioriti di Sante Notarnicola

Alla maniera ebraica
qui sulla tua tomba
vengo a posare
la pietra del cordoglio
e a raccontarti
cose raccattate
sul selciato assolato

Sepolcro privilegiato il tuo
– si dice in giro –
proprio di fronte al mare
oggi infuriato e,
dall’altro lato, i tuoi
amati monti
e poi ancora
i fiorellini che coprono
tutto il prato intorno

Spero tu possa sentire
per un momento solo
questi profumi
che stordiscono
e udire se puoi
i rumori del vento
e del mare
che cullano il tuo sonno

Tutte le lapidi qui
sono ruvide, lo sai,
consumate dal tempo
del vento incessante
nei mesi più freddi

In questo pezzo di terra
volutamente disadorno
affido la memoria
mia e tua
a questa piccola pietra.

( Dedicata all’avvocato Bianca Guidetti Serra, Giugnola, 7 Luglio 2014)

La Geografia sociale di Eliseo Reclus

Per la nostra epoca di acuta crisi, in cui il vortice dell’evoluzione diviene talmente rapido che l’uomo, colto da vertigine, cerca nuovi punti d’appoggio per orientare la sua vita, per questa società profondamente scossa, lo studio della storia è tanto più prezioso quanto più il suo dominio, incessantemente accresciuto, offre una serie d’esempi sempre più ricchi e vari. Il susseguirsi delle età diviene per noi una grande scuola i cui insegnamenti, una volta classificati, finiscono per raggrupparsi in alcune leggi fondamentali. 
Una prima categoria d’avvenimenti che lo studio della storia mette in evidenza ci mostra come, per effetto di uno sviluppo ineguale presso gli individui e le società, tutte le collettività umane – eccettuate le popolazioni rimaste al primitivo naturismo – si dividono al loro interno in classi e caste dagli interessi non solo differenti ma opposti, che risultano dichiaratamente nemiche in periodi di crisi. Questo è, sotto mille forme, l’insieme dei fatti che si osserva in tutte le regioni dell’universo, pur con la diversità infinita dettata dai luoghi e dai climi e dalla matassa sempre più intricata degli avvenimenti. 
Il secondo fatto generale, conseguenza necessaria della divisione dei corpi sociali, è che l’equilibrio spezzato fra individuo e individuo, fra classe e classe, tende a bilanciarsi costantemente attorno al suo asse di riposo; la violazione della giustizia grida sempre vendetta. Da qui derivano incessanti oscillazioni: chi comanda cerca di rimanere padrone, mentre l’asservito prima compie ogni sforzo per conquistare la libertà poi, trascinato dall’energia dello slancio, tenta di ricostituire il potere a suo profitto. 
Così guerre civili, complicate da guerre contro popoli stranieri, di annientamento e distruzione, si succedono in un groviglio continuo secondo la spinta dei rispettivi elementi in lotta. O gli oppressori si sottomettono, estinta la loro forza di resistenza, e muoiono lentamente spenta la forza vitale dell’iniziativa, o è la rivendicazione degli uomini liberi che vince. Possono così riconoscersi, nel caos degli eventi, reali rivoluzioni – cioè cambiamenti di regime politico, sociale ed economico – frutto di una comprensione più chiara delle condizioni dell’ambiente e di più energiche iniziative individuali. 
Un terzo gruppo di fatti, infine, legato allo studio dell’uomo in tutti i tempi e in tutti i paesi, dimostra che nessuna evoluzione nell’esistenza dei popoli può compiersi se non grazie allo sforzo individuale. È nella persona umana, elemento primario della società, che bisogna cercare la spinta propulsiva dell’ambiente, destinata a tradursi in azioni volontarie volte a diffondere idee ed opere tali da modificare la vita delle nazioni, il cui equilibrio appare instabile solo per il disturbo arrecato dalle aperte manifestazioni degli individui. 
La società libera si riconosce dallo sviluppo dato ad ogni persona umana – cellula prima fondamentale destinata poi ad aggregarsi ed associarsi a suo piacimento con le altre cellule di un’umanità in continua trasformazione. 
È in proporzione diretta a questa libertà e a questo sviluppo iniziale dell’individuo che le società guadagnano in valore e nobiltà: è dall’uomo che nasce la volontà creatrice che costruisce e ricostruisce il mondo. 
La «lotta di classe», la ricerca dell’equilibrio e la sovrana decisione dell’individuo, sono questi i tre ordini di fatti che ci rivela lo studio della geografia sociale e che, nel caos degli avvenimenti, si mostrano abbastanza costanti per poter prendere il nome di «leggi». È già molto riconoscerle e dirigere in base ad esse la condotta e la parte d’azione che spetta a ciascuno nella gestione comune della società, in armonia con le influenze dell’ambiente, note e ormai scrutate. È l’osservazione della Terra che ci spiega gli avvenimenti della Storia e questa a sua volta ci riporta verso uno studio più approfondito del pianeta, verso una solidarietà più cosciente del nostro individuo, così piccolo e cosi grande, con l’universo immenso.

giovedì 6 agosto 2015

La scomparsa del denaro

Che cosa rischia di succedere il giorno in cui il crac finanziario o qualunque altro trucco del capitale toglierà al denaro il suo valore e la sua utilità? 
La sua scomparsa, non c’è dubbio, sarà salutata come una liberazione da quanti gli negano il diritto di tiranneggiare la loro vita quotidiana. Tuttavia, il feticismo del denaro è talmente incrostato nei nostri costumi che molti individui assoggettati al suo giogo millenario, finiranno per trovarsi in preda a quegli scompensi emotivi in cui regna la legge della giungla sociale, in cui si scatenano la lotta di tutti contro tutti e la violenza cieca in cerca di capri espiatori. Non dobbiamo sottovalutare i tentacoli della piovra intrappolata nei suoi ultimi rifugi. Il crollo del denaro non implica, infatti, la fine della depredazione, del potere, dell’appropriazione degli esseri e delle cose. L’esacerbarsi del caos, tanto utile alle organizzazioni statali e mafiose, propaga un virus di autodistruzione i cui rigurgiti nazionalisti, gli sfoghi sfocianti in genocidi, i conflitti religiosi, i rigurgiti della peste fascista, bolscevica o integralista rischiano di avvelenare gli spiriti se l’intelligenza sensibile del vivente non rimette al centro delle nostre preoccupazioni la questione della felicità e della gioia di vivere. Per contro, non bisogna che la disumanità del passato cancelli la memoria dei grandi movimenti di emancipazione in quel che ebbero di più radicale: la volontà di liberare l’uomo alienato e di far nascere in lui quella vera umanità che riappare di generazione in generazione.
La società a venire non ha altra scelta che quella di riprendere e sviluppare i progetti di autogestione che dalla Comune di Parigi alle collettività libertarie della Spagna rivoluzionaria, hanno fondato sull’autonomia degli individui una ricerca di armonia in cui la felicità di tutti fosse solidale con la felicità di ciascuno.
Il fallimento dello Stato obbliga le collettività locali a mettere in atto una gestione del bene pubblico più adatta agli interessi vitali degli individui. Sarebbe illusorio pensare che liberare dei territori dal dominio mercantile e instaurare delle zone in cui i diritti umani sradichino il diritto del commercio e della redditività si possa compiere senza urti. Per tanto dovremo immaginare di difendere le enclavi della gratuità che cercheremo di impiantare in un mondo rastrellato e controllato da un sistema universale di depredazione e di cupidigia con strumenti nuovi efficaci consapevoli del fatto che non potremo mai competere sul piano strettamente militare con i professionisti della violenza che il sistema può mettere in campo.

IL LABIRINTO DEL FAUNO di Guillermo Del Toro

Spagna, 1944. La guerra è appena finita. Ofelia va ad abitare insieme alla madre incinta Carmen nella residenza del patrigno, il Capitano Vidal, un dispotico militare che comanda un distaccamento franchista, nonché futuro padre del bambino che Carmen porta in grembo. Vagando intorno alla nuova casa, Ofelia scopre un labirinto in pietra, al centro del quale vive un enorme Fauno, che le rivela la sua reale natura di principessa di un regno sotterraneo, che potrà riconquistare superando tre difficili prove. La piccola Ofelia, in realtà, è la reincarnazione dell'anima della principessa Moanna, che molto tempo prima aveva abbandonato un regno felice e senza dolore, sotto terra, per salire in superficie. Accecata e indebolita dalla luce del sole la piccola principessa muore. Nel frattempo, mentre Ofelia si appresta ad eseguire gli ordini del Fauno per tornare a riprendersi il suo regno, un gruppo di ribelli antifranchisti tenta in ogni modo di penetrare nell’abitazione di Vidal per eliminarlo.
Il Labirinto del Fauno è una favola nera. Ofelia è una Dorothy immaginaria  che affronta prove di volta in volta degne di un'Alice nel paese delle meraviglie. Tutto avviene forse nella mente della ragazza, ma al tempo stesso intorno a lei ogni dettaglio del suo meraviglioso arabesco di morte e rinascita è un riflesso della vita reale. Ofelia segue le tracce di una natura ferita dalla follia umana, intravede la fame e il terrore dei resistenti, assiste all'agonia della madre, s'impossessa degli strumenti della violenza ma si rifiuta di usarli, scegliendo di non adeguarsi alla logica perversa imposta dal patrigno e trovando proprio in questa rinuncia la chiave per la salvezza.
Il film si sviluppa su due piani paralleli, apparentemente antitetici ma del tutto funzionali l’uno all’altro: da una parte abbiamo il mondo reale, sporco di sangue e carico d’odio; dall’altro abbiamo il mondo fatato con cui interagisce Ofelia, popolato da mostri legnosi, orchi mangia bambini, rospi giganti e fate-insetto; un mondo quest’ultimo che può assicurare alla bambina una vita felice lontano dalle persone che possono farle del male. I due piani più volte tenderanno a confondersi e fondersi, insinuando il dubbio nella mente dello spettatore su cosa sia reale e cosa non lo sia, in una perfetta sincronia di generi che va dal fantasy al bellico.
Il labirinto del Fauno  si svolge in Spagna dopo la Guerra Civile, all’epoca del Generale Franco e si occupa dell’essenza stessa del fascismo; nel film il fascismo non viene trattato in modo diretto ed esplicito, ma in maniera per così dire simbolica, codificata.
“Perché io adoro i film che fanno pensare, per me il fascismo rappresenta l’orrore con la O maiuscola e proprio per questo diventa l’argomento ideale attraverso il quale raccontare una favola per adulti, poiché il fascismo è innanzitutto una forma di perversione dell’innocenza, e quindi dell’infanzia. Per me il fascismo rappresenta in un certo senso la morte dell’anima, perché obbliga a compiere scelte dolorose, laceranti che lasciano un segno indelebile e profondissimo in coloro che lo hanno vissuto.
Il  vero mostro di questo film è il Capitano Vidal, interpretato da Sergi López, di gran lunga peggiore e più spaventoso delle creature che si nascondono nell’ombra del labirinto. Il fascismo ti consuma, centimetro per centimetro, non necessariamente fisicamente ma sicuramente spiritualmente.” (Guillermo Del Toro)

Lo statuto dei gabbiani di Horst Fantazzini

art.1) I gabbiani sono nati per volare liberi. 
E' l'amore e la gioia di vivere che determina il loro essere sovversivi. 

art.2) Con il loro comportamento essi insegnano a volare agli altri uccelli, senza la presunzione d'essere l'avanguardia di chicchessia.

art 3) Essi si cercano e si trovano in base alle affinità comuni e non accettano regole all'infuori delle proprie passioni, dei propri desideri e del loro piacere di vivere e di volare insieme. Su questa base si uniscono in piccoli stormi d'affinità, federati tra di loro, per vivere e volare insieme e per lottare contro tutto quanto umilia il senso della vita e della libertà.

art.4) I gabbiani praticano il mutuo appoggio e quindi s'impegnano ad aprire e rompere le gabbie dove sono rinchiusi i gabbiani e gli uccelli.

art.5) Con questo articolo si annullano i precedenti quattro ed eventuali futuri articoli, perchè i gabbiani non riconoscono statuti, nè leggi, nè regolamenti, nè forme programmate d'esistenza, all'infuori del loro piacere di volare liberi. 
Tutto il precostituito e il programmato non fa che limitare e umiliare la vita.


I Gabbiani