Translate

giovedì 20 ottobre 2016

Alle origini del luddismo


Il luddismo si appellava alle leggi paternalistiche che imponevano sanzioni «contro gli imprenditori privi di scrupoli e ingiusti» e riconoscevano ai salariati «un ordine riconosciuto, sebbene inferiore». Dove il libero proprietario di fabbrica o il grande cotoniero o il produttore di calze su telai meccanici, che si arricchiva con questi mezzi, fosse visto non solo con gelosia, ma come uomo impegnato in azioni immorali e illecite. I tumulti e la protesta erano mossi in altre parole da una economia morale – di cui facevano parte la tradizione del giusto prezzo e del salario equo – in conflitto all’ideologia del laissez faire, vista non come una legge naturale ma come una imposizione. Tutte le rivendicazioni erano insieme rivolte al passato e all’avvenire; e contenevano in sé l’immagine confusa non tanto di una comunità paternalistica, quanto di una comunità democratica, in cui l’espansione dell’industria fosse regolata in base a priorità etiche, e la ricerca del profitto subordinata alla soddisfazione dei bisogni umani. 
Il luddismo ha origine dalle tradizioni popolari: quelle sociali della rivolta popolare, quelle politiche dell’inglese nato libero,
quelle religiose del dissenso.
La prima di queste tradizioni sono i tumulti che traggono origine dal carovita, dai pedaggi, dalle gabelle, dall’accisa, dall’introduzione di nuove macchine, dalla recinzione di campi e pascoli comuni, dall’arruolamento forzato. I tumulti per il carovita – imposizioni di un calmiere popolare, blocchi dei carichi di cereali – possono essere violenti ma si collocano nel quadro di un comportamento tradizionale, in quanto trovano la loro legittimazione nei presupposti di un’antica economia a sfondo morale, che bolla di immoralità qualunque metodo consistente nel trarre profitto dalle necessità del popolo rincarando i prezzi dei viveri. Nelle comunità sia urbane sia rurali, una coscienza del consumatore precedette ogni altra forma di antagonismo politico o economico: l’indice più sensibile del malcontento popolare non erano i salari, ma il costo del pane. Le leggi divine della domanda e dell’offerta, per cui la penuria dei beni provoca inevitabilmente una lievitazione dei prezzi, erano ben lontane dall’essere accettate dalla coscienza popolare, in cui perduravano nozioni più antiche di contrattazione faccia a faccia. L’antica economia morale di tipo paternalistico si contrapponeva così alla libera economia di mercato.
La seconda tradizione culturale poggia sul mito dell’inglese nato libero: un mito fondato sulla libertà dal dominio straniero, dall’assolutismo e dall’ingerenza dello Stato, sull’eguaglianza di ricco e povero di fronte alla legge, sulla protezione delle leggi contro le ingerenze di un potere arbitrario, e infine sulla libertà di parola, di pensiero e di coscienza. Su questa base si affermano teorie come quelle di Tom Paine, «ai limiti di una teoria anarchica», secondo cui «nell’istante in cui è abolito il governo formale, la società
comincia ad agire» 
Terza tradizione culturale, il dissenso religioso. Un esempio: il metodismo, i cui precetti erano quelli della sottomissione personale e della santificazione del lavoro, recitò «la doppia parte di religione degli sfruttatori e di religione degli sfruttati», riuscendo a essere simultaneamente religione della borghesia industriale e di vasti strati della classe proletaria, tanto che tensioni continue insorgevano in seno ad una religione i cui precetti erano pur tuttavia quelli della sottomissione personale e della santificazione del lavoro. Il ribelle politico metodista portava nella sua attività radicale o rivoluzionaria un intenso fervore morale, un senso di devozione e vocazione, una capacità metodista di impegno organizzativo tenace, e un alto grado di responsabilità personale»; in particolare nelle campagne il metodismo poteva prendere una forma improntata a una più viva coscienza di classe, consentendo ai lavoratori dei campi di acquisire «indipendenza e rispetto di sé».

Nessun commento:

Posta un commento