La diffusione epidemica della fame nel mondo ha una origine storica ormai non più recente. Essa nasce con la rivoluzione verde avviata negli USA negli anni '60 in vari paesi a basso reddito e proseguita con crescente intensità nei decenni successivi. Quella rivoluzione venne definita verde perché essa aveva il compito strategico di contrastare, nelle campagne povere del mondo, l'onda rossa del comunismo. Ed era verde non perché rivestisse anticipatrici connotazioni ambientaliste, ma perché puntava ad una radicale trasformazione tecnologica dell'agricoltura senza sovvertire i rapporti di proprietà. Non la liquidazione dei latifondi, ancora così diffusi in tutti i continenti, né la distribuzione della terra ai contadini, ma una via tecnologica. Essa puntava ad innalzare la produzione unitaria, a modernizzare le campagne sul modello occidentale, risolvere il problema elementare del cibo per tutti e fornire così un potere stabile alle classi dirigenti locali amiche dell'Occidente.
La rivoluzione verde si è imposta attraverso un dispositivo molto semplice: la diffusione di un pacchetto tecnologico (technical package) composto da sementi ad alte rese, concimi chimici, pesticidi, etc. E occorreva, infine, un ricorso senza precedenti all'uso dell'acqua.
D'un colpo i saperi millenari con cui i contadini avevano provveduto sino ad allora alla produzione del proprio cibo venivano sostituiti da uno schema tecnologico calato dall'alto. Non potevano più utilizzare le proprie sementi, perché dovevano ormai acquistarle all'esterno, e così il concime, i pesticidi, più tardi i diserbanti, etc. Essi dovevano limitarsi ad applicare i dettami di una scienza esterna di cui non capivano i meccanismi e che alterava gravemente il loro habitat naturale. E la loro agricoltura diventava dipendente dall'industria agrochimica occidentale.
(continua)
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