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giovedì 18 gennaio 2018

IL '68 qualche tempo prima (Capitolo III)

Torino, Piazza Statuto 7 luglio 1962
Rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici. Torino, 5 luglio: gli operai della città della Fiat si preparano allo sciopero di categoria indetto per il 7-8-9 di quel mese da Fiom, Fim, Uil; si prevede una partecipazione alta, soprattutto per l’adesione allo sciopero della Uil che alla Fiat conta sul 63% degli operai iscritti a qualche sindacato. Tra il 5 e il 6 luglio i dirigenti Fiat e quelli della Uil e del Sida (un sindacato giallo) si accordano per un aumento salariale tanto che La Stampa, il quotidiano degli Agnelli-Fiat, il 6 luglio potrà titolare: Uil e Sida si accordano con la Fiat e invitano gli operai a non scioperare. L'indomani mattina lo sciopero è totale. Non solo totale, ma anche duro. I crumiri che vogliono lavorare devono superare minacce, ingiurie e botte. Le macchine dei dirigenti che tentano di entrare vengono prese a sassate. I lavoratori, soprattutto quelli iscritti alla Uil, sono sbigottiti e furiosi per come quattro burocrati sindacali siano riusciti a rendere nulle, per pochi spiccioli, le ben più importanti richieste di diminuzione dei ritmi, orario di lavoro, norme disciplinari. Un tradimento.
Al pomeriggio, verso le 14.30-15, tre, quattrocento operai in gran parte iscritti alla Uil, ma anche a Cisl e Cgil, sono assembrati davanti alla sede della Uil in piazza Statuto: urlano, fischiano. Un centinaio di agenti con le jeep e due auto-idranti presidiano la sede del sindacato socialdemocratico. La tensione aumenta rapidamente; in un bar vicino, due sindacalisti Uil, riconosciuti, vengono picchiati; sono messi in salvo a fatica; volano le prime pietre contro le finestre del sindacato. Il numero di dimostranti aumenta, così la tensione e gli scontri. Inizia una vera e propria battaglia che si protrarrà  senza momenti di sosta fino alle 4 di mattina del giorno dopo. Tra le  21,30 e le 23 c'è abbastanza calma e la polizia ne approfitta per far evacuare i dirigenti Uil dalla sede in cui sono asserragliati da ormai otto ore; travestiti da  dimostranti: ognuno su di una camionetta in mezzo a tre poliziotti a forte velocità verso la "centrale".
La domenica alle 11 piazza Statuto è affollata da centinaia di operai, qualche tensione, ma sostanzialmente la situazione è più calma. Come la notte che scorre tranquilla, con la piazza presidiata da un enorme schieramento di polizia e carabinieri arrivati dal Veneto, dall'Emilia e dalle altre province piemontesi, anche in vista dello sciopero di lunedì.
L'indomani, però, davanti ai cancelli delle fabbriche, di operai ce ne sono ben pochi; solo polizia carabinieri e sindacalisti di professione. Le direzioni di tutte le aziende, sull'esempio della Fiat, hanno invitato i lavoratori a restare a casa. I sindacati non sono stati da meno: Cgil e Cisl hanno sospeso ogni tipo di manifestazione e in particolare la Uil "ha invitato tutti i lavoratori a proseguire lo sciopero restando però a casa e lasciando l'azione di picchettaggio davanti alle fabbriche ai responsabili e agli attivisti sindacali". Il bilancio complessivo dei tre giorni di scontri, come lo riporta la cronaca, è questo:
1215 fermati, 90 arrestati e rinviati a giudizio per direttissima, un centinaio i denunciati a piede libero; 169 i feriti fra le forze dell'ordine. Per quanto riguarda i dimostranti, La Stampa parla di 9 persone che sono costrette a ricorrere alle cure ospedaliere. Non dice che i feriti per le botte ricevute in fase di fermo, in Questura o nelle caserme, sono centinaia.
Finiva la rivolta di piazza Statuto, ma nulla nel movimento operaio sarà più come prima. La rivolta simultanea contro le dirigenze padronali e sindacali segnerà una svolta nella coscienza di quei giovani operai  immigrati - anima e braccia di quelle giornate – che qualche anno dopo daranno vita, a partire dall’autunno 1969, a una lunga stagione di lotte autorganizzate, autonome, lontane e contrarie alle gerarchie e alle logiche sindacali.

Era il risveglio della "santa canaglia", e canaglia era un titolo onorifico, così come oggi teppismo è un titolo di disprezzo; e i combattenti oscuri di queste battaglie aperte erano esaltati e contrapposti al marciume dei crumiri e dei "lavoratori in colletto duro", così come oggi si pretenderebbe che i proletari fossero tutti in colletto duro, crumiri anche quando scioperano, per distinguersi dalla "teppa" dei veri, autentici scioperanti.
Torino proletaria, che i partiti del più sconcio tradimento si sono precipitati a battezzare "teppista" con un servilismo di fronte al quale i vecchi arnesi del riformismo diventano rispettabili, ha fatto né più né meno quello che una tradizione non imbelle insegnava: ridestatasi dal lungo sonno del paternalismo vallettiano e del costituzionalismo e
legalitarismo sindacale e politico dei partiti della convivenza pacifica, della democrazia, e imboccata la via dello sciopero, essa è balzata d'un salto – come gia negli episodi della Lancia e della Michelin – al disopra di un trentennio di pacifismo sociale, ha ridato sangue e vita al motto marxista che lo sciopero è la "scuola di guerra" del proletariato, non una festa patronale o una celebrazione patriottica.
Nessuno li aveva organizzati: appunto perciò si erano organizzati da sé. Nessuno era disposto a proteggerli: perciò si difesero. Nessuno ordinava loro di attaccare: ordinarono a se stessi di farlo. C'erano, al contrario, coloro che, come si vanta la famosa "federazione giovanile torinese del PSI descritta come... estremista", "tentavano di porre ordine invitando alla calma" mentre la polizia caricava: li picchiarono, come sempre
(Tratto da "Il programma comunista" n. 14 del 17 luglio 1962)


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