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giovedì 26 aprile 2018

Il ‘68… 11 aprile 1968 Rudi il rosso (capitolo XVII)

«Abbiamo la possibilità di cambiare le basi strutturali della condizione umana. Lo possiamo fare, non siamo degli idioti della storia senza nessuna speranza. Per la prima volta nella storia dell’umanità, in questo momento storico incredibile abbiamo la possibilità di mutare radicalmente le condizioni di vita e i rapporti di forza che regolano e opprimono le società da migliaia di anni…»

Rudi Dutschke abitava, insieme ad altri compagni, nella stessa vecchia palazzina dove aveva sede: “Sozialistischer deutscher Studentenbund”, la lega degli studenti socialisti, al numero 140 del Kurfuerstendamm. L’11 aprile 1968, il giovedì prima di Pasqua, usci a comprare una medicina per il figlio di tre mesi. Lo aveva chiamato Hosea Che, come Guevara e come il profeta fustigatore della corruzione dei capi politici e religiosi di Israele, e dell’idolatria del popolo. La farmacia era chiusa per la pausa pomeridiana, C’era da aspettare un po’, Dutschke rimase sulla via, in sella alla bicicletta, un piede sul marciapiede e l’altro sulla carreggiata. Un ragazzo attraversò la strada e venne verso di lui. Ad una distanza di due metri chiese: “È lei Rudi Dutschke?”. Rudi, che pure era guardingo in quei giorni di caccia al rosso, e aveva preferito fermarsi ad una certa distanza dalla sede del Sds per non essere subito riconosciuto; alla domanda rispose di sì, senza esitare. L’altro ebbe il tempo di dire “Lurido porco comunista” prima di estrarre la pistola dalla giacca. Dutschke accennò un passo verso di lui. Il primo colpo lo raggiunse alla guancia. Era già a terra quando arrivarono altre due pallottole: una perforò la tempia sinistra e penetrò nel cervello, l’altra lo ferì al petto, poco sotto la spalla.

Josef Backmann, così si chiamava l’agressore, s’asseragliò in un cantiere a 200 metri di distanza. Aprì il fuoco sui poliziotti che lo circondavano e lo bombardavano con lacrimogeni, rimase anche lui ferito e s’arrese dopo aver inghiottito 20 pasticche di sonnifero. Salvato dai medici, in carcere riprovò più volte il suicidio. Voleva morire e alla fine ci riuscì, nel febbraio del 1970.
Quando sparò al leader degli studenti berlinesi, Backmann aveva 23 anni. Era venuto con il treno da Monaco, dove lavorava come imbianchino. Oltre alla pistola aveva un ritaglio del giornale neonazista Deutsche Nationalzeitungf con un articolo del 22 marzo 1968 intitolato: “Fermate Dutschke, subito! Altrimenti c’è la guerra civile”. 
La sera di quell’11 aprile la confusione è enorme. Duemila studenti sbigottiti si raccolgono nell’aula magna dell’Università tecnica, poi si muovono in corteo verso il palazzo di Axel Springer per bloccare l’uscita dei giornali, ci saranno scontri per tutta la notte. Nel giorno di Pasqua la rivolta si diffonde in 27 città della Rft, con scontri che durano fino al lunedì seguente. Complessivamente la polizia denunciò alla magistratura 827 persone. È interessante notare che tra i fermati 286 hanno più di 25 anni, tra loro si contano 185 impiegati, 150 operai, 31 professioni varie, 97 disoccupati. Il movimento non è più solo studentesco.
Rudi Dutschke sopravvisse all’attentato, ma rimase esposto a ricorrenti attacchi epilettici. Una di queste crisi lo colpì e lo uccise la sera del 24 dicembre 1979.
La novità che è al centro del pensiero politico di Rudi Dutschke, l’elemento che lo distingue dal marxismo classico, è l’attenzione per la cosiddetta sovrastruttura, cioè l’insieme degli elementi del mondo che sono determinati dalla struttura economica come il mondo dell’arte, della cultura, della scienza; nella dottrina marxiana classica la rivoluzione si svolge solo nella e per la struttura economica, e tutta la sovrastruttura dovrà necessariamente cambiare una volta che si sarà sovvertito il sistema economico; ogni tentativo di modificare direttamente la cultura, la scienza, la socialità risulta così nel migliore dei casi inutile. Rudi Dutschke invece conduce la sua lotta anche in mezzo alla sovrastruttura. E’ un tipo di lotta molto moderna, non solo lotta di classe, ma anche lotta contro l’autoritarismo, per la pace, per la libertà della cultura e dell’informazione.

«La nostra idea di rivoluzione è un processo di consapevolezza da raggiungere in un percorso a lungo termine. Se oggi non esistono le condizioni domani certamente sì».


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