Due realtà si combattono e si urtano con violenza. Una è la realtà della menzogna. Beneficiando del progresso delle tecnologie, essa s’impegna nel manipolare l’opinione pubblica a favore dei poteri costituiti. L’altra è la realtà di quel che è vissuto quotidianamente dalle popolazioni. Da un lato delle parole vuote partecipano al gergo degli affari, dimostrano l’importanza delle cifre, dei sondaggi, delle statistiche; architettano dei falsi dibattiti la cui proliferazione maschera i veri problemi: le rivendicazioni esistenziali e sociali. Le loro finestre mediatiche riversano ogni giorno la banalità delle truffe e dei conflitti d’interesse che ci riguardano unicamente per le loro conseguenze negative. Le loro guerre di devastazione redditizia non sono le nostre, non hanno altro scopo che dissuaderci dal combattere la sola guerra che ci riguarda, quella contro la disumanità mondialmente propagata. Da un lato, secondo l’assurda verità dei dirigenti, le cose sono chiare: rivendicare i diritti dell’essere umano rileva della violenza antidemocratica. La democrazia consisterebbe dunque nel reprimere il popolo, nel lanciare contro di lui un’orda di poliziotti spinti a comportamenti di stampo fascista, la cui l’impunità è garantita dal governo e dai candidati dell’opposizione vogliosi di occuparne il posto. Immaginate a quali tremiti si dedicheranno gli zombi mediatici se l’immolazione tramite il fuoco di una vittima della pauperizzazione genererà l’incendio del sistema responsabile! Dall’altro, la realtà vissuta dal popolo è altrettanto chiara. Nessuno ci farà ammettere che si possa ridurre a un oggetto di transazione mercantile l’obbligo del lavoro mal retribuito, la pressione burocratica che aumenta le tasse, diminuendo il montante delle pensioni e delle conquiste sociali, la pressione salariale che riduce la vita a una limitata sopravvivenza. La realtà vissuta non è una cifra, è un sentimento d’indegnità, è la sensazione di essere niente tra le grinfie dello Stato, un mostro che si riduce sempre di più a causa del prelievo delle malversazioni finanziarie internazionali. Sì. È nello scontro tra queste due realtà – una imposta dal feticismo del denaro, l’altra che si rivendica del vivente – che una scintilla, spesso impercettibile, ha dato fuoco alle polveri.
Quel che vogliamo, è la sovranità dell’essere umano. Niente di più e niente di meno!
Bodo’s Project è un progetto di comunicazione “altra” per la creazione e la circolazione di scritti, foto e di video geneticamente sovversivi. La critica radicale per azzerare la società della merce; la decrescita, il primitivismo, la solidarietà per contrastare ogni forma di privatizzazione iniziando dall’acqua. Il piacere e la gioia di costruire una società dove tutti siano liberi ed uguali.
Translate
giovedì 27 febbraio 2020
Abbattere dominio costruire libertà
La prima non si riconosce nel presente, anzi lo delegittima, lo combatte e mira gradualmente a distruggerlo; la seconda invece è tutta intenta a prospettare di già il futuro: una società della libertà e dell'uguaglianza.
Insomma, gli anarchici, convinti che le iniquità siano dovute all'organizzazione gerarchica della società, propongono che ognuno riprenda nelle proprie mani il destino e che tutti insieme riprendiamo in mano il destino dell'umanità, per renderci artefici di una società in orizzontale, che parta dall'individuo per giungere poi alla libera associazione fra individui, alla comune ed infine ad una federazione dal basso, che unisca le libere comuni dal territorio al mondo intero.
Ecco, è così che gli anarchici amano pensare il municipalismo o il comunalismo libertario, come dir si voglia: come una proposta radicale, rivoluzionaria, ma nello stesso tempo gradualista; una proposta che si colloca nelle conflittualità dell'oggi per la difesa degli interessi immediati delle classi subalterne, ma si prefigge, nel contempo, di iniziare a costruire nel "qui ed ora" le basi alternative su cui edificare la società libera del domani.
Diggers, una combriccola composta da cavalieri psichedelici
Nella baia di San Francisco nella seconda metà degli anni Sessanta esplode la più grande rivolta che gli Stati Uniti d’America hanno vissuto nel xx secolo. Una rivolta contro il militarismo, contro le discriminazioni razziali, contro quelle sessuali, contro un modello di vita votato all’accumulazione di denaro e informato su valori disumanizzanti. A portarla avanti è una generazione – quella dei ventenni – che rappresenta il 40% dell’intera popolazione degli Stati uniti, che non ne vuole sapere di guerre, di competizione, di discriminazione razziali, che sta provando nella pratica quotidiana a ribaltare questi valori sostituendoli con altri. I baby-boomer Statunitensi tesseranno la loro rivolta sul territorio dello Stato più ricco del paese, la California, tracciando la strada per tutte le rivolte degli anni sessanta in Europa. A contribuire a questo cambiamento partecipano artisti di ogni settore compresi gli attori e in particolare quelli che praticano il teatro di strada. E’ in quest’ambito che nascono i Diggers. Una combriccola composta da cavalieri psichedelici, da ladri visionari e da utopisti pratici, autoproclamatisi difensori del Santo Crocicchio di San Francisco dall'assalto delle forze congiunte di polizia, pubblicitari, mafiosi e turisti. Imitando spavaldamente Robin Hood, trasformarono dal '66 al '69 Haight Ashbury in una succursale della foresta di Nottingham, proclamando senza appello la fine del danaro e il diritto d'ognuno ad accedere ad una vita libera. Per metterla in politica sono un gruppo di libertari ed anarchici che teorizzano città libere, praticano la gratuità, il rifiuto della proprietà, della competizione, dell’omologazione ai valori dello stato più ricco del mondo.Nel breve volgere di qualche mese riescono a trasformare la rappresentazione scenica in realtà vissuta, operando il superamento dello spettacolo in vita vissuta. La città non è più solo un palcoscenico su cui esibirirsi, ma si trasforma in esperimento concreto del cambiamento sociale auspicato da questi rivoluzionari. Ad Haight Ashbury, un quartiere di san Francisco, la critica scenica alla proprietà si trasforma in gratuità reale e diffusa all’intero quartiere, quella ai valori discriminatori in pratiche di condivisione e reciprocità.
Etichette:
anarchia,
diggers,
psichedelia,
utopia
giovedì 20 febbraio 2020
Francisco y Guardia y Ferrer
Francisco y Guardia y Ferrer nasce nei pressi di Barcellona, ad Alella, il 10 gennaio 1859 da una famiglia di agiati agricoltori molto tradizionalista e cattolica. Nonostante questo ambiente familiare conservatore e un ambiente sociale circostante sicuramente poco incline ai cambiamenti, aderisce giovanissimo ad una setta massonica. Nel 1886, dopo aver attivamente contribuito alla propaganda repubblicana e sindacale, e dopo la fallita rivolta di Villacampa, deve riparare in Francia. A Parigi entra in contatto con numerosi militanti anarchici tra i quali Jean Grave, Charles Malato,
Sébastien Faure e altri, oltre che con illustri personaggi della cultura come Emile Zola e Anatole France. Dopo essersi dedicato a numerosi lavori inizia ad insegnare lo spagnolo in un liceo serale e qui fa la conoscenza della signorina Meunier la quale, conquistata da Ferrer e dai suoi ideali laici e libertari sull’educazione, alla sua morte gli donerà una notevole somma che servirà al rivoluzionario catalano per fondare la Scuola Moderna e sostenere altre iniziative. Dopo essersi separato dalla moglie, si unisce a Léopoldine Bonnard che, assieme alla Meunier, lo accompagnerà in un viaggio attraverso numerosi Paesi europei. In questo periodo conosce numerosi pedagogisti ed educatori oltre Elisée Reclus, Luigi Fabbri, Luigi Molinari e Paul Robin. Nel 1901 ritorna in Spagna e fonda la prima «Escuela Moderna» a Barcellona ispirandosi ai princìpi dell’insegnamento libertario, laico e razionalista. Questa esperienza si diffonde rapidamente e progressivamente in numerose località della Catalogna e la sua notorietà si espande in tutta l’Europa.
L’esperienza di Ferrer va inquadrata nel contesto storico della Spagna dell’epoca basato su un sistema educativo di stampo ancora medievale, saldamente nelle mani della Chiesa cattolica. Scopo della scuola da lui voluta non è solo quello di creare delle situazioni educative libertarie, ma anche promuovere e diffondere una cultura razionalista e scientifica in modo da promuovere l’emancipazione delle classi lavoratrici. Egli è convinto che crescendo in un ambiente libero e solidale i ragazzi sarebbero naturalmente divenuti adulti indipendenti ed autonomi, capaci di costruire una società libertaria. Le scuole moderne diventano così dei veri e propri centri di istruzione ed educazione popolare. Si tengono corsi serali e conferenze domenicali per gli adulti. Viene fondata una biblioteca e una casa editrice che edita numerosi libri di testo destinati ad adulti e bambini, tutti ispirati ai prìncipi del libero pensiero, scevri da ogni dogma sia religioso che pseudoscientifico. Completa l’intensa produzione editoriale un «Boletin de la Escuela Moderna» che uscirà per cinquantanove numeri. Francisco Ferrer oltre a finanziarla e collabora anche con un periodico sindacalista
rivoluzionario «Huelga General» (Sciopero Generale). Tutte queste attività, che riscuotono indubbiamente un notevole successo, non tardano a scatenare le ire del clero e dei reazionari. Nel 1906 viene accusato di essere complice e mandante dell’attentato contro il re Alfonso XIII, compiuto da un libertario di nome Matteo Moral che aveva lavorato come traduttore presso la Scuola Moderna. La scuola viene chiusa e Ferrer arrestato. Ma dopo tredici mesi di carcere viene processato e poi assolto soprattutto grazie alla mobilitazione internazionale che si sviluppa in suo favore. Ripara nuovamente in Francia dove fonda la rivista «L’Ecole Renovée» a Bruxelles (poi a Parigi) e la sua versione italiana, «La Scuola laica», a Roma, in collaborazione con Luigi Fabbri. Inoltre dà vita, con la presidenza di Anatole France, alla Lega internazionale per l’educazione razionale dell’infanzia con sedi in tutti i Paesi europei. Nel 1909, durante i fatti della «settimana tragica» (una agitazione popolare contro la spedizione militare in Marocco), Ferrer rientra per motivi familiari in Spagna. Riconosciuto viene immediatamente arrestato e rinchiuso in prigione con l’accusa di essere uno dei fomentatori della rivolta. Il tribunale di guerra, con un processo che viola sistematicamente ogni diritto elementare della difesa, lo condanna senza prove a morte. Il 13 ottobre 1909 Francisco Ferrer viene fucilato nella fortezza di Montjuich a Barcellona, nonostante in tutto il mondo manifestazioni, appelli, scioperi generali reclamassero la sua innocenza.
Dopo la morte il «fenomeno» Ferrer si estende in numerosi Paesi europei ed extra europei. Scuole ispirate alla sua esperienza si diffondono in America Latina, negli Stati Uniti, in Egitto, in tutta Europa. Nonostante questa diffusione e il fatto che le scuole a lui ispirate fossero, per un certo periodo, sicuramente più numerose di quelle di Froebel, l’importanza di Ferrer negli ambienti pedagogici è stata molto sottovalutata. In Italia solo pedagogisti come Tina Tomasi, Lamberto Borghi e Aldo Visalberghi hanno dedicato la loro attenzione, in qualche articolo, all’opera di questo pioniere dell’educazione libertaria.
Sébastien Faure e altri, oltre che con illustri personaggi della cultura come Emile Zola e Anatole France. Dopo essersi dedicato a numerosi lavori inizia ad insegnare lo spagnolo in un liceo serale e qui fa la conoscenza della signorina Meunier la quale, conquistata da Ferrer e dai suoi ideali laici e libertari sull’educazione, alla sua morte gli donerà una notevole somma che servirà al rivoluzionario catalano per fondare la Scuola Moderna e sostenere altre iniziative. Dopo essersi separato dalla moglie, si unisce a Léopoldine Bonnard che, assieme alla Meunier, lo accompagnerà in un viaggio attraverso numerosi Paesi europei. In questo periodo conosce numerosi pedagogisti ed educatori oltre Elisée Reclus, Luigi Fabbri, Luigi Molinari e Paul Robin. Nel 1901 ritorna in Spagna e fonda la prima «Escuela Moderna» a Barcellona ispirandosi ai princìpi dell’insegnamento libertario, laico e razionalista. Questa esperienza si diffonde rapidamente e progressivamente in numerose località della Catalogna e la sua notorietà si espande in tutta l’Europa.
L’esperienza di Ferrer va inquadrata nel contesto storico della Spagna dell’epoca basato su un sistema educativo di stampo ancora medievale, saldamente nelle mani della Chiesa cattolica. Scopo della scuola da lui voluta non è solo quello di creare delle situazioni educative libertarie, ma anche promuovere e diffondere una cultura razionalista e scientifica in modo da promuovere l’emancipazione delle classi lavoratrici. Egli è convinto che crescendo in un ambiente libero e solidale i ragazzi sarebbero naturalmente divenuti adulti indipendenti ed autonomi, capaci di costruire una società libertaria. Le scuole moderne diventano così dei veri e propri centri di istruzione ed educazione popolare. Si tengono corsi serali e conferenze domenicali per gli adulti. Viene fondata una biblioteca e una casa editrice che edita numerosi libri di testo destinati ad adulti e bambini, tutti ispirati ai prìncipi del libero pensiero, scevri da ogni dogma sia religioso che pseudoscientifico. Completa l’intensa produzione editoriale un «Boletin de la Escuela Moderna» che uscirà per cinquantanove numeri. Francisco Ferrer oltre a finanziarla e collabora anche con un periodico sindacalista
rivoluzionario «Huelga General» (Sciopero Generale). Tutte queste attività, che riscuotono indubbiamente un notevole successo, non tardano a scatenare le ire del clero e dei reazionari. Nel 1906 viene accusato di essere complice e mandante dell’attentato contro il re Alfonso XIII, compiuto da un libertario di nome Matteo Moral che aveva lavorato come traduttore presso la Scuola Moderna. La scuola viene chiusa e Ferrer arrestato. Ma dopo tredici mesi di carcere viene processato e poi assolto soprattutto grazie alla mobilitazione internazionale che si sviluppa in suo favore. Ripara nuovamente in Francia dove fonda la rivista «L’Ecole Renovée» a Bruxelles (poi a Parigi) e la sua versione italiana, «La Scuola laica», a Roma, in collaborazione con Luigi Fabbri. Inoltre dà vita, con la presidenza di Anatole France, alla Lega internazionale per l’educazione razionale dell’infanzia con sedi in tutti i Paesi europei. Nel 1909, durante i fatti della «settimana tragica» (una agitazione popolare contro la spedizione militare in Marocco), Ferrer rientra per motivi familiari in Spagna. Riconosciuto viene immediatamente arrestato e rinchiuso in prigione con l’accusa di essere uno dei fomentatori della rivolta. Il tribunale di guerra, con un processo che viola sistematicamente ogni diritto elementare della difesa, lo condanna senza prove a morte. Il 13 ottobre 1909 Francisco Ferrer viene fucilato nella fortezza di Montjuich a Barcellona, nonostante in tutto il mondo manifestazioni, appelli, scioperi generali reclamassero la sua innocenza.
Dopo la morte il «fenomeno» Ferrer si estende in numerosi Paesi europei ed extra europei. Scuole ispirate alla sua esperienza si diffondono in America Latina, negli Stati Uniti, in Egitto, in tutta Europa. Nonostante questa diffusione e il fatto che le scuole a lui ispirate fossero, per un certo periodo, sicuramente più numerose di quelle di Froebel, l’importanza di Ferrer negli ambienti pedagogici è stata molto sottovalutata. In Italia solo pedagogisti come Tina Tomasi, Lamberto Borghi e Aldo Visalberghi hanno dedicato la loro attenzione, in qualche articolo, all’opera di questo pioniere dell’educazione libertaria.
Etichette:
anarchia,
Archivio Storico,
Francisco Ferrer,
LA ESCUELA MODERNA,
scuola
MATILDA MOTHER – Pink Floyd
"C'era un re che governava la terra
sua maestà aveva il comando
con occhi d'argento l'aquila scarlatta
inondava d'argento la gente..."
Oh Mamma, raccontami ancora.
Perché devi lasciarmi là
sospeso con la mia aria da bambino ad aspettare?
Devi soltanto leggere le righe
sono scarabocchiate in nero ed ogni cosa risplende.
"..attraverso la corrente con scarpe di legno
con campane per annunciare le novità al re
un migliaio di cavalieri nebulosi si arrampicano in su
più in alto .. una volta tempo fa.."
Vagando e sognando
le parole avevano diversi significati
sì, ne avevano..
Per tutto il tempo trascorso in quella stanza
la casa della bambola, il buio, l'antico profumo
e le favole fantastiche mi portavano in alto
su nuvole di luce solare fluttuanti.
Oh Mamma, raccontami ancora
raccontami ancora.
Aaaaaaah
Una canzone del primo album dei Pink Floyd, questa è stata scritta da Syd Barrett. Molte delle canzoni di Barrett sono state ispirate da storie per bambini, e questa si basava su un libro intitolato Cautionary Tales For Children di Edward Gorey e Hilaire Belloc (Racconti cautelativi per bambini: progettato per l'ammonizione dei bambini di età compresa tra gli otto e i quattordici anni è un parodia dei racconti ammonitori che erano popolari nel 19 ° secolo). Il libro contiene alcune fiabe deformate in cui ogni sorta di cose orribili accadono ai bambini poveri, ma cattivi. Uno di questi bambini si chiamava Matilda.
sua maestà aveva il comando
con occhi d'argento l'aquila scarlatta
inondava d'argento la gente..."
Oh Mamma, raccontami ancora.
Perché devi lasciarmi là
sospeso con la mia aria da bambino ad aspettare?
Devi soltanto leggere le righe
sono scarabocchiate in nero ed ogni cosa risplende.
"..attraverso la corrente con scarpe di legno
con campane per annunciare le novità al re
un migliaio di cavalieri nebulosi si arrampicano in su
più in alto .. una volta tempo fa.."
Vagando e sognando
le parole avevano diversi significati
sì, ne avevano..
Per tutto il tempo trascorso in quella stanza
la casa della bambola, il buio, l'antico profumo
e le favole fantastiche mi portavano in alto
su nuvole di luce solare fluttuanti.
Oh Mamma, raccontami ancora
raccontami ancora.
Aaaaaaah
Una canzone del primo album dei Pink Floyd, questa è stata scritta da Syd Barrett. Molte delle canzoni di Barrett sono state ispirate da storie per bambini, e questa si basava su un libro intitolato Cautionary Tales For Children di Edward Gorey e Hilaire Belloc (Racconti cautelativi per bambini: progettato per l'ammonizione dei bambini di età compresa tra gli otto e i quattordici anni è un parodia dei racconti ammonitori che erano popolari nel 19 ° secolo). Il libro contiene alcune fiabe deformate in cui ogni sorta di cose orribili accadono ai bambini poveri, ma cattivi. Uno di questi bambini si chiamava Matilda.
Anarchismo, Socialismo e Liberalismo
L’anarchismo è nato in contrapposizione al liberalismo e al socialismo proprio perché mentre liberali e socialisti hanno interpretato i valori della libertà e dell’uguaglianza in modo indipendente, esso li ha intesi come valori inscindibili. L’anarchismo ritiene impossibile pensare e attuare l’una, se non pensando e attuando, contemporaneamente, l’altra. Di qui, appunto, la natura sincretica dell’ideologia anarchica: appena si fa riferimento ad un valore, ad un concetto, immediatamente questo richiama tutti gli altri, e tutti non reggono, da un punto di vista anarchico, se non pensando l’uno in riferimento all’altro, e se non pensando l’altro in relazione all’altro ancora. Per spiegare la propositività anarchica basta perciò rendere evidente la genesi storica di questa sintesi, che nel suo sviluppo ha via via depurato quegli elementi iniziali che si sono resi incompatibili con la loro stessa logica autentica. Essa è stata contemporaneamente una riflessione teorica sui limiti storici e logici dell’ideale liberale e dell’idea socialista e una elaborazione ideologica volta al superamento della parzialità dei loro principi.
Dal punto di vista anarchico si realizza veramente la libertà individuale solo attraverso il completo dispiegamento dell’uguaglianza sociale e si realizza veramente l’uguaglianza sociale solo attraverso il completo dispiegamento della libertà individuale. Insomma, si afferma che per realizzare l’uguaglianza bisogna far leva sulla libertà, per realizzare la libertà bisogna far leva sull’uguaglianza. Per attuare l’una far leva sull’altra, vuol dire portare fino in fondo i loro presupposti, ma per attuare i presupposti di entrambe occorre accettarne del tutto le conseguenze. L’anarchismo, in altri termini, rinfaccia al liberalismo di essere una dottrina parziale della libertà e al socialismo di essere una dottrina parziale dell’uguaglianza. La parzialità consisterebbe nel fatto che tutte due queste dottrine intendono realizzare i loro principi facendo dipendere temporalmente i due valori, nel senso che prima si dà corso all’uno poi all’altro, laddove l’anarchismo ritiene che solo nell’attuazione della loro contemporaneità stia proprio il segreto della loro riuscita.
Dal punto di vista anarchico si realizza veramente la libertà individuale solo attraverso il completo dispiegamento dell’uguaglianza sociale e si realizza veramente l’uguaglianza sociale solo attraverso il completo dispiegamento della libertà individuale. Insomma, si afferma che per realizzare l’uguaglianza bisogna far leva sulla libertà, per realizzare la libertà bisogna far leva sull’uguaglianza. Per attuare l’una far leva sull’altra, vuol dire portare fino in fondo i loro presupposti, ma per attuare i presupposti di entrambe occorre accettarne del tutto le conseguenze. L’anarchismo, in altri termini, rinfaccia al liberalismo di essere una dottrina parziale della libertà e al socialismo di essere una dottrina parziale dell’uguaglianza. La parzialità consisterebbe nel fatto che tutte due queste dottrine intendono realizzare i loro principi facendo dipendere temporalmente i due valori, nel senso che prima si dà corso all’uno poi all’altro, laddove l’anarchismo ritiene che solo nell’attuazione della loro contemporaneità stia proprio il segreto della loro riuscita.
giovedì 13 febbraio 2020
Il capitalismo della sorveglianza
Il capitalismo della sorveglianza è un nuovo ordine economico che sfrutta l'esperienza umana come materia prima per pratiche commerciali segrete di estrazione, previsione e vendita. Significa, in modo più diretto e grossolano, che aziende come Google, Faceook, Microsoft e Twitter, all'apparenza cosi magnanime nella loro gratuità, lucrano sui dati che il loro utilizzo gli permette di raccogliere su di noi. Significa che quei dati sulle nostre vite, che forniamo in parte volontariamente e in larga parte no, sono il bene più prezioso e richiesto oggi dal mercato – il petrolio della nostra epoca.
Gli algoritmi sviluppati nella Silicon Valley se analizzano gli orari in cui facciamo più scrolling su lnstagram, il numero di profili che seguiamo, i filtri che usiamo volentieri per valorizzare le nostre foto. Misurano la lunghezza delle nostre frasi, la quantità di emoji che ci mettiamo dentro e quanto abusiamo di punti esclamativi. Di più: riconoscono le smorfie impercettibili nei nostri selfie e le esitazioni nei messaggi vocali, potrebbero perfino contare i battiti di ciglia mentre guardiamo un video di YouTube che ci appassiona o ci disgusta o c'intenerisce. Forse lo fanno. Tutti questi metadata, elaborati opportunamente, dicono di noi più di quanto saremmo in grado di spiegare a parole. Eccolo il cibo preferito del capitalismo della sorveglianza: psicologia del comportamento combinata con statistica e capacità di calcolo sempre più estese. Così non è la sostanza che viene analizzata, ma la forma. A essere scandagliato non e più il nostro conscio, tutto sommato abbastanza semplice da catturare e per noi da controllare, ma l’inconscio stesso.
L'ambizione folle del capitalismo della sorveglianza è diventata quella di conoscere tutto di noi prima che noi stessi lo sappiamo. Il suo fine ultimo: utilizzare quella certezza su di noi, contro di noi, per manipolarci, modificarci e spingerci ad acquistare sempre di più. Quindi non è più imporre norme comportamentali come l’obbedienza o il conformismo, ma produrre un comportamento che in modo affidabile, definitivo e certo conduca ai risultati commerciali desiderati.
Se il capitalismo di Kari Mari si cibava di forza lavoro, se la sua materia prima era la classe operaia, il capitalismo della sorveglianza si ciba “di ogni aspetto della vita umana”. E la sua materia prima siamo, semplicemente, noi: le nostre fotografie, i nostri commenti, i nostri viaggi, i nostri amici, le nostre idiosincrasie, le nostre paure, i nostri desideri, le nostre condivisioni, i nostri like. L'analogia è fertile, quindi conviene spingerla più avanti: se il capitalismo industriale ha portato alla distruzione dell'ambiente che oggi cerchiamo malamente di fronteggiare, il capitalismo della sorveglianza minaccia di distruggere niente meno che la nostra libertà.
Gli algoritmi sviluppati nella Silicon Valley se analizzano gli orari in cui facciamo più scrolling su lnstagram, il numero di profili che seguiamo, i filtri che usiamo volentieri per valorizzare le nostre foto. Misurano la lunghezza delle nostre frasi, la quantità di emoji che ci mettiamo dentro e quanto abusiamo di punti esclamativi. Di più: riconoscono le smorfie impercettibili nei nostri selfie e le esitazioni nei messaggi vocali, potrebbero perfino contare i battiti di ciglia mentre guardiamo un video di YouTube che ci appassiona o ci disgusta o c'intenerisce. Forse lo fanno. Tutti questi metadata, elaborati opportunamente, dicono di noi più di quanto saremmo in grado di spiegare a parole. Eccolo il cibo preferito del capitalismo della sorveglianza: psicologia del comportamento combinata con statistica e capacità di calcolo sempre più estese. Così non è la sostanza che viene analizzata, ma la forma. A essere scandagliato non e più il nostro conscio, tutto sommato abbastanza semplice da catturare e per noi da controllare, ma l’inconscio stesso.
L'ambizione folle del capitalismo della sorveglianza è diventata quella di conoscere tutto di noi prima che noi stessi lo sappiamo. Il suo fine ultimo: utilizzare quella certezza su di noi, contro di noi, per manipolarci, modificarci e spingerci ad acquistare sempre di più. Quindi non è più imporre norme comportamentali come l’obbedienza o il conformismo, ma produrre un comportamento che in modo affidabile, definitivo e certo conduca ai risultati commerciali desiderati.
Se il capitalismo di Kari Mari si cibava di forza lavoro, se la sua materia prima era la classe operaia, il capitalismo della sorveglianza si ciba “di ogni aspetto della vita umana”. E la sua materia prima siamo, semplicemente, noi: le nostre fotografie, i nostri commenti, i nostri viaggi, i nostri amici, le nostre idiosincrasie, le nostre paure, i nostri desideri, le nostre condivisioni, i nostri like. L'analogia è fertile, quindi conviene spingerla più avanti: se il capitalismo industriale ha portato alla distruzione dell'ambiente che oggi cerchiamo malamente di fronteggiare, il capitalismo della sorveglianza minaccia di distruggere niente meno che la nostra libertà.
IO VORREI STARE SOPRA LE TUE LABBRA - Federico Garcia Lorca
Io vorrei stare sopra le tue labbra
per spegnermi alla neve dei tuoi denti.
Io vorrei stare dentro il tuo petto
per sciogliermi al tuo sangue.
Fra i tuoi capelli d’oro
vorrei eternamente sognare.
E che diventasse il tuo cuore
la tomba al mio che duole.
Che la tua carne fosse la mia carne,
che la mia fronte fosse la tua fronte.
Tutta l’anima mia vorrei che entrasse
nel tuo piccolo corpo.
Essere io il tuo pensiero, io
il tuo vestito bianco,
perché tu t’innamori
di me d’una passione così forte
che ti consumi cercandomi
senza trovarmi mai.
E perché tu il mio nome
vada gridando ai tramonti,
chiedendo di me all’acqua,
bevendo, triste, tutte le amarezze
che sulla strada ho lasciato,
desiderandoti, il cuore.
E intanto io penetrerò nel tuo
tenero corpo dolce
essendo io te stessa
e dimorando in te, donna, per sempre,
mentre tu ancora mi cerchi invano
da Oriente ad Occidente,
fin che alla fine saremo bruciati
dalla livida fiamma della morte.
(Il poeta spagnolo per eccellenza, conosciuto in tutto il mondo nasce il 5 giugno 1898 a Fuente Vaqueros non lontano da Granada. Nel 1936, poco prima dello scoppio della guerra civile, Garcia Lorca redige e firma, assieme a Rafael Alberti ed altri 300 intellettuali spagnoli, un manifesto d'appoggio al Fronte Popolare, che appare sul giornale comunista Mundo Obrero il 15 febbraio, un giorno prima delle elezioni vinte per un soffio dalla sinistra. Il 17 luglio 1936 scoppia l'insurrezione militare contro il governo della Repubblica: inizia la guerra civile spagnola. Il 19 agosto Federico García Lorca, che si era nascosto a Granada presso alcuni amici, viene trovato, rapito e portato a Viznar, dove a pochi passi da una fontana conosciuta come la Fontana delle Lacrime, viene brutalmente assassinato senza alcun processo.)
per spegnermi alla neve dei tuoi denti.
Io vorrei stare dentro il tuo petto
per sciogliermi al tuo sangue.
Fra i tuoi capelli d’oro
vorrei eternamente sognare.
E che diventasse il tuo cuore
la tomba al mio che duole.
Che la tua carne fosse la mia carne,
che la mia fronte fosse la tua fronte.
Tutta l’anima mia vorrei che entrasse
nel tuo piccolo corpo.
Essere io il tuo pensiero, io
il tuo vestito bianco,
perché tu t’innamori
di me d’una passione così forte
che ti consumi cercandomi
senza trovarmi mai.
E perché tu il mio nome
vada gridando ai tramonti,
chiedendo di me all’acqua,
bevendo, triste, tutte le amarezze
che sulla strada ho lasciato,
desiderandoti, il cuore.
E intanto io penetrerò nel tuo
tenero corpo dolce
essendo io te stessa
e dimorando in te, donna, per sempre,
mentre tu ancora mi cerchi invano
da Oriente ad Occidente,
fin che alla fine saremo bruciati
dalla livida fiamma della morte.
(Il poeta spagnolo per eccellenza, conosciuto in tutto il mondo nasce il 5 giugno 1898 a Fuente Vaqueros non lontano da Granada. Nel 1936, poco prima dello scoppio della guerra civile, Garcia Lorca redige e firma, assieme a Rafael Alberti ed altri 300 intellettuali spagnoli, un manifesto d'appoggio al Fronte Popolare, che appare sul giornale comunista Mundo Obrero il 15 febbraio, un giorno prima delle elezioni vinte per un soffio dalla sinistra. Il 17 luglio 1936 scoppia l'insurrezione militare contro il governo della Repubblica: inizia la guerra civile spagnola. Il 19 agosto Federico García Lorca, che si era nascosto a Granada presso alcuni amici, viene trovato, rapito e portato a Viznar, dove a pochi passi da una fontana conosciuta come la Fontana delle Lacrime, viene brutalmente assassinato senza alcun processo.)
Responsabilità solidale sempre
Nelle vesti di multinazionali dell’atomo, dello sfruttamento idroelettrico, turistico, del militarismo e dei suoi poligoni, con l’inquinamento radioattivo, chimico, da carburazione industriale e metropolitana, l’ipersfuttamento boschivo e agricolo, LORO sono i responsabili storici della rapina della nostra terra e del nostro lavoro. Sono il residuo di un genocidio consumato dallo stesso nemico che nel corso dei secoli ha distrutto quasi del tutto la nostra terra. È nella presa di coscienza dei nostri essere sfruttati, schiavi, ed espropriati, che dobbiamo lottare fino ala fine nel tentativo della nostra liberazione e nel tentativo di contribuire con tutto noi stessi alla liberazione della terra che ha ospitato e nutrito i nostri avi.
La solidale coscienza globale. Coscienza della globalità del nemico e della sua guerra di sfruttamento e sterminio totale, non poteva che dirci che la lotta contro di lui è un dovere per e su qualsiasi terra che ci ospita. Solo così riaffermiamo, comunque e ovunque la nostra quotidiana e umana dignità. Responsabile, solidale, e comune con le nostre sorelle e fratelli di ogni razza e lingua, oppresse e oppressi, sfruttate e sfruttati; solo così affermiamo la nostra solidarietà con coloro che lottano, in qualsiasi modo lottino, solo così affermiamo la nostra responsabilità, l’amore naturale e scontato per i nostri figli e per tutti i viventi di questo meraviglioso pianeta.
La solidale coscienza globale. Coscienza della globalità del nemico e della sua guerra di sfruttamento e sterminio totale, non poteva che dirci che la lotta contro di lui è un dovere per e su qualsiasi terra che ci ospita. Solo così riaffermiamo, comunque e ovunque la nostra quotidiana e umana dignità. Responsabile, solidale, e comune con le nostre sorelle e fratelli di ogni razza e lingua, oppresse e oppressi, sfruttate e sfruttati; solo così affermiamo la nostra solidarietà con coloro che lottano, in qualsiasi modo lottino, solo così affermiamo la nostra responsabilità, l’amore naturale e scontato per i nostri figli e per tutti i viventi di questo meraviglioso pianeta.
Etichette:
comunitarismo,
critica radicale,
ecologia sociale
venerdì 7 febbraio 2020
La parola Autorità
Questa non deve arrivare che dalla ragione. Diventa abusiva se imposta, in qualsiasi maniera lo sia. Politica, legiferante, autoritaria, è la nemica. "Bisogna pensare che io respiro ogni autorità? lungi da me una simile idea. Se si tratta di stivali, mi adeguo all'autorità del calzolaio, per ogni scienza speciale mi rivolgo all'uno o all'altro scienziato. Ma non mi lascio imporre nè dal calzolaio, né l'architetto, né lo scienziato. Li ascolto liberamente e con tutto il rispetto che la loro intelligenza merita, che merita il loro carattere, la loro scienza, riserbandomi però il mio incontestabile diritto di critica e di controllo. Non mi accontento di consultare una sola autorità specialista, ne consulto diverse; paragono le loro opinioni e scelgo quella che mi sembra la più giusta. Non mi fido di nessuno in maniera assoluta. Questa fiducia sarebbe fatale alla mia ragione, alla mia libertà, allo stesso successo della mia opera. Non penso che la società debba maltrattare le persone di genio come ha fatto finora. Ma non penso neppure che li debba ingrassare troppo, né accordare loro, soprattutto, dei privilegi o dei diritti esclusivi di qualunque tipo."
giovedì 6 febbraio 2020
LA CINESE di Jean-Luc Godard
Sono in cinque, e vivono in un appartamento che delle amiche hanno loro ceduto per le vacanze. Véronique è studentessa di filosofia, ed è quella che rimugina le idee con maggiore tormento; Guillaume è attore; si riempie la bocca di Brecht, ma vagheggia la sostituzione del teatro tradizionale con una forma di comunicazione diretta, consistente nell'andare a recitare le battute a domicilio, applicandole allo stato d'animo di chi viene ad aprire la porta; Henri studia chimica, e ha il cervello più inquadrato in schemi razionali; Kirilov, così chiamato perché somiglia al personaggio di Dostoevskij, fa il pittore; Yvonne, d'origine contadina, dopo aver battuto il marciapiedi pensando al sol dell'avvenire è venuta a fare da serva-compagna ai quattro intellettuali. Tutti insieme hanno fondato una micro-cellula maoista. Tappezzati i muri di slogan, riempiti gli scaffali di libretti rossi con le massime auree, impiegano il tempo severamente, impartendosi lezioni di tecnica rivoluzionaria. Leggono ad alta voce i pensieri di Mao, ospitano un amico nero che predica l'applicazione del marxismo-leninismo al terzo mondo, distribuiscono il libretto per le strade. Qualcuno fa persino all'amore, ma questa è un'attività periferica, sospetta di deviazionismo borghese; al centro dei loro interessi c'è il dibattito ideologico, che si risolve in un mar giallo di chiacchiere e in pantomime anti-americane.
Cammina cammina fra le scatole cinesi del fanatismo, arrivano alla conclusione che è tempo di passare alla maniera forte, se vogliono sciogliere il turpe connubio fra Washington e Mosca e abbattere il capitalismo. Espulso Henri, fautore della coesistenza pacifica, si decide che la prima bomba spetta di diritto all'università, organizzata in modo, nel marcio Occidente, da essere oltre tutto una fonte di frustrazioni sessuali. Poiché Véronique, lungo un viaggio in treno, ne é dissuasa, si cambia bersaglio: la ragazza andrà a pistolettare, in albergo, un ministro sovietico venuto a trescare con De Gaulle. Kirilov, tutto contento, muore suicida dopo aver lasciato una lettera in cui si accusa del delitto, e Véronique va a uccidere il ministro (le vittime, per uno sbaglio di lei, sono due, ma non se n'accorta). Finite le vacanze, rientrate le padrone di casa, il gruppo si scioglie. Guillaume vende ortaggi e va di porta in porta ad applicare il suo metodo di teatro nuovo. Yvonne, c'è da giurarlo, torna al passeggio notturno; e Véronique si conforta pensando che ha compiuto un primo passo verso il trionfo di Mao. Non si esclude che vada a mettere una bomba sotto la cattedra del suo professore.
Pensato come un film che si compiace d'osservare con quanta serietà i giovani d'oggi si preoccupano dei destini del mondo, Godard é così appassionato delle cose quali appaiono, è così innamorato della loro riproduzione visiva, che non le sottopone a un'analisi razionale. In odio alla psicologia, Godard spoglia l'universo di ogni controcanto sentimentalistico. Egli assiste con una smorfia ironica a dialoghi costellati di puntate contro l'America, il partito comunista francese, il Cremlino, la Commedia Francese, i ministri di De Gaulle, di elogi agli amici come Strehler. E vi aggiunge didascalie composte di frasi smozzicate che si completano nel corso del film, e pagine di fumetti, e affiché, in un collage di cui spesso sfugge il senso.
Godard anticipa o prepara il terreno a quelli che saranno di li a poco i movimenti popolari studenteschi che infiammeranno la capitale francese e l'Europa, e lo fa con un film militante, ma anche ironico, anzi altamente sarcastico, molto contestato all'epoca, ma che comunque gli valse il Leone D'Argento al Festival di Venezia, in cui le scritte coloratissime ed i proclami (persino e coerentemente in lingua cinese, nel lato destro dello schermo) invadono l'azione spesso delirante a scopo unicamente provocatorio: "Gli imperialisti sono ancora vivi: continuano a governare a loro libero arbitrio in Asia, Africa e America Latina.. E in Occidente opprimono ancora le masse popolari nei loro rispettivi paesi"; “gli americani hanno sganciato più bombe su un piccolo paese (il Vietnam) che in tutta la seconda guerra mondiale”; “i russi sono un po’ codardi “fai ciò che dico ma non ciò che faccio””; “per i cinesi l’imperialismo e i reazionari sono tigri di carta, i nemici vanno strategicamente disprezzati ma tatticamente tenuti conto”. E poi via con le contraddizioni degli occidentali indifferenti e parassiti, della politica americana.
La cinese resta l’unica opera registica di livello del Godard pienamente militante. Il film rispecchia appieno la situazione culturale della Francia degli anni ’60, ma in un certo senso la anticipa: il caldissimo ’68 deve ancora arrivare ma già la rivoluzione culturale maoista, unita alle proteste per la guerra in Vietnam, ha creato un interessante strato culturale di giovani marxisti. O marxisti-leninisti. O maoisti. Ecco, appunto Godard esprime nel suo film l’indubbia nuova forza rivoluzionaria giovanile, ma anche le sue debolezze, le sue contraddizioni.
Il regista sembra assumere una grossa presa di posizione contro l’imperialismo statunitense, ma anche contro il falso-comunismo sovietico, reo di essersi ammorbidito e di aver cercato il compromesso. Il vero comunismo sarebbe quello dei vietcong (che infatti vengono sterminati dagli americani, al contrario dei russi) e dunque quello di Mao. La politica maoista della rivoluzione culturale aveva in quegli anni avuto un’incredibile diffusione in Francia: appariva dall’esterno incredibile che finalmente qualcuno combattesse i carri armati con i libri. Oggi siamo a conoscenza del disastro economico e sociale che tale politica generò: contro ogni possibile minaccia di revisionismo e capitalismo Mao fu abile ad appoggiarsi al popolo contro la classe dominante, appoggiò gruppi studenteschi e attaccò le quattro cose vecchie (pensiero, cultura, tradizioni e abitudini), rompendo totalmente col passato e chiudendo, o addirittura distruggendo, scuole, musei, biblioteche, templi.
Cammina cammina fra le scatole cinesi del fanatismo, arrivano alla conclusione che è tempo di passare alla maniera forte, se vogliono sciogliere il turpe connubio fra Washington e Mosca e abbattere il capitalismo. Espulso Henri, fautore della coesistenza pacifica, si decide che la prima bomba spetta di diritto all'università, organizzata in modo, nel marcio Occidente, da essere oltre tutto una fonte di frustrazioni sessuali. Poiché Véronique, lungo un viaggio in treno, ne é dissuasa, si cambia bersaglio: la ragazza andrà a pistolettare, in albergo, un ministro sovietico venuto a trescare con De Gaulle. Kirilov, tutto contento, muore suicida dopo aver lasciato una lettera in cui si accusa del delitto, e Véronique va a uccidere il ministro (le vittime, per uno sbaglio di lei, sono due, ma non se n'accorta). Finite le vacanze, rientrate le padrone di casa, il gruppo si scioglie. Guillaume vende ortaggi e va di porta in porta ad applicare il suo metodo di teatro nuovo. Yvonne, c'è da giurarlo, torna al passeggio notturno; e Véronique si conforta pensando che ha compiuto un primo passo verso il trionfo di Mao. Non si esclude che vada a mettere una bomba sotto la cattedra del suo professore.
Pensato come un film che si compiace d'osservare con quanta serietà i giovani d'oggi si preoccupano dei destini del mondo, Godard é così appassionato delle cose quali appaiono, è così innamorato della loro riproduzione visiva, che non le sottopone a un'analisi razionale. In odio alla psicologia, Godard spoglia l'universo di ogni controcanto sentimentalistico. Egli assiste con una smorfia ironica a dialoghi costellati di puntate contro l'America, il partito comunista francese, il Cremlino, la Commedia Francese, i ministri di De Gaulle, di elogi agli amici come Strehler. E vi aggiunge didascalie composte di frasi smozzicate che si completano nel corso del film, e pagine di fumetti, e affiché, in un collage di cui spesso sfugge il senso.
Godard anticipa o prepara il terreno a quelli che saranno di li a poco i movimenti popolari studenteschi che infiammeranno la capitale francese e l'Europa, e lo fa con un film militante, ma anche ironico, anzi altamente sarcastico, molto contestato all'epoca, ma che comunque gli valse il Leone D'Argento al Festival di Venezia, in cui le scritte coloratissime ed i proclami (persino e coerentemente in lingua cinese, nel lato destro dello schermo) invadono l'azione spesso delirante a scopo unicamente provocatorio: "Gli imperialisti sono ancora vivi: continuano a governare a loro libero arbitrio in Asia, Africa e America Latina.. E in Occidente opprimono ancora le masse popolari nei loro rispettivi paesi"; “gli americani hanno sganciato più bombe su un piccolo paese (il Vietnam) che in tutta la seconda guerra mondiale”; “i russi sono un po’ codardi “fai ciò che dico ma non ciò che faccio””; “per i cinesi l’imperialismo e i reazionari sono tigri di carta, i nemici vanno strategicamente disprezzati ma tatticamente tenuti conto”. E poi via con le contraddizioni degli occidentali indifferenti e parassiti, della politica americana.
Il regista sembra assumere una grossa presa di posizione contro l’imperialismo statunitense, ma anche contro il falso-comunismo sovietico, reo di essersi ammorbidito e di aver cercato il compromesso. Il vero comunismo sarebbe quello dei vietcong (che infatti vengono sterminati dagli americani, al contrario dei russi) e dunque quello di Mao. La politica maoista della rivoluzione culturale aveva in quegli anni avuto un’incredibile diffusione in Francia: appariva dall’esterno incredibile che finalmente qualcuno combattesse i carri armati con i libri. Oggi siamo a conoscenza del disastro economico e sociale che tale politica generò: contro ogni possibile minaccia di revisionismo e capitalismo Mao fu abile ad appoggiarsi al popolo contro la classe dominante, appoggiò gruppi studenteschi e attaccò le quattro cose vecchie (pensiero, cultura, tradizioni e abitudini), rompendo totalmente col passato e chiudendo, o addirittura distruggendo, scuole, musei, biblioteche, templi.
La menzogna del lavoro costretto
All’interno del sistema mercantile, che domina ovunque, il lavoro non ha per finalità, come vorrebbe far credere, la produzione di beni utili e graditi tutti; suo unico scopo è la produzione di merci. Le merci, indipendentemente dalla loro utilità, inutilità, sofisticazione, non assolvono ad altra funzione che a quella di mantenere e di aumentare il profitto e il potere della classe dominante. In un sistema simile, tutto il mondo lavora per niente, e ne ha sempre più la coscienza.
Accumulando e riproducendo le merci, il lavoro costretto non fa che aumentare il potere dei padroni, dei burocrati, dei capi, degli ideologi.
Ovunque c’è merce c’è lavoro costretto e, ormai, quasi tutte le attività sociali si stanno riducendo ad esso. Produciamo, consumiamo, mangiamo, dormiamo, per un padrone, per un capo, per lo stato, per il sistema generalizzato della merce.
Il lavoro costretto produce unicamente merci. Ogni merce è inseparabile dalla menzogna che la rappresenta. Il lavoro costretto produce dunque menzogne, crea un mondo di rappresentazioni fittizie, un mondo ribaltato dove un accumulo di immagini tiene il posto della realtà. In questo sistema spettacolare e mercantile, il lavoro produce su se stesso due menzogne importanti: la prima consiste nella solita litania per cui il lavoro è utile, necessario e indispensabile e che quindi è nell’interesse di tutti continuare a lavorare; la seconda mistificazione sta nel far credere che i lavoratori non sono in grado di liberarsi del lavoro e dal salario e che non sono quindi capaci di edificare una società radicalmente nuova, basata sulla creazione collettiva e attraente e sull’autogestione generalizzata.
La fine del lavoro costretto significherà la sparizione di un sistema in cui regnano unicamente il profitto, il potere gerarchico, la menzogna generale.
La ricerca dell’armonia delle passioni, infine liberate e riconosciute, prenderà il posto della corsa al denaro e alle briciole del potere.
Accumulando e riproducendo le merci, il lavoro costretto non fa che aumentare il potere dei padroni, dei burocrati, dei capi, degli ideologi.
Ovunque c’è merce c’è lavoro costretto e, ormai, quasi tutte le attività sociali si stanno riducendo ad esso. Produciamo, consumiamo, mangiamo, dormiamo, per un padrone, per un capo, per lo stato, per il sistema generalizzato della merce.
Il lavoro costretto produce unicamente merci. Ogni merce è inseparabile dalla menzogna che la rappresenta. Il lavoro costretto produce dunque menzogne, crea un mondo di rappresentazioni fittizie, un mondo ribaltato dove un accumulo di immagini tiene il posto della realtà. In questo sistema spettacolare e mercantile, il lavoro produce su se stesso due menzogne importanti: la prima consiste nella solita litania per cui il lavoro è utile, necessario e indispensabile e che quindi è nell’interesse di tutti continuare a lavorare; la seconda mistificazione sta nel far credere che i lavoratori non sono in grado di liberarsi del lavoro e dal salario e che non sono quindi capaci di edificare una società radicalmente nuova, basata sulla creazione collettiva e attraente e sull’autogestione generalizzata.
La fine del lavoro costretto significherà la sparizione di un sistema in cui regnano unicamente il profitto, il potere gerarchico, la menzogna generale.
La ricerca dell’armonia delle passioni, infine liberate e riconosciute, prenderà il posto della corsa al denaro e alle briciole del potere.
Etichette:
autogestione,
critica radicale,
lavoro
Iscriviti a:
Post (Atom)