Cammina cammina fra le scatole cinesi del fanatismo, arrivano alla conclusione che è tempo di passare alla maniera forte, se vogliono sciogliere il turpe connubio fra Washington e Mosca e abbattere il capitalismo. Espulso Henri, fautore della coesistenza pacifica, si decide che la prima bomba spetta di diritto all'università, organizzata in modo, nel marcio Occidente, da essere oltre tutto una fonte di frustrazioni sessuali. Poiché Véronique, lungo un viaggio in treno, ne é dissuasa, si cambia bersaglio: la ragazza andrà a pistolettare, in albergo, un ministro sovietico venuto a trescare con De Gaulle. Kirilov, tutto contento, muore suicida dopo aver lasciato una lettera in cui si accusa del delitto, e Véronique va a uccidere il ministro (le vittime, per uno sbaglio di lei, sono due, ma non se n'accorta). Finite le vacanze, rientrate le padrone di casa, il gruppo si scioglie. Guillaume vende ortaggi e va di porta in porta ad applicare il suo metodo di teatro nuovo. Yvonne, c'è da giurarlo, torna al passeggio notturno; e Véronique si conforta pensando che ha compiuto un primo passo verso il trionfo di Mao. Non si esclude che vada a mettere una bomba sotto la cattedra del suo professore.
Pensato come un film che si compiace d'osservare con quanta serietà i giovani d'oggi si preoccupano dei destini del mondo, Godard é così appassionato delle cose quali appaiono, è così innamorato della loro riproduzione visiva, che non le sottopone a un'analisi razionale. In odio alla psicologia, Godard spoglia l'universo di ogni controcanto sentimentalistico. Egli assiste con una smorfia ironica a dialoghi costellati di puntate contro l'America, il partito comunista francese, il Cremlino, la Commedia Francese, i ministri di De Gaulle, di elogi agli amici come Strehler. E vi aggiunge didascalie composte di frasi smozzicate che si completano nel corso del film, e pagine di fumetti, e affiché, in un collage di cui spesso sfugge il senso.
Godard anticipa o prepara il terreno a quelli che saranno di li a poco i movimenti popolari studenteschi che infiammeranno la capitale francese e l'Europa, e lo fa con un film militante, ma anche ironico, anzi altamente sarcastico, molto contestato all'epoca, ma che comunque gli valse il Leone D'Argento al Festival di Venezia, in cui le scritte coloratissime ed i proclami (persino e coerentemente in lingua cinese, nel lato destro dello schermo) invadono l'azione spesso delirante a scopo unicamente provocatorio: "Gli imperialisti sono ancora vivi: continuano a governare a loro libero arbitrio in Asia, Africa e America Latina.. E in Occidente opprimono ancora le masse popolari nei loro rispettivi paesi"; “gli americani hanno sganciato più bombe su un piccolo paese (il Vietnam) che in tutta la seconda guerra mondiale”; “i russi sono un po’ codardi “fai ciò che dico ma non ciò che faccio””; “per i cinesi l’imperialismo e i reazionari sono tigri di carta, i nemici vanno strategicamente disprezzati ma tatticamente tenuti conto”. E poi via con le contraddizioni degli occidentali indifferenti e parassiti, della politica americana.
Il regista sembra assumere una grossa presa di posizione contro l’imperialismo statunitense, ma anche contro il falso-comunismo sovietico, reo di essersi ammorbidito e di aver cercato il compromesso. Il vero comunismo sarebbe quello dei vietcong (che infatti vengono sterminati dagli americani, al contrario dei russi) e dunque quello di Mao. La politica maoista della rivoluzione culturale aveva in quegli anni avuto un’incredibile diffusione in Francia: appariva dall’esterno incredibile che finalmente qualcuno combattesse i carri armati con i libri. Oggi siamo a conoscenza del disastro economico e sociale che tale politica generò: contro ogni possibile minaccia di revisionismo e capitalismo Mao fu abile ad appoggiarsi al popolo contro la classe dominante, appoggiò gruppi studenteschi e attaccò le quattro cose vecchie (pensiero, cultura, tradizioni e abitudini), rompendo totalmente col passato e chiudendo, o addirittura distruggendo, scuole, musei, biblioteche, templi.
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